la mostra su arte e cultura nel periodo fascista – di Daniele Marini
Ieri ho visitato la mostra Post Zang Tumb Tuum, Art, Life Politics Italia 1918 al 1943 (in inglese fa molto la Milano internazionale), esposta alla Fondazione Prada e curata da Germano Celant.
Il titolo si ispira a uno scritto di Marinetti che inaugura il movimento Futurista italiano. Ci sono andato su consiglio di una persona a me molto vicina e cara che ne aveva tratto un giudizio fortemente negativo, sintetizzabile in è una apologia del fascismo. Il mio giudizio è molto diverso: è un ritratto dell'Italia di quegli anni che ha prodotto artisti e opere di livello altissimo e riconosciute al livello internazionale.
Col passare del tempo questo giudizio si è lentamente nascosto. L'Italia ha vissuto il passaggio del secolo e l’uscita dalla I guerra mondiale in modo per niente passivo sul piano della produzione culturale. Il movimento futurista emerge ancor prima dello scoppio della guerra e nel dopoguerra si salda con il movimento fascista e diviene la sponda naturale ideologica dell’arte fascista.
Non dimentichiamo che l’influenza del futurismo italiano si esercita fortemente in Russia che nei primi anni post rivoluzione trova il momento di massima produttività. Ricordo poi il movimento DADA, inizialmente nato a Zurigo e poi espanso in Germania con la fine della guerra, e in particolare il progetto DADAGLOBE, ideato da Trista Tzara con lo scopo di raccogliere contributi da tutto il mondo, di rottura con la tradizione pittorica.
Queste osservazioni hanno il solo scopo di evidenziare come il futurismo e l’arte cui diede origine non fossero uno specifico italiano ma fossero pienamente collocati nella crisi dell’inizio secolo e della I guerra mondiale, manifestatisi in forme diverse e simili in tutta Europa e in America.
Inizialmente il fascismo ha coltivato e persino scelto questo movimento artistico come forma espressiva del regime. C'è indubbiamente stata una alleanza tra architetti, pittori, scultori e regime almeno fino al giuramento dei professori universitari nel 1931. L'opposizione politica socialista e poi comunista ha combattuto, ma molti che non sono stati mandati al confino o che non sono emigrati hanno continuato a produrre cultura e arte, cito tra gli altri Mafai e De Chirico.
Nella mostra sono esposte lettere affascinanti, come quelle in cui il curatore di una mostra a Venezia chiede al Rettore dell’Università di Torino che conceda un congedo al prof. Lionello Venturi, storico dell’arte. Poi altre lettere del Ministro che rimprovera Venturi di poco curarsi della vita di Facoltà, e infine la comunicazione ufficiale del congedo permanente per non aver accettato di pronunciare il giuramento al regime fascista.
Non si può negare che fino al '31 o forse fino alle leggi razziali del '38 la grandissima maggioranza degli italiani vedeva nel regime un riscatto del prestigio nazionale. E' inutile negare tutto ciò.
D'altra parte, dal punto di vista della produzione artistica, in questa mostra sono raccolti autori e opere che nulla hanno da invidiare a quel che veniva creato negli altri paesi negli stessi anni, indice della sintonia internazionale dei movimenti artistici del tempo.
Pensate al muralismo di Sironi e di Diego Rivera in Messico (e fa male rivedere le fotografie del salone della Triennale affrescate da Sironi che oggi sono un muro bianco rasato). Restano ancora tracce di queste opere nella Sala Marconi al CNR a Roma e sempre a Roma nell’aula magna dell’Università La Sapienza.
Rinnegare il proprio passato storico è un grande errore e oggi porta a una visione politica distorta dell'antifascismo. Non possiamo dimenticare che fino appunto alla seconda metà degli anni '30 l'Italia era molto apprezzata nel mondo, Churchill stesso era un ammiratore di Mussolini, e Roosevelt ricevette Italo Balbo autore di una trasvolata atlantica che fece scalpore.
Vediamo oggi le tracce dell'architettura razionalista italiana all'Asmara e ci ricordano la tragedia del colonialismo italiano, ma restano opere di qualità elevatissima. E questa architettura era comunque ben consapevole di quella di altri paesi, al punto che la sede della Banca Commerciale adotta il medesimo stile neoclassico dello Stock Exchange a Wall Street costruita nel 1903.
Molti edifici in Italia testimoniano l’architettura del tempo, dalla sede Montecatini a Milano, alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, troppi per elencarli. La stessa architettura razionalista italiana di questa epoca trae ispirazione in parte dal movimento architettonico della Scuola di Chicago, a cavallo tra fine ‘800 e inizio ‘900. E nel campo del design e della grafica innegabili sono le ispirazioni dal Bauhaus tedesco.
Insomma una produzione artistica perfettamente adeguata al tempo, per lungo tempo sostenuta dal regime, lo stesso regime che era visto da grandissima parte degli Italiani come una straordinario motore di crescita, rispetto e onore internazionale.
Aggiungo infine che ho visto una raccolta straordinaria di autori del futurismo come Balla o Depero che mai avevo visto tutti assieme. E ho visto visibilissimi i segni del nascente Disegno Industriale e della nuova grafica italiani.
Due parole sull’allestimento. Celant ha scelto di associare le opere alle esibizioni nazionali e internazionali in cui vennero esposte all’epoca, ricreando in alcuni casi uno scenario leggero, affiancando ai quadri originali, sbiadite copie di quelli che li affaincavano e offrendo al visitatore un assaggio del contesto espositivo originale. Una serie di filmati dell’Istituto Luce infine documentano momenti chiave, come la costruzione del Palazzo dell’Arte di Milano o l’inaugurazione della mostra celebrativa del decennio dell’era fascista. In questi filmati vediamo folle plaudenti e la potente retorica del regime. Anche questi sono elementi di contestualizzazione essenziali.
Ora non venitemi a dire che sono filo fascista. Mi son limitato a chiarire il senso di una mostra.