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io difendo la mia privacy !?!?!? — 1 commento

  1. La "dotta" opinione del prof. Marini è che la "privacy" è un bel mito.
    Partiamo dal presupposto che la libertà assoluta non esiste, ma è sempre condizionata dal non dover danneggiare altri.
    Nelle società civili questo si traduce in norme di legge che limitano l'esercizio della libertà. Quelle Costituzionali fissano i paletti dei principi fondamentali, sempre riservando alla legge di delimitarli. Per quanto riguarda i dati e la loro riservatezza (anch'io preferisco il termine riservatezza a quello di privacy) chi trancia giudizi semplificati dimentica, come ricorda Ceriani, che riveliamo i nostri dati consapevolmente o inconsapevolmente sempre in ogni momento, sia in rete sia con l'uso di mezzi di pagamento digitali, tessere ecc. sia infine con il semplice rapporto sociale, per cui il macellaio sa che taglio di carne preferisco e il droghiere se preferisco il te o la malva.
    Tutti vedono se ho i capelli lunghi, se la signora è una finta bionda o naturale. Chi poi non comprende come funziona la tecnologia digitale non si rende conto che esistono innumerevoli soluzioni alla riservatezza dei dati. Riservatezza che non potrà mai essere assoluta: come i ladri posso entrare in casa nostra, così i ladri di dati (chiamati hacker) possono intromettersi nei server e rubare informazioni dalla password a dati sensibili riguardanti la salute.
    La crittografia e la costruzioni di database che separano le informazioni anagrafiche (nome e cognome) dai dati associati sono alcune delle soluzioni possibili. Ripeto non assolute, ma molto, molto forti. Pensate a una soluzione semplice che usa crittografia e separazione dei dati anagrafici. La chiave che associa i dati anagrafici dai dati sanitari, ad esempio, potrebbe essere gestita dalla Autorità delle comunicazioni o dalla Autorità della privacy. Mettiamo ora sull'altro piatto della bilancia il vantaggio di raccogliere dati sanitari, anche molto più puntuali che la sola possibilità di essere entrati in contatto con potenziali infetti. Pensate a una banca dati sanitari non solo dei cittadini italiani, ma addirittura di quelli Europei.
    Abbiamo capito che problemi come le epidemie non si possono risolvere in un solo paese, anche immaginando un rifiuto totale della globalizzazione. Viceversa permettere a medici e scienziati di accedere a una banca dati sanitaria di 400 mln di cittadini permetterebbe di analizzare i meccanismo di propagazione della epidemia, di analizzare le risposte immunitari e ai farmaci. Un gruppo di ricercatori che volesse testare un nuovo farmaco potrebbe selezionare soggetti con le caratteristiche desiderate sull'intero territorio Europeo. Accedendo poi alla chiave di associazione nome-dati, attraverso l'organismo di garanzia e nel quadro di un protocollo etico approvato da istituzioni ospedaliere coinvolte ecco pronto un gruppo di test su cui valutare l'efficacia del farmaco. Non sono un biologo o un farmacologo e non so immaginare altri casi ancor più interessanti, salvo ricordare che un data base sanitario europeo potrebbe permettere di studiare malattie come Parkinson, Alzheimer, varie forme di cancro, con una efficacia enorme. Mi fermo qui per concludere che di fronte una ideologica e fallace opposizione fondata su un principio vago come la privacy, avremmo la possibilità di un enorme potenziamento della capacità di azione sanitaria.

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