matrimonio – di Anto J. Mariani
Un merito, la pandemia forse ce l’ha: sembrerebbe aver quasi del tutto azzerato i matrimoni.
Fino a che punto sia vero, non lo so, di certo un po’ di coppie hanno rimandato l’evento a data da destinarsi e, nell’attesa, magari, potrebbero arrivare a ripensarci e, addirittura, a dirsi che è meglio che non se ne faccia niente.
A non pochi risulterà piuttosto antipatico questo mio augurarmi che stia traballando lo stato dell’arte del mettersi insieme solennemente, ma, personalmente, è da una ventina d’anni che, in giro, ho fatto cortesemente sapere di non invitarmi più a cresime/comunioni e matrimoni (quest’ultimi, soprattutto).
Solo ai funerali vado; se non altro, qui è certo che non seguiranno festeggiamenti in genere, che sembrano alludere ad una rotatoria stradale, un misto tra Las Vegas, la Brianza e Dubai. Oramai è così: la maggioranza dei matrimoni mettono in conto l’iradiddio. Uno ci pensa e la prima cosa che gli viene in mente è l’abbuffata, dove l’ultimo piatto non è mai l’ultimo.
Senza considerare, poi, come si direbbe per una fabbrica, l’indotto: abbigliamento da sfilata; coiffeur a manetta; addobbi floreali alla grande; auto lustra come non mai; pioggia di riso con e senza lattosio; selfie salviniani con tanto di sorriso stampato in faccia, anche quando è chiaro a tutti che non si vede l’ora che si chiuda baracca e burattini.
Dimenticavo: lungo la strada sono oramai d’obbligo lenzuola appesi con su scritto frasi un tantinello sconce tipo: “Milena, fallo penare: non dargliela subito” (quando si sa che il fatto osé è già avvenuto da un pezzo; talvolta, non solo con il predestinato sposo.
Per il resto no, ma, almeno in questa carrellata consumistica, la pandemia c’ha preso.