che fine ha fatto il 68? – recensione di Claudio Cereda
Verso la fine della sua introduzione, a proposito dei contributi di quei 23 coraggiosi che si sono cimentati nella impresa di mettere per iscritto, in poche cartelle, un pezzo importante della loro vita, il curatore del libro Giovanni Cominelli scrive:
la storia del mondo non è descrivibile come un progetto; non è teleologica; ... La storia accade a caso, gli individui in parte vi si adattano, in parte vi si ribellano, ne producono qualche frammento che si combina o confligge con quello di altri. La sfida che ne nasce: rinunciare all’Assoluto, senza tuttavia diventare cinici o nichilisti. Sì, lo dobbiamo confessare, abbiamo raggiunto, non tutti, le sponde di «un pensiero politico modesto» – così lo definisce Albert Camus, nei suoi saggi pubblicati postumi, nel 1965 – «liberato di ogni messianismo e sgombro della nostalgia del paradiso terrestre». Così, alla fine della parabola sul fondo resta «solo» l’umanesimo radicale. Scrive Marx: «essere radicali significa andare alla radice; ora, la radice è l’uomo stesso».
Il mio consiglio, per apprezzarla appieno, è di leggere la introduzione solo alla fine.
E' la prima volta che mi capita di recensire una cosa di cui sono parte e provo un po' di imbarazzo. Quando qualche mese fa Giovanni Cominelli mi accennò all'idea di fare qualcosa di diverso per il cinquantenario mi trovai completamente d'accordo con l'idea di mettere l'autobiografia al centro della attenzione, perché raccontare è sempre meglio di giudicare e/o catalogare.
Quello che si capisce è che 50 anni fa eravamo persone diverse (e lo siamo ancora), ma messe dentro uno stesso contenitore ne veniva fuori un magma in ebollizione. In questo contenitore, in cui come apprendisti stregoni sognavamo di ribaltare il pianeta, avevamo tante finestre sul mondo che ci consentivano di arricchire il dibattito tra di noi, di scoprire che il mondo che volevamo rimettere a posto era maledettamente complicato e con molte sfaccettature. Da quelle finestre lasciavamo l'Università per tornare ai nostri territori di provenienza, alle nostre associazioni culturali, ai collettivi politici di territorio, alle famiglie, quanto mai diverse.
A fine dicembre 2017, Cominelli ci ha mandato una mail con associata una proposta di strutturazione della biografia di ciascuno: come mai sei capitato lì, che responsabilità hai avuto, dopo cosa hai fatto, quello che hai fatto pensi che possa aver lasciato una traccia in termini di eredità, cosa pensi di quello che sta succedendo?
Le persone che scrivono hanno operato in tutta Italia; per ragioni generazionali la loro collocazione nel decennio 68/77 non incomincia sempre con l'anno del cinquantenario, presentano retroterra socio-familiari che vanno dal mondo comunista a quello cattolico, dal punto di vista della collocazione politica nel decennio appartengono in ordine di frequenza al Movimento Studentesco delle Facoltà umanistiche della Statale di Milano (poi Movimento Lavoratori per il Socialismo), ad Avanguardia Operaia, a Lotta Continua; nessuno di loro (con l'eccezione di Cofferati ha fatto carriera politica); nella vita si sono ripartiti tra il mondo della scuola, quello dell'Università, quello del giornalismo, quello delle nuove professioni (come nel caso di Mannheimer o di Lanzone).
Segnalo la presenza di un testimone del movimento dei CUB (comitati unitari di base), Emilio Molinari, che poi sulla scena milanese e lombarda ha svolto il ruolo di profeta disarmato di una prospettiva altra rispetto alla evoluzione del quadro politico. Emilio, perché Molinari era Emilio, anzi l'Emilio, detto alla lombarda, ci racconta in presa diretta la nascita dei CUB.
I 23, ai tempi non li ho conosciuti tutti, ma quello che scrivono ci parla di vite interessanti meritevoli di essere raccontate. C'è chi ha scelto di rimanere sui tre anni accademici dal 67 al 69 che caratterizzano la fase più originale del 68 (io sono tra questi) e chi (la maggioranza) dovendo rispondere alle ultime domande poste da Cominelli (quelle sulla eredità), ha raccontato di sè in relazione agli anni 70 nella scuola e nella società. Mi scuseranno quelli che non cito, ma 23 sono davvero tanti. Questa è una piccola selezione.
Piervito Antoniazzi come tutti quelli che arrivano dal cattolicesimo sociale ne ha fatte di tutti colori anche se, negli anni caldi, ha fatto il responsabile nazionale degli studenti medi di AO.
Che dire del ’68? Ha diffuso una critica dei ruoli gerarchici, ha contestato la loro «autosufficienza», ma insieme ha creato l’illusione di una società «senza autorità». Mi sento «sessantottino» nella ricerca dell’impossibile, nella passione per le fasi di «statu nascenti». Sento che «il personale è politico», ma non credo più che basti la buona volontà e credo che «i doveri» vadano rivalutati.
Mi appassionava allora un motto di Bertolt Brecht: «Cambiate la società e, quando l’avrete cambiata, cambiate la società cambiata». A questo sono rimasto fedele. Preferisco costruire più che gestire. Ma, come diceva il mio «maestro» Bepi Tomai, grande dirigente aclista, con tipica espressione milanese, «forse noi siamo della linea ciula…»
Sergio Cofferati non ha bisogno di presentazioni ma qui ci racconta dei suoi primi anni alla Pirelli quando faceva la doppia militanza sindacale e politica (nel MS), del ruolo professionale di analista tempi e metodi («Sanguetta») inviso ai compagni del CUB e che, nel comitato paritetico per il cottimo, si relaziona con il potente segretario della sezione di fabbrica del PCI Ruggero Bonalumi (amendoliano): Insomma in quello stabilimento il «rivoluzionario» faceva le tabelle di cottimo e il «riformista » gliele contestava tutte. E la direzione impazziva perché non trovava il bandolo di quella matassa.
La mia generazione era animata da vere passioni e dalla ricerca di valori che le rendessero pratiche di militanza politica, sindacale o sociale. Valori condivisi con tanti altri giovani in tante altre parti del mondo. Si militava e si lottava sempre guardando lontano, nessuna delle nostre vicende veniva affrontata senza averla collocata in un contesto largo e internazionale. E si stava nsieme con gioia pensando a un futuro migliore per quelli che sarebbero venuti dopo. Oggi non è più così. La miseria dell’individualismo domina, la solidarietà è bene sempre più raro. E politica è parola che respinge. Certo non bisogna arrendersi mai, ma guai a non rendersi conto di quello che si muove intorno a noi. Vorrei solo ritrovare non l’energia, ormai persa per sempre, ma la gioia di «fare» con gli altri
Nando Dalla Chiesa era il figlio del generale, confesso di considerarmi una singolare combinazione di tre «S». S come Sbirro, S come Sessantottino, S come Sociologo. Arriva al pensionato della Bocconi nel 67 e fino ad allora era sempre vissuto in caserma. Un Sessantotto particolare, dunque. Rivoluzionario, ma con l’idea che lo Stato sarebbe stato meglio cambiarlo dall’interno. Durante quegli anni avevo soprattutto maturato un’irresistibile voglia di conoscere e capire il mondo.
È lungo e ricco il repertorio che giunge dalla gioventù. A ripensarlo oggi non appare poi così polveroso, purché lo si depuri dei toni ideologici e delle saccenterie, che furono infi nite. Così, benché di quel periodo provi idiosincrasia verso la dimensione ideologica e dottrinaria o verso l’intolleranza culturale, che ancora ciclicamente tornano a noi vestite a nuovo, mi vado accorgendo di come il Sessantotto abbia messo a disposizione dell’ultima parte della mia vita un pozzo di valore inestimabile. Non una divisa da miles gloriosus, ma un deposito prezioso di orientamenti e di principi
Vincenzo Gaudiano è un napoletano e il 68 lo incontra quando inizia la IV ginnasio; ci racconta del carattere un po' settario del nascente movimento, dei fascisti egemoni negli istituti tecnici, ed è da una riflessione contro il settarismo che decide di aderire al MLS.
Ai giovani di oggi vorrei innanzitutto trasmettere il fascino terribile di un’esperienza che ti cambia la vita. Le eredità, soprattutto quando sono collettive, sono terribilmente pesanti da portare. Mi piacerebbe aiutare le giovani generazioni di adesso a non addormentare il proprio istinto alla ribellione, che è connaturato alla condizione giovanile, ma anche a non accontentarsi di risposte semplici. In una società sempre più complessa non esistono risposte semplici ai problemi. Questo forse fu uno degli errori più grandi che commettemmo. Noi, che pure eravamo l’annuncio della società complessa, pensammo di risolvere i problemi con le categorie e le risposte della società precedente.
Anche se non ci vediamo da una vita con Giovanni Lanzone, dopo il 68, ho passato una parte importante della metà anni 70 quando stavamo nella segreteria nazionale di AO, io per via del Quotidiano e lui come responsabile nazionale scuola. E' sempre stato un fine intellettuale e in questo libro puntualizza molte cose importanti sul 68 la cosa più generosa del mondo.
Non ci provo nemmeno a riassumere il suo contributo (da leggere) che si incentra su tre considerazioni: la crescita del desiderio, il cambiamento strutturale del mondo che spiazza la sinistra tradizionale e rivoluzionaria, il ruolo del design e del design italiano nel ridefinire il concetto di merce (disegnare nuovi concetti per una vita nuova).
Renato Mannheimer è un altro dei bocconiani del MLS.poi passato al PCI (ma con una divertente parentesi iniziale in Servire il Popolo che racconta con gustosi particolari) ed è uno di quelli che descrivono il 68 con le sue pulsioni e le sue quotidianità. Durante le occupazioni si dormiva nei corridoi e nelle aule dell’Università, con brandine e sacchi a pelo portati da casa. Erano occasioni di riunioni e di dibattiti incessanti, ma anche di incontri più ravvicinati e più personali. Nascevano amicizie e amori, che in alcuni casi sarebbero durati tutta la vita.
A livello dei singoli coinvolti in diversi modi e con diversa intensità,il ’68 ha rappresentato la scoperta della dimensione della politica per un’intera generazione o per buona parte di essa. Tanti giovani hanno compreso i valori del sociale e dell’impegno individuale per migliorarlo, la necessità di valutare il mondo e di leggere la realtà sociale da un punto di vista diverso da quello consueto. E di agire per mutarla. Non tutti, negli anni successivi, sono rimasti di sinistra – e meno ancora di estrema sinistra – ma per la gran parte hanno conservato la spinta ideale e l’approccio critico che il ’68 aveva acceso in loro.
Non sono tutte rose e fiori e Ugo Volli, oggi ordinario di Filosofia della Comunicazione a Torino affonda il coltello, in chiave autocritica, piuttosto in profondità:
come tutti ho nostalgia della mia giovinezza, dei suoi desideri e delle sue passioni. Ma credo che gli anni passati a giocare all’«esercito popolare» (dove senza saperlo eravamo un po’ come i ragazzi della via Pal), a mettere in scena una rivoluzione inesistente, a masticare demagogia e concetti arretrati e falsi nel villaggetto chiuso dell’università, siano stati tempo perso. Anzi peggio, che siano stato un danno alla vita personale di chi vi partecipò e soprattutto a quella del Paese.
Come ho scritto in premessa ho scelto di parlare dei due o tre anni cruciali con qualche riferimento al prima, cioè al chi ero quando quella storia è incominciata. Volevo parlare di alcune cose del Movimento di Scienze che ho visto solo a Scienze, del fatto che eravamo molto orgogliosi di saper parlare a tutti, del fatto che il gruppo dirigente del movimento era fatto dai migliori di ogni corso, del fatto che da noi non si è mai parlato di abbassare livello e qualità degli studi, del fatto che amavamo la scienza e vivevamo la contraddizione tra l'amore e il tema della non neutralità.
Non ho allargato all'intero decennio per due ragioni: mi sentivo in difficoltà a condensare in poche righe la storia di una vita; si tratta di una esperienza troppo ricca di eventi e di fasi per raccontarla in dieci cartelle; già solo il racconto della nascita dei gruppi e del piegarsi del movimento studentesco ad altri fini ne avrebbe richieste altrettante. La seconda ragione è che in chiave autobiografica quel lavoro lo avevo già fatto un anno fa e lo trovate qui. Ci sono alcuni capitoli che riguardano quegli anni e parlano di cose specifiche come il servizio militare nel 70/71, l'impegno a costruire AO in Brianza, l'esperienza del Quotidiano dei Lavoratori, il bilancio negativo sulla parabola di AO a fine 1976 e sulla sua sostanziale implosione, la scelta di dedicarmi con passione al mondo della scuola e all'insegnamento critico della matematica e soprattutto della fisica (e almeno di quello rimane un manuale storico critico e attento ai fondamenti disponibile qui).
Tra un paio di settimane, sabato 26 maggio, noi del Movimento Studentesco di Scienze (e dintorni) ci ritroviamo a Fisica per il nostro cinquantenario. Abbiamo scelto di non fare nessun bilancio/rievocazione; non saremmo stati in grado di farlo, non avevamo voglia di dividerci, come sarebbe accaduto con una discussione sui perché … visto che abbiamo seguito strade diverse; abbiamo scelto di fare una breve assemblea di ricordi/suggestioni e poi dedicare un tempo adeguato per la dimensione affettiva, per il gusto di rivedersi in maniera gradevole e con il sorriso. Più amici che reduci.
Chi sono questi 23?
- Pier Vito Antoniazzi, classe 1953, Milano, il suo 68 è iniziato al ginnasio, responsabile studenti medi di AO, forti frequentazioni con il cristiuanesimo sociale, attualmente PD
- Luisa Bertolini, classe 1953, il suo 68 è iniziato al ginnasio, filosofia Milano, MLS, insegna storia e filosofia a Bolzano
- Maurizio Carrara, classe 1954, Bergamo, architettura Milano, inizia alle superiori a Bergamo in contatto con MLS, attualmente PD, presidente Pio Albergo TRivulzio
- Claudio Cereda, classe 1946, Villasanta, Fisica Milano, MS di Scienze, poi AO, dirige il QdL, dal 77 PCI, poi PD (problematico), docente di Matematica e Fisica nei Licei poi DS, ora pensionato a Siena
- Sergio Cofferati, classe 1948, tecnico in Pirelli, prima LS poi PCI, poi dirigente CGIL sino a segretario generale, deputato europeo L&U
- Nando Dalla Chiesa classe 1949, Milano Bocconi, MLS, poi anima libera nella sinistra, sociologo, saggista, professore universitario
- Fiorella Farinelli, classe 1943, laureata a Pisa nel 43 tra i fondatori de Il Potere Operaio di Pisa, poi LC, docente e quindi sindacalista CGIL scuola, dirigente al MIUR
- Franco Fabbri, classe 1949, iscritto a Scienze ma aderente al MLS, tra i fondatori ed animatori degli Stormy Six, attualmente docente al Conservatorio diu Parma e all'Università di MIlano
- Vincenzo Gaudiano, classe 1955, movimento studentesco medi Napoli, MLS, poi PCI, amministratore locale
- Giovanni Lanzone, classe 1947, filosofia Milano, responsabile scuola di AO, poi PDUP, giornalista, esperto di innovazione sui temi del made in Italy
- Renato Mannheimer, classe 1948, Movimento Bocconi, poi Servire il Popolo, MLS, PCI, esperto di sociologia della politica, giornalista e sondaggista
- Antonella Masi, classe 1950, Bari, laurea in storia/antropologia, MLS e poi movimento delle donne, impegnata nel sociale, gestisce una piccola imporesa di produzione biologica in Puglia
- Emiliio Molinari classe 1939, tecnico alla Borletti di Milano, animatore del movimento dei CUB, responsabile nazionale fabbriche di AO, DP, consigliere regionale, Verdi, senatore per un mandato, impegnato sui temi della partecipazione e dell'ambientalismo
- Rita Pavan, classe 1957, conosce il movimento giovanissima all' ITC, aderisce al MLS, impegnata nella CISL dall'80 diventa funzionario sindacale, attualmente segretaria CISL Monza-Brianza-Lecco
- Luciano Pero, classe 1945, uno dei tre espulsi della Cattolica di Milano (Capanna, Pero, Spada), filosofia, docente di organizzazione al Politecnico, Intesa e cattolicesimo sociale, poi LC, con cui rompe nel 72 (delitto Calabresi), si occupa di organizzazione di impresa e di sociologia del lavoro.
- Antonio Pioletti, clase 1945, Siracusa, ordinario di Filologia romanza a Catania, ha guidato il MS catranese in raccordo con quello della Statale di Milano, redattore di Giovane Critica, Falce e Martello, Servire il Popolo, MLS quindi impegno socio culturale
- Ulianova Radice, classe 1954, di famiglia radicalmente comunista, incontra il movimento al Manzoni di Milano, poi Filosofia con adesione al MLS, dagli anni 90 lavora con Gabriele Nissim nella ricerca sui Giusti.
- Danilo Taino, Cremona, classe 1955, movimento studentesco dei medi, poi MLS, laurea in Architettura, giornalista professionista a Reporter, Mondo Economico, Corriere della Sera (corrispondente dall'estero)
- Silverio Tomeo, classe 1951, incontra il 68 a Lecce tra gli studenti medi, incontra la politica quando il padre poliziotto lo spedisce a fare il militare alla Cecchignola, ritorna in Puglia e opera nel circolo Lenin con successiva adesione al MLS, saggista
- Alberto Toscano, classe 1948, pendolare da Novara, incontra il 68 a Scienze Politiche e vive tutta la fase iniziale del movimento in Statale, dal 73 iniziano i primi dubbi e nel 74 lascia il MLS, inizia a lavorare nel settore editoriale poi passa al giornalismo; vive ed opera a Parigi
- Gian Gabriele Vertova, classe 1944, Bergamo, dirigente della FUCI, laurea in lettere in Cattolica nel 68, opera nei movimenti socioculturali del mondo cattolico bergamasco aperti a sinistra passando per il MPL e poi per DP, nell'era prodiana è stato vicesindaco di Bergamo
- Sergio Vicario, classe 1948, laurea in Economia in Cattolica nel 1972; ha partecipato con compiti di responsabilità al lavoro del MLS sino a maturare una riflessione che lo porta al momento dello scioglimento ad aderire a posizioni popperiane sulla società aperta. E' stato tra i promotori dell'appello dei sessantottini per il sì al referndum costituzionale; si occupa di non profit
- Ugo Volli, classe 1948, professore ordinario di filosofoia della comunicazione a Torino, filosofia, di famiglia comunista arriva a Milano da Trieste, ci racconta in chiave autocritica la sua esperienza di movimento
Che fine ha fatto il '68? Fu vera gloria
Curatore: G. Cominelli
Editore: Guerini e Associati Anno edizione: 2018 In commercio dal: 03/05/2018 Pagine: 224 € 21.50
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