Dal Vietnam a Cuba – (3) il teatro spontaneo, i Tainos, la Santeria – di Roberto Ceriani
Il primo progetto sostenuto dal viaggio ci porta a visitare il Teatro espontaneo de l’Havana (improvvisazione teatrale). Una performance è disponibile su YouTube.
E’ una compagnia teatrale interdisciplinare, composta da musicisti, attori e psicologi. Loro si definiscono un laboratorio psicodrammatico per il recupero della spontaneità. Il format di improvvisazione prevede che una persona (attore o spettatore) racconti qualche cosa, un fatto accadutogli, un’emozione, un desiderio… e subito gli attori rappresentano quanto detto tramite espressioni visuali, posizioni corporee, scene di gruppo e, più raramente, anche parole.
I temi trattati solitamente riguardano disagi individuali o sociali legati ai temi più vari: AIDS, sessualità, condizioni economiche, disparità di genere, mutamenti socio-economici, desideri individuali e collettivi, ecc. Il primo impatto con il teatro è un po’ destabilizzante. Ti senti obbligato a dire qualche cosa senza averci pensato prima, ma il ghiaccio viene rotto dagli attori stessi che fanno la prima mossa. Ognuno inizia a raccontare qualche cosa di personale che gli altri attori non conoscono prima.
L’ambiente non è un vero teatro, ma una casa con un locale abbastanza grande da poter ospitare sia la scena, sia 20-25 spettatori seduti per terra o su sgabelli improvvisati.
Sul palco, o meglio sul pavimento utilizzato come palco, ci son quattro attori, tre donne e un uomo. Ai lati si trovano due suonatori-improvvisatori, una donna alla tastiera e un ragazzo ai fiati. C’è poi, fuori scena, una donna di colore con funzione di narratrice; se fossero in due o tre diremmo che c’è anche il coro.
Il tutto si svolge al piano terreno, con porte e finestre aperte verso la strada. A un certo punto davanti alla casa si ferma una macchina della polizia. L’attrice più giovane, una ragazza minuta sui 20 anni, si spaventa e fa un passo indietro, quasi come a cercare protezione in mezzo ai compagni di scena. La ragazza approfitta della situazione per raccontare una sua angoscia di questi giorni: aveva avuto una relazione con un cittadino straniero e la storia era poi finita, ma questo evento aveva sollecitato i sospetti della polizia che ha iniziato a perseguitarla con vari interrogatori accusandola di prostituzione.
Mentre la macchina della polizia si allontana gli attori raccontano quanto appena ascoltato con un insieme complesso di espressioni corporee e movimenti di gruppo che sembrano una composizione statuaria in lento movimento. La scena è molto forte, intensa ed emozionante. La giovane attrice partecipa con le lacrime agli occhi, avvolta dai corpi degli altri che la circondano fino quasi a nasconderla alla vista degli spettatori.
Provo un’emozione intensa che mi fa sentire vicinissimo a quella piccola ragazza, tanto debole quanto coraggiosa. Alla fine dello spettacolo la abbraccio e le dico che lei è più forte della polizia; mi risponde che è vero, perché i poliziotti sono tristi e lei no.
Quando è il mio turno di parlare racconto che quel mattino stavo fotografando una strada della città, quando vedo sporgere una mano che mi chiama dal piccolo finestrino di una casa. Mi avvicino un po’ perplesso e vedo dietro alla grata metallica il volto di una donna anziana che a gesti mi chiede di farle una fotografia. Provo ad accontentarla, ma lei mi ferma e mi indica di aspettare un momento. Sparisce e poi ritorna con in mano qualche cosa che non capisco cosa sia. Apre il pacchetto e con orgoglio distende dalla finestra una bandiera di Cuba: voleva una foto con la sua bandiera.
Gli attori riproducono la scena, trasformando la mano che mi richiamava in un richiamo lontano che ricorda il saluto della moglie di un marinaio mentre vede il marito allontanarsi in mezzo al mare.
Al termine dello spettacolo rimaniamo a lungo a parlare con gli attori. L’unico attore maschio accenna anche lui a un brutto trattamento subito dalla polizia, parlando di persecuzione omofoba.
E’ stata una serata straordinaria. Ognuno di noi ha dato ben volentieri i 25 euro previsti come sostegno a questo teatro, impegnato a portare la sua esperienza artistica nelle più diverse situazioni di disagio sociale. Disagi che certamente non mancano in questa isola baciata dal sole, ma violentata dagli uragani e dai governi.
I TAINOS E GLI SCHIAVI
Quando Colombo arrivò a Cuba nel 1492 trovò la popolazione dei Tainos e li descrisse come uno strano popolo che non conosceva il conflitto. In effetti, a parte un po’ di rivalità con i Caribe che abitavano altre parti dell’isola, prima dei Conquistadores europei nessuno rompeva le balle ai Tainos.
Dei 200.000 Tainos che prima di Colombo abitavano Cuba (anzi, l’isola Hispaniola), secondo Bartolomeo de Las Casas nel 1508 ne restavano vivi solo 60.000. Pochi anni dopo, nel 1531, se ne contavano circa 600. Oggi non è rimasta traccia di questo sfortunato popolo. Lo sterminio era dovuto alla spasmodica ricerca dell’oro, che induceva gli spagnoli a bruciare i villaggi Taino per trovare l’oro che, secondo loro, nascondevano.
E’ vero che l’isola di Cuba non ha miniere d’oro, ma i poveri spagnoli non lo sapevano quindi, se non lo trovavano, era chiaramente perché i Tainos lo nascondevano (un po’ come le armi chimiche di Saddam Hussein o le bombe nucleari iraniane. Se sei armato va bene, ma se non lo sei ti uccido perché fingi di non esserlo…).
Ecco così legittimato lo sterminio dei Tainos tramite uccisioni, diffusione di malattie e rapimenti vari. Oltretutto le Sacre Scritture erano state chiare: gli evangelizzatori avevano portato il Verbo in tutto il mondo. Se loro non erano cattolici era solo per una loro grave decisione colpevole, quindi ucciderli era una punizione meritata (…e poi dicono che l’ISIS si è inventato un metodo!).
In realtà allo sterminio dei Tainos hanno dato una mano anche loro stessi. Nell’estremo Est di Cuba c’è il fiume Yumuri, scavato nell’omonimo canyon, dove abbiamo fatto il bagno in mezzo a una fitta foresta. Yumuri è una parola che discende dallo spagnolo “Yo muero” (io muoio) e ricorda l’abitudine dei Tainos sopravvissuti di scalare le rocce del canyon per poi buttarsi giù, preferendo la morte a una vita da schiavi. Già, perché i colonizzatori spagnoli avevano bisogno di schiavi per coltivare la terra e quegli ingrati di Tainos, invece di ringraziarli come datori di lavoro, si suicidavano inaugurando le prime palestre di bungee jumping.
A questo punto cosa potevano fare i poveri spagnoli? Importare schiavi dall’Africa, obviously! E’ vero che lo schiavismo africano non è una bella cosa, ma in fondo era tutta colpa dei Tainos! Anche gli schiavi africani però non capivano quanto erano fortunati e, nel 1791, si ribellarono nell’isola di Haiti, proprio di fronte a Cuba. Scapparono in migliaia verso Cuba e ancora oggi nella parte est dell’isola gli abitanti hanno la pelle più scura di quelli dell’ovest; le 50 sfumature di marrone della pelle dei cubani riescono ancora oggi a battere i dettagli cromatici di PhotoShop.
LA SANTERIA
La cultura cubana ancora oggi risente molto della cultura originale africana importata dagli schiavi rubati alle loro terre dal ‘500 in poi per lavorare nei campi cubani, proprietà autodichiarata dei colonizzatori spagnoli. Gli spagnoli però erano anche ottimi educatori: con le buone o con le cattive spiegavano agli schiavi che le loro religioni animiste erano sbagliate e li invitavano, magari un po’ rudemente, ad accogliere la Verità dell’unica religione ammissibile.
Purtroppo però gli schiavi avevano la testa un po’ dura, quindi fingevano di aderire alla nuova Verità, nascondendo le loro credenze religiose sotto nuove spoglie. Nasceva così un insieme sincretico di pseudo-religioni ibride fra riti istituzionali cattolici e tradizioni animiste. Al tutto si aggiungono poi le varie sette protestanti importate dal Nord America, dando così luogo a una varietà di riti, credenze e tradizioni sufficiente a mettere in difficoltà anche il miglior antropologo.
Uno di questi prodotti sincretici è la Santeria, termine dispregiativo con cui gli spagnoli indicavano il modo in cui gli schiavi pregavano i santi cattolici. In realtà i furbi schiavi fingevano di pregarli, per evitare la condanna a morte, ma dietro queste esibizioni di cattolicesimo superficiale nascondevano la continuazione dei riti animisti africani (un po’ come i mafiosi nostrani molto devoti alla Madonna, che nascondono il loro vero credo sotto riti superficiali in cui non credono).
La Santeria esiste anche oggi. Una sera siamo capitati per caso a fianco di una casa al cui piano terra era in corso un rito santerico. Richiamati dalla forte musica che stordiva e ipnotizzava la gente che cantava in modo ossessivo, ci siamo avvicinati con grande prudenza, convinti di venire respinti come estranei.
E’ stata invece una sorpresa imbarazzante venire invitati all’interno della stanza, una normale stanza di pochi metri quadrati, al cui interno cantavano una cinquantina di uomini e donne con tamburi e altri strumenti tradizionali. Il rumore era assordante e il clima molto eccitato, ma l’invito non aveva nulla di “evangelizzante”; esternava solo la voglia dei presenti di farci conoscere quello che stavano facendo con tanto impegno, passione e convinzione.
Fra i comportamenti di queste religioni simil-cristiane c’è il rito di purificazione che per un intero anno impone ad alcuni volontari di vestirsi totalmente di bianco. Ogni tanto si vedono per strada uomini o donne vestiti di bianco, con scarpe e calze bianche e, spesso, anche ombrello bianco. Per un anno intero questi purificandi non possono mangiare alcuni alimenti proibiti e non possono toccare direttamente un altro essere umano. Nei negozi toccano la merce mentre il venditore non la tocca e nessuno può stringere loro la mano. Sarò forse un po’ superficiale, ma vedendo alcune belle ragazze vestite così (ma anche alcuni ragazzi) penso che stiano dilapidando un patrimonio dell’umanità…