l’asiatica del ’57
L'asiatica è stata una pandemia influenzale dovuta ad una trasmutazione del virus della micidiale spagnola ancora presente tra i suini in combutta con virus della aviaria. Esisteva il vaccino e ci vollero circa 10 anni per debellarla completamente. A livello mondiale i morti furono circa 2 milioni.
In Italia arrivò nella primavera del 57 e il picco si ebbe ne mesi di settembre e ottobre. Nel gennaio del 58 ci fu una recrudescenza ma meno virulenta e comunque, complessivamente, finirono a letto 28 milioni di Italiani pari al 57% della popolazione.
La classe di età più colpita fu quella inferiore ai 15 anni con una incidenza del 70%, mentre tra gli ultrasessantacinquenni ci fu una incidenza del 40% dovuta alla presenza di anticorpi probabilmente da far risalire al 1918 (la spagnola).
Quando arrivò io ero in collegio dai salesiani a Varazze insieme ad un fratello e ad un cugino (I, II e III media). Eravamo arrivati da pochi giorni e ci fu l'esplosione. C'era un coadiutore infermiere (Celestino) da cui normalmente andavamo a prendere le pastiglie di Formitrol da succhiare gratis al posto delle caramelle, e le amarissime pastigliette di nitrato di potassio (per il mal di gola) che tritate e mischiate allo zolfo consentivano di costruire dei micidiali petardi.
In infermeria c'erano una decina di posti letto, ma l'Asiatica la prendemmo tutti e così il direttore del Collegio don Moroncelli (docente di lettere di mio fratello) e il prefetto don Morello (mio docente di lettere) telefonarono alle famiglie perché si riprendessero i pargoli.
Era un avvenimento perché durante l'anno si tornava a casa solo a Natale e Pasqua e nelle domeniche in cui venivano a trovarti i parenti dovevi stare o in parlatorio (alti soffitti, divani e poltrone imbottiti e ricoperti di velluto rosso) o in cortile sotto il colonnato; unica eccezione il 19 marzo perché per San Giuseppe si poteva uscire per vedere il passaggio della MIlano Sanremo.
I Salesiani fecero di necessità virtù e noi ce ne tornammo a Villasanta. Avevamo la febbre alta e venne uno degli autisti del calzaturificio con la 1100 famigliare con giù tutti i sedili e sul pianale un paio di materassi su cui ci disponemmo tutti e tre. Allora si andava a Genova con l'Aurelia, poi si faceva la camionabile fatta dal duce sino a Serravalle, e poi di nuovo statale (Tortona, Voghera, Pavia, …), insomma era un bel viaggio.
Non ricordo altro salvo che, passata la febbre alta, siamo tornati in Collegio. In compenso, messomi in caccia di notizie, ho avuto un po' di difficoltà a reperirne e alla fine ho trovato solo la raccolta dell'Unità on line da cui ho potuto accedere ad un po' di notizie sul vissuto di allora:
- indicazioni di ogni genere tranne le due essenziali di oggi: l'igiene personale e il distanziamento
- c'erano i morti e ho trovato un numero di ottobre con 14 morti nella sola Roma in tre giorni
- c'erano i contagi nelle comunità (50 parà di Siena colpiti alla caserma di piazza Amendola)
Come esempio ecco un comunicato della prefettura di Roma pubblicato il 4 ottobre: "Dal 30 settembre scorso a ieri, in soli 3 giorni cioè, si sono avuti 10 decessi a Roma, 3 a Tivoli e 1 a Mentana. Nello stesso periodo sono stati accertati nel capoluogo 4720 casi di influenza epidemica (47 con complicazioni broncopnlmonaii) così ripartiti: 3973 in domicili privati, dei quali 375 ricoverati in ospedali; 504 fra militari dei quali 130 ricoverati in ospedali; 11 in alberghi e 180 in istituti o collegi".
Non mi intendo di pandemie, ma in un contesto di maggiore arretratezza (nello sviluppo economico, nelle tutele, nella assistenza sanitaria, nella produzione e distribuzione dei farmaci) ho la impressione (dalla lettura dei giornali in cui le notizie quasi mai sono in prima pagina) che la questione fu digerita meglio sia dal sistema, sia dalla popolazione. Nessuno si lamenta del fatto che il vaccino sia in vendita e semmai si chiede di ridurne il costo e di calmierare la vendita dei limoni e dei prodotti freschi ricchi di vitamine. La CGIL chiede che si istituisca provvisoriamente, per i lavoratori, una indennità alimentare che compensi i minori introiti.
Invece oggi è come se tutto debba sempre funzionare alla perfezione, tutti si debba essere in buona salute, tutti si debba avere la mascherina, e poi alla fine, come sta succedendo, va in vacca il sistema paese.
In termini di precauzioni tese a bloccare i focolai mi pare che tra governo, regioni e protezione civile si stia facendo molto, ma ora che quelle precauzioni stanno portando, a torto, l'Italia sul banco degli accusati si stanno verificando gravi danni nel posizionamento internazionale (commercio estero, turismo e trasporti) per cui attendo con ansia il contagio nel resto dei paesi sviluppati sperando che si determini un atteggiamento di maggiore razionalità che preveda il fatto che, in assenza di un vaccino, le influenze di tipo nuovo, producono dei danni e che lo sviluppo economico e la sanità generale vanno accuratamente dosate alla ricerca del punto di minor danno.
Vogliamo parlare di coronavirus ai profughi siriani o agli abitanti del Corno d'Africa cui le cavallette hanno distrutto i raccolti e loro, in assenza d'altro, le mangiano anche se sono state irrorate di pesticidi?