Il Leviatano e il Covid 19 – di Daniele Marini
Vorrei provare a rispondere alla domanda riguardante la natura del rapporto tra Stato e cittadini durante l’epidemia Covid19, in particolare da quando sono state messe in atto decisioni che stanno limitando fortemente le libertà personali ed hanno effetti devastanti sul piano del sistema economico e sociale.
Nel cercare di rispondere a questa domanda, mi sono reso conto abbastanza presto che l’azione dei governo italiano e di molti altri governi, non tutti per la verità, si può caratterizzare come inserita in una visione dello stato di tipo etico. L’espressione stato etico è stata usata anche da varie figure politiche in primo luogo per contestare i modi deliberativi del nostro governo, che sono apparsi a molti delle forzature delle regole Costituzionali. Non mi interessa addentrarmi in questo dibattito, cui si dedicano esperti costituzionalisti. Mi interessa invece approfondire questo sospetto di stato etico che aleggia.
L’idea di stato etico possiamo farla risalire agli studi di Thomas Hobbes (1588-1679), filosofo Inglese, noto soprattutto per la sua opera Il Leviatano e per la nota espressione homo homini lupus. Per non voler banalizzare la questione, mi è parso utile andarmi a ristudiare la figura di Hobbes nella storia della filosofia occidentale .
Il pensiero di Hobbes nell’opera di Geymonat è esposto nel suo sostanziale intreccio tra filosofia e scienza e in particolare con la scienza post-galileiana. In breve sintesi, Hobbes sostiene un meccanicismo materialista, in cui la struttura assiomatico deduttiva della geometria costituisce esempio per la formulazione delle altre scienze, in particolare della fisica e della società umana stessa, che devono basarsi su principi prima di verità evidenti (postulati) e di inferenze derivabili da essi con i metodi rigorosi della logica.
La visione meccanicistica di Hobbes a noi contemporanei appare in due forme, a seconda della nostra conoscenza critica delle scienze naturali:
- da un lato può essere considerata come una forma di pensiero ingenuo o forse meglio di senso comune, per cui le relazioni di causa-effetto, costituiscono la natura profonda delle relazioni tra eventi naturali, e non c’è alcuno spazio per la probabilità e l’indeterminazione che permeano la scienza moderna, e soprattutto non c’è alcuno spazio per la natura intrinsecamente aperta della scoperta scientifica, mai paga, sempre pronta a cambiare ipotesi al mutare significativo dei dati e al comparire di nuove scoperte, per formulare quindi nuove teorie. Questa forma di conoscenza critica è assai più diffusa tra gli uomini moderni di quanto si possa immaginare. Ne sono prova le teorie complottiste che rivelano la incapacità di pensare ai sistemi naturali come dotati di una propria dinamica spesso del tutto imprevedibile. E questo vale anche per i sistemi sociali, in cui il complottismo si rivela sospettando che dietro ogni scelta ci sia una strategia di sfruttamento commerciale, come, ad esempio, dichiarano i teorici del novax. Anche le più elementari nozioni di probabilità sono estranee all’uomo comune che ironizza sulla media con la famigerata frase “in media un pollo testa vuol dire che uno ha due polli e un altro neanche un pollo”.
- dall’altro lato la epistemologia di Hobbes appare in qualche modo troppo ingenua allo scienziato contemporaneo, che ha abbandonato da tempo il meccanicismo, anche se innumerevoli filosofi son sempre alla ricerca di un principio fondante.
Un altro aspetto che trovo interessante del pensiero di Hobbes è la nozione di conoscenza in contrapposizione a quella Cartesiana: per Hobbes la conoscenza deriva dalla intuizione sensibile, nel linguaggio di oggi diremmo dalla interazione con il mondo sensibile, mentre per Cartesio esistono idee (ad esempio l’idea dell’io). Hobbes a partire dalla intuizione sensibile (prodotta dai sensi) si appella poi alla ragione per la costruzione di un pensiero razionale, mentre Cartesio rivendica piena autonomia alla ragione fondata sulle idee separate da ogni sensibilità.
Voglio ora fare un salto all’oggi e provare, con il nostro linguaggio contemporaneo, a spiegare la formazione delle idee dominanti in questo momento storico. Oggi parliamo di narrazioni esposte nelle molteplici forme dai mezzi di comunicazione di massa. Essi diventano il veicolo della produzione di stimoli sensoriali che, seguendo il pensiero Hobbesiano, generano le idee. Si dirà: ma che c’entra con l’epidemia? Un po’ di pazienza.
Sono diffusi e dominanti opinioni relative alla epidemia prodotte dalle narrazioni in atto. La mentalità scientifica dell’uomo comune è assai vicina al pensiero di Hobbes, per cui egli attende con ansia risposte esatte, relazioni certe di causa-effetto che sono del tutto assenti in un fenomeno bio-sociale come questo. Attenzione: non intendo con questo condannare totalmente la visione epistemologica di Hobbes, il cui contributo al pensiero scientifico contemporaneo è indubbio, in particolare nelle nozioni di convenzionalismo e nominalismo. Come ricorda Geymonat, è piuttosto Cartesio che è più lontano da noi, in particolare nella visione metafisica che assume l’esistenza di una sostanza spirituale, la res cogitans. E’ quindi ben fondata filosoficamente la concezione che la narrazione sia una delle forme dominanti della formazione del senso comune.
Ma faccio ora un passo avanti per mettere in luce come il pensiero di Hobbes relativamente alla scienza e alla conoscenza lo porti poi a un pensiero politico che sbocca verso lo stato etico. La visione matematica e meccanicistica della scienza e dei meccanismi della conoscenza si ritrova anche nel pensiero politico di Hobbes, che lo porta a teorizzare lo Stato come l’unico potente e assoluto strumento di governo della società, che fonda la sua azione su criteri esclusivamente utilitaristici, con efficienza e assolutismo, togliendo ogni spazio a parlamenti di qualsiasi tipo. I principi utilitaristici ben si prestano a una trattazione formalizzata quasi matematica, e quindi sono connaturati a una visione meccanicistica.
E ora veniamo a noi. Quando uno stato decide di operare con obiettivi esclusivamente utilitaristici e trascura la ricerca di equilibri che portano alla consapevole condivisione delle sue scelte da parte dei cittadini, in poche parola la ricerca del consenso, ci troviamo di fronte a uno stato etico. E nello stato etico, vista la mancanza di necessità di guadagnare il consenso, anche i corpi sociali intermedi perdono di ruolo, proprio come sta accadendo in questi mesi, anche se questi corpi intermedi non si lasciano mettere da parte facilmente. E questo appare a me il modo con cui il nostro ed alcuni altri governi, stano gestendo l’epidemia.
Ma vorrei anche rispondere a una domanda che potrebbe sorgere: nessuno degli attori ammette di volere lo stato etico, tutti dichiarano di operare nel rispetto dei principi costituzionali e con l’ascolto della parola dei cittadini. A parte che si potrebbero facilmente trovare moltissimi casi in cui questo non avviene, quello che però voglio sottolineare è che non sono stati i governanti a decidere di agire consapevolmente in questo modo, direi quasi che ne sono stati costretti, e in ogni caso avrei fiducia nella buona fede di chi non vede l’ora di smettere con questo che purtroppo non è un gioco.
Sono stati costretti da chi?
- La prima risposta è facile: dai cittadini che vogliono essere tutelati e temono per la loro salute. Ma questa risposta è fin banale.
- Più importante è la seconda risposta: sono i medici, virologi in primo luogo, che si sono assunti il ruolo di demiurghi dello stato etico.
Anche in questo caso non siamo di fronte alla cattiveria, ma siamo di fronte a una visione epistemologica specifica del mondo medico, e per sua natura contraddittoria. Da un lato la medicina si ritiene una scienza esatta, dall’altro è ben consapevole della infinità di questioni totalmente ignote da cui dipendono i processi della vita biologica e di quanto di indeterminatezza ci sia nei suoi modelli.
Da una lato la medicina contiene in sé una visione meccanicistica, dall’altro è consapevole della vacuità di riconoscere rapporti di causa-effetto tra farmaci e malattia, tra salute e malattia. In ogni caso la domanda si sicurezza e restrizioni delle libertà da parte dei cittadini e dei medici si intrecciano in una visione comunque meccanicistica, Hobbesiana, della epidemia con la richiesta costante di avere risposte certe sui farmaci, sui vaccini, sui trattamenti, sulla evoluzione dell’epidemia, senza lasciare alcuno spazio alla natura intrinsecamente imprecisa e in divenire della conoscenza dell’azione di questo virus.
A rafforzare questa domanda di sicurezza si fa largo anche una visione di tipo apocalittico. La crisi epidemica viene vista come il manifestarsi della crisi del rapporto uomo-natura che porterà spontaneamente al nascere di un nuovo mondo in cui il dominio della tecnica, del capitale e della finanza sarà finalmente sconfitto. Una sorta di palingenesi che corrisponde all’idea dell’Anno Magno, ovvero della nuova età dell’oro che si instaurerà dopo il crollo del mondo vecchio.
C’è anche un altro elemento che porta la classe medica e i cittadini a chiedere allo Stato di essere uno stato etico: il Leviatano è giustificato dalla natura umana per cui l’uomo è lupo all’altro uomo. Anche qui emerge il desiderio di palingenesi morale: dopo l’epidemia saremo tutti migliori. Ma intanto cosa è la “caccia all’untore” che si sta manifestando spesso in modo abnorme verso chi sembra non aderire pienamente alle norme promulgate? E cosa è la minaccia che se si allentano i comportamenti ne pagheremo le conseguenze, se non un trattare da infante il cittadino perché incapace di esprimere una propria etica sociale e proprie scelte, e quindi sorga la necessità di uno Stato assolutista?
Per concludere due considerazioni. La prima che ben misera e vergognosa cosa è uno stato etico chiesto dai cittadini che mettono al centro la volontà di tutelare la propria salute e il proprio benessere prendendo questo come principio utilitaristico fondamentale e trascurando il malessere che impregna il mondo, diviso tra paesi sviluppati e in via di sviluppo, tra paesi in pace e paesi in guerra, tra cittadini garantiti e cittadini scacciati dalle proprie città e confinati in campi di concentramento. E ancora negli stessi paesi sviluppati venga trascurato il divario tra chi è garantito e chi non lo è. Ben misera cosa il principio etico che innalza a valore fondamentale i 300.000 morti di Covid17 nel mondo e dimentica i 400.000 morti della guerra civile in Syria e i milioni delle altre guerre per procura ancora in corso e ben foraggiate dai signori della guerra e delle armi.
La seconda considerazione riguarda gli sviluppi dell’idea di stato etico dopo Hobbes. Il filosofo che riprese l’idea che lo Stato sia l’entità suprema che supera l’individuo e tutto sussume fu Hegel, il cui pensiero dette origine a due linee di pensiero successive, dette comunemente destra e sinistra Hegeliana. La destra Hegeliana fu ben rappresentata da Giovanni Gentile che ispirò lo stesso Mussolini, mentre la sinistra Hegeliana vide in Karl Marx il suo massimo esponente, il cui pensiero purtroppo condusse alle idee politiche Leniniste e in seguito Staliniste. Quindi occhio a dare spazio allo stato etico e a una visione troppo meccanicistica del mondo.