tanto peggio tanto meglio? – votare per evitare il peggio del peggio
In questi giorni, in un paio di occasioni mi sono beccato l'accusa di essere un catastrofista, un sostenitore del tanto peggio tanto meglio e allora ci torno sopra.
Nel dichiarare la inopportunità e la non praticabilità dell'accordo incestuoso e ritardato tra PD e M5S mi muovono considerazioni sia di ordine teorico sia di ordine pratico.
La prima e la più importante di tutte è che non si dovrebbe mai proporsi di governare contro qualcuno o contro qualcosa, ma per qualcosa. Ciò che non andava bene un anno e mezzo fa continua a non andare bene, anzi, a maggior ragione non va bene ora perché bisognerebbe allearsi con qualcuno e chiedergli come prima cosa di abrogare ciò che lui ha fatto in termini di politiche sociali, politica economica, riforme istituzionali e politiche per il controllo della immigrazione (per quanto disperato e con i mutui da pagare troverebbe eccessiva la richiesta).
Da questo punto di vista la riforma costituzionale sulla riduzione dei parlamentari che viene posta da Di Maio come scoglio insuperabile è solo un piccolo pezzo del problema.
Si dice, ma se si va al voto Salvini vince a mani basse. Replico così: si deve andare al voto sfidando i diversi competitor sui provvedimenti urgenti da prendere per non far scattare l'aumento dell'IVA, quelli per il 2020 e anche quelli per i due anni successivi, bisogna dire chiaro agli elettori che chiunque vinca prima di parlare dei suoi sogni deve dire come troverà la settantina di miliardi che servono.
Salvini non va lasciato libero di dire che il peggioramento della situazione economica (crescita zero, aumento del deficit, scarsa credibilità in Europa) lo risolverà lui senza dire come e gli va presentato il conto perché il quadro di peggioramento se lo può dividere a metà con Di Maio. Vogliamo parlare di quota 100, delle grandi crisi aziendali (su cui dominano Taranto e la elettromeccanica del bianco), del reddito di cittadinanza e dei navigator? Non creda di dire tutta colpa dei 5 stelle. Ti sei occupato di social network, di siti acchiappa click, di ce l'ho duro sui migranti e hai drenato consenso da quella fetta di elettorato qualunquista che non ragiona, vuole i miracoli (ed ecco la Madonna) e ama le frasi forti. Bene si avvicina per te il momento della verità, quello in cui non basta agitare il rosario i dire che le ONG sono complici dei trafficanti.
Lascio perdere il punto di vista dei descamisados e mi concentro sulle opinioni di chi non è nè leghista nè salviniano. Secondo voi costui come reagirà nel sentirsi dire che dobbiamo fare un governo di legislatura perché così Salvini non potrà condizionare l'elezione del prossimo capo dello stato? Sai che c'è, dirà, se i voti degli Italiani pesano in maniera differente a seconda di come si collocano, se qualcuno pensa che un presidente della Repubblica espresso dal centro destra corrisponderebbe ad una specie di golpe, vuol dire che costoro non sono mica tanto democratici. A parte poi che mi piacerebbe sapere, in termini di posizione politica generale, cosa hanno rappresentato De Nicola, Segni o Scalfaro.
Un'altra cosa che mi lascia strabiliato in questi giorni è il riproporsi dello schema che portò alla nomina di Conte. Del nome del possibile candidato non si parla, perché se si parla lo si brucia e invece di soffermarsi sulle competenze, sulla caratura, sullo staff si sussurra che potrebbe essere … e quando il nome esce vuol dire che non se ne farà nulla. Sembra essere diventata una virtù quella del grigiore (e lo di vede bene nel PD). Continuando così si proporrà la stessa vaccata anticostituzionale (o meglio extracostituzionale) del Presidente del Consiglio scialbo con a fianco i dioscuri, i garanti del contratto.
Per durare una legislatura e non uscirne a pezzi servirebbe un accordo politico forte e invece si dovrà andare dal notaio a stendere le clausole prematrimoniali con in più il fatto che essendoci poco tempo il contratto notarile lo si farà scrivere al dottor Azzeccagarbugli, una cosa che possa essere tirata da tutte le parti (e lo si è visto bene con i 5 punti di Zingaretti e con i 10 di Di Maio.
I 5 punti del PD dicono le cose ovvie ma non si esprimono sulle cose da fare (e in questo caso le omissioni pesano più delle affermazioni) e con di Maio siamo alla palingenesi "Una manovra equa che preveda stop all'aumento dell'Iva, il salario minimo orario, il taglio del cuneo fiscale, la sburocratizzazione, il sostegno alle famiglie, alle nascite, alla disabilità e all'emergenza abitativa;". Dieci punti così e ce n'è per i prossimi 300 anni. Fare, fare, faremo; quando? come? con quali risorse? Si tratta di due documenti scritti in fretta e lo si vede dalle sgrammaticature, dalla variabilità dei tempi verbali (infinito, futuro, assenza del verbo). Una sfida tra titani.
Nel momento in cui scrivo sono iniziati i primi incontri mentre fioriscono le divisioni nel PD e Renzi arriva a comportarsi (mi spiace dirlo ma sta accadendo) da capobastone nei confronti di ex amici (Gentiloni) rei di non pensarla come lui sulle svolte tattiche in cui si sta misurando. L'inventore del #senzadime arriva a dichiarare "come uno spin fa saltare tutto, non è detto che il Pd arrivi tutto insieme alle elezioni". E a me viene da dire che effettivamente lo spin (trottola, il momento angolare quantizzato della meccanica quantistica) è piuttosto importante nel determinare variabilità e stabilità della natura ma lui si riferiva ad altro.
Salvini si è specializzato nel linguaggio e nella gestualità da uomo qualunque ma l'area progressista e riformista non lo rincorra sullo stesso terreno anche perché poi la gente sceglie l'originale e non le imitazioni. Dunque dopo aver dipinto Berlusconi come la nuova dittatura, negli anni 90, e avere perso, non ricominciamo con il fascismo alle porte. Ricordo che nella patria della democrazia, l'Inghilterra forze come i socialdemocratici e i liberali con consensi tra il 10 e il 20% sono stati per anni senza rappresentanza o con un numero di deputati inferiore a 10. Avevano delle idee, facevano politica, facevano opposizione entro un sistema che si diceva e si dice democratico perché si basa sulla democrazia governante e sulla possibilità, tramite il voto, che chi governa vada in minoranza e sia sostituito da chi stava alla opposizione.