tra alti e bassi – CoronaMilano 8
23 marzo AdC (anno del coronavirus)
Somiglia a un terremoto perché ti catapulta in una realtà che fino a ieri vedevi solo al telegiornale. Però è uno strano terremoto al rallentatore, con la gente che muore silenziosa. Un terremoto lento cui hanno tolto l’audio.
Sai solo che oggi è peggio di ieri e non capisci quando sarà il picco. Il picco; questa parola miracolosa che sembra l’uscita da un tunnel. Sembra una salita di montagna, ma è come salire senza vedere la montagna. Come se ci fosse la nebbia; la "scighéra" come diciamo a Milano. Non sai se arriverai in cima e neanche sai se ti trovi sul sentiero giusto. Forse è questa la tragedia di oggi.
In questo lento terremoto tutto quello che sai arriva dal web, dalla TV, dal telefono, da Skype, da WhatsApp… Capisci solo di essere immerso in una tragedia collettiva, ma non sai qual è il tuo ruolo: spettatore? protagonista in attesa di entrare in scena? Probabilmente qualche cosa di simile lo si vive durante una guerra che non hai cercato ma in cui lei ti ha trovato. Pensi al passato e capisci quanto era importante. Pensi al futuro come a un’àncora di salvezza. Al presente intanto ci pensa lei.
Una telefonata ti informa sulla salute del tuo amico. Un WhatsApp ti dice quanto è grave quell’amica colpita dal virus. Da un post capisci che qualcuno che conosci è in difficoltà e che un altro è già morto. Allora cerchi quel vecchio numero di telefono, chiedi agli amici e ognuno ti racconta una storia. Tutti hanno una storia.
Sento gli amici con figli che da anni vivono in Africa. Aspettano che i ragazzi tornino perché lì sta arrivando la vendetta contro il bianco-untore. Non importa se sei lì per depredare o per sostenere. Sei bianco quindi sei un invasore. Sei bianco quindi sei colpevole, sei un untore.
Ieri Covid-19 sembrava rispettare il riposo festivo. Dopo una settimana che mi rincorreva con notizie di chi non ce l’ha fatta ora Covid concede un po’ di tregua. Vengo a sapere che l’amico C. è malato e non trova un saturimetro, però almeno è ancora a casa. Invece S. è ricoverato ma non sembra grave; neanche l'hanno intubato. Insomma, tutto bene o almeno quasi.
La brutta notizia arriva da M., giovane madre di famiglia. Non sapevo neanche che fosse in ospedale. Mi scrive che è stata intubata. Racconta l’enorme dolore fisico e non solo fisico, la paura di entrare in ambulanza guardando negli occhi i figli spaventati. Poi la guarigione e la dimissione. Tutto in pochissimi giorni.
Ora è felice di sentire la voce dei suoi bambini che giocano nell’altra stanza. Deve stare chiusa da sola per due settimane, ma ha una forza straordinaria. Riesce a scrivermi un WhatsApp, ma non riesce ancora a parlare. La chiamerò, ma non adesso. Per ora posso solo scriverle una breve risposta: “Forza M.! We shall overcome…”