Gesù era un rompipalle? – di Sergio Bianchini
Mattina del 4 marzo. Devo andare a votare e non ho ancora deciso definitivamente cosa fare. Vado in chiesa e ascolto attentamente la predica. “Gesù non è venuto per portare la quiete, a confermare le nostre certezze, è venuto a provocare, a farci mettere in discussione. “ Poi il prete, che sta sviluppando la predica in modo un po' anomalo, simile a quello di un animatore teatrale che cerca di promuovere il protagonismo del pubblico, dice sorridendo e ammiccando -”bambini chiudetevi le orecchie ”- e quindi dichiara la sintesi finale del discorso” Gesù era visto come…..un rompipalle”.
Pur conoscendo un certo gusto del paradossale che accompagna da sempre il cristianesimo ho trovato questa predica veramente fuori luogo. E fuori luogo non solo per la blasfemia lessicale quanto per l’inutilità e perfino la dannosità nella nostra situazione attuale.
La realtà italiana è caratterizzata non certo da sonnolenza e mancanza di tensioni interiori. Anzi, è proprio e in modo crescente permeata di litigiosità, di provocazioni, di esagerazioni e contro esagerazioni. Di tensioni crescenti sia politiche che relazionali e familiari. Di incapacità di governo e di sintesi costruttive.
Credo che nella chiesa, adesso come forse sempre, la gente vada per trovare una risposta incoraggiante all’ansia esistenziale determinata dalla turbolenza, incertezza, difficoltà della vita. E magari anche dalla noia. Comunque dalle problematiche individuali e collettive che la vita stessa genera. E cerchi nelle verità “eterne” una consolazione ed un sostegno. Far diventare anche la chiesa e la santa messa come il luogo dell’eccitazione interiore, del dubbio esistenziale, della rivoluzione psicologica permanente è, a mio parere, una strada senza sbocchi.
Oggi i …rompipalle abbondano, cosi come i precisatori a oltranza, i moralizzatori permanenti. Eppure le cose non migliorano. Mancano invece a tutti i livelli dirigenti capaci di governare le situazioni e farle evolvere verso il meglio.
La rivoluzione permanente è sempre fallita. In primo luogo proprio tra i rivoluzionari. Nella rivoluzione russa dove Trotski dopo la sconfitta dei comunisti tedeschi venne emarginato e Stalin (con Togliatti) consolidò l’idea della rivoluzione per tappe. Ma anche nella rivoluzione comeinista ed in tutte le vicende rivoluzionarie che abbattono tumultuosamente un potere e poi instaurano quello susseguente necessitando di passare alla stabilità ed allo sviluppo pacifico.
Questo scontro tra i rivoluzionari “permanenti” e quelli che propongono rotture e poi cuciture, avanzando per tappe, si trova in tutte le vicende storiche lontane che vicine. In Italia la vediamo oggi nei grillini. E in fondo rappresenta lo scontro tra due esigenze entrambe umanissime, quella del dinamismo e quella della stabilità. E ognuna delle due esigenze, se trascurata, si fa largo violentemente e massicciamente.
Oggi da noi, curiosamente, sono in sofferenza entrambe. La mancanza di cambiamento fa desiderare il dinamismo, ma il permanente stato di agitazione e di rissosità fa desiderare la stabilità. Abbiamo carenti sia il cambiamento che la stabilità. Siamo nella situazione della paralisi agitante, il morbo di Parkinson. Ci vogliono persone equilibrate e insegnamenti capaci di lenire la sofferenza in atto ed aiutare la gente ad essere più paziente ed allo stesso tempo capace di trovare soluzioni vere ai conflitti ed ai problemi compresi quelli psicologici e “spirituali”.
Se la chiesa, per paura di essere accantonata, si fa penetrare dalle schizofreniche dinamiche contingenti italiane non sarà travolta dalle insolubili contraddizioni che imperano nella realtà politica italiana? Non diventerà inutile per il mondo e perfino incapace anche di governare anche sè stessa?