rovesciamento di ruoli
Dunque il documento predisposto dal GIP di Milano con cui si dispone il rito immediato è pubblico e ci sono tutti i rinvii alla documentazione agli atti e su cui si è fondata l’indagine.
Ciascuno di noi si farà la sua opinione mentre la magistratura dovrà decidere se, nell’ambito di questo strano stato, riuscirà a farlo.
Stasera mentre tornavo a casa riflettevo sulla stranezza del sistema giuridico italiano. Nella storia d’Italia gli avvocati erano i difensori delle masse popolari; parlo dei grandi avvocati (liberali e socialisti) di fine 800 e del primo 900. Gli ermellini erano invece l’espressione del potere feroce e venivano pecepiti come i feroci cani da guardia del sistema.
In pochi anni si è rovesciato tutto. Gli avvocati si sono riprodotti a dismisura e sono divenuti i massimi esperti in giustizia negata: cavilli, procedure, rallentamenti, …
Il bravo avvocato non si occupa di giustizia, si occupa di giustizia negata. Più allunga il brodo e più guadagna. Manca un timbro: si ricomincia. C’è un errore di notifica, si ricomincia. Chi si occupa di processo lungo fa le battaglie per il processo breve perché sa che il principio del processo in tempi certi è apprezzato dalla gente comune.
Portiamo a casa il processo breve; non interveniamo nè sui cavilli nè sulle strutture e l’ingiustizia sarà garantita. Il lavoro degli avvocati e le parcelle aumenteranno; chi potrà pagare porterà a casa la impunità per decadenza dei termini. Chi non potrà pagare … chi se ne frega.
Dall’avvocato Pietro Gori, quello di Addio Lugano Bella, all’avvocato Ghedini, quello della Bella e basta.
In compenso tra i giudici sono comparse le donne. Trovo bello e tranquillizzante che siano tre donne del 62 entrate in magistratura nei primi anni 90 ad occuparsi del processo a Berlusconi. Nessuna di loro ha una storia nelle correnti della magistratura, ma in compenso hanno una certa esperienza di processi.
Non penso ad una nemesi storica, alla storia che si fa giustizia. La giustizia si fa celebrando il processo. L’idea che il potere più forte che si sia espresso in Italia non riesca ad impedire un processo mi tranquillizza rispetto alla tenuta delle istituzioni e delle regole.
Chi ha seguito i miei interventi sulla vicenda Ruby & Co sa che accanto all’aspetto giudiziario (la telefonata alla questura da cui non ci si potrà svincolare facilmente), penso che ci sia una questione morale riguardante il ruolo di chi governa il paese e le regole di comportamento entro cui deve collocare la sua azione, su cui non è lecito scherzare. Oggi è uscita su Avvenire una interessante riflessione del bioetico Francesco D’Agostino intitolata Oggettività del bene che afferma tra l’altro:
Ma se si vuole dar credito all’etica pubblica, come all’unica etica condivisibile nelle società pluraliste, bisogna fondarla oggettivamente, perché sobrietà, onestà, decoro, correttezza, senso dello Stato, interesse prioritario per il bene pubblico, o – in una parola sola – esemplarità di vita, non possono ridursi ad atteggiamenti psicologici o essere elaborati come valori ideologici: essi devono possedere una loro ‘verità’. Verità: e qui la parola temutissima dal liberalismo etico torna prepotentemente in primo piano. Solo chi sia convinto che l’etica pubblica sia un’etica ‘vera’ può invocarne il rispetto. Altrimenti questa invocazione si trasforma in una mossa occasionale, di carattere propagandistico-politico, che non merita altro se non corrispondenti contromosse, altrettanto occasionali e propagandistiche.
Sono questioni toste soprattutto per chi, come me, pensa che sia giusto ciò che è buono, ma mi piace la sfida su questi temi e concordo con D’Agostino sul fatto che quella di Berlusconi sia una vicenda in cui interagiscono peccati (che non interessano alla magistratura), reati e violazioni dell’etica pubblica. Qualcuno sostiene che non abbia senso discutere di etica pubblica. Non io.