Macron e la laicità – di Giovanni Cominelli
Il 4 Gennaio scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto gli auguri alle autorità religiose francesi, con un discorso nel quale ha discusso del principio di laicità e delle sfide, che la Francia si trova di fronte, per nulla dissimili da quelle degli altri paesi europei, segnatamente dell’Italia. Ad ascoltare il Presidente c’erano il nuovo l’Arcivescovo metropolitano di Parigi, il Gran Rabbino di Francia, il Presidente del Concistoro ebraico di Parigi, il Presidente del Consiglio francese del culto islamico, il Presidente della federazione protestante di Francia, il Presidente dell’Unione buddista di Francia.
Una nuova laicità. Che cosa non è
L’approccio del Presidente francese ci riguarda, da molti punti di vista. Intanto, perché i temi sono gli stessi affrontati nel nostro Paese. E poi, per il lucido approfondimento dei fondamenti filosofici, cui viceversa sono assai poco interessati i leader politici italiani. Macron traccia il passaggio da ciò che è stato definito “un laicismo di combattimento” – ancora nella Quarta repubblica, fondata il 13 ottobre 1946, il Presidente Vincent Auriol rivendicò il diritto di imporre nel 1953 la berretta cardinalizia al nunzio pontificio Angelo Roncalli – ad una laicità di tipo nuovo. Lo Stato garantisce a ciascuno l’esercizio della propria fede così come il diritto a non averne nessuna. Può garantire, perché non prende parte a nessuna fede.
Macron scava dietro questo secolarismo alla francese, esplicitandone il non-detto ideologico e precisandone i confini. La laicità dello Stato, dice Macron, non è l’organizzazione di “una sorta di vuoto metafisico all’intersezione di tutte le credenze”. Poiché siamo consapevoli che l’individuo nutre sempre un’interrogazione esistenziale che il vuoto rende inquieta e insicura, allora la tentazione della laicità di Stato è quella di popolare questa zona vuota e neutra con una sorta di fede repubblicana forgiata da valori e tradizioni, erette a loro volta a credenze universali sul modello lontano del culto dell’Essere supremo dei Giacobini. Dice Macron: alcuni sognano ancora questa posizione, perché quel “culto” ha fatto un fuoco lungo. La tentazione c’è, perché la persistenza delle religioni e il risorgere di forme varie di preoccupazione spirituale – la profezia al riguardo è di André Malraux – sembrano ridare attualità a una forma di “protesi filosofica e morale”. Ma, citando Hannah Arendt, “la sanzione trascendente nel dominio della politica tentata dal culto dell’Essere supremo” non è affatto il senso della laicità francese.
La nuova laicità. Che cosa è
Cos’è, dunque la laicità, se non è questa pretesa di sostituire le religioni con una religione dello Stato o con una religione di Stato? Consiste, in primo luogo, nella rigorosa distinzione dell’ordine politico da quello religioso. La forza del Politico e del Religioso consiste nel fatto che le fedi non partecipano del potere politico e di conseguenza non lo legittimano. Il potere politico e le fedi si legittimano ciascuno nel proprio ordine.
Nella visione di Ernst-Wolfgang Böckenförde, viceversa, lo Stato, essendo nato da un processo di secolarizzazione, sarebbe orfano di legittimazione, soffrirebbe della nostalgia dei fondamenti, che solo la religione ha. Visione grosso modo condivisa dai cosiddetti atei devoti, che affidano alla religione il ruolo di collante della società civile e dello Stato, e da quanti intendono usare la religione se non come instrumentum regni, almeno come bacino elettorale.
Nella visione della laicità di Macron, la Repubblica non chiede a nessuno di dimenticare la propria fede né di praticarla più o meno moderatamente; semplicemente esige il rispetto assoluto delle leggi della Repubblica. D’altra parte, i credenti sono cittadini della Repubblica, partecipano alla vita della nazione a partire dalla propria interiorità religiosa e perciò sono anch’essi parte dello spazio pubblico e del processo democratico legislativo in quanto elettori o eletti. La laicità deve dunque tener conto della tensione che vive in ciascuno tra il suo essere credente e il suo essere cittadino. A questo punto, dal punto di vista teorico le cose parrebbero “sistemate”.
Le zone di confine. E di confronto-scontro
In realtà, sono solo tracciati i confini di un territorio, dentro i quali si aprono confronti/scontri sui temi del vivere comune, sui quali la società civile si divide, lungo linee di faglia a volte profonde e a volte intrecciate. Il Presidente francese indica come primo terreno quello delle leggi sulla bioetica, sulle quali il Paese est “profondément fracturé”. Qui non sarà facile il confronto, dopo che a succedere al Card. André Ving-Trois è stato designato un mese fa Mons. Michel Aupetit, un ex-medico fortemente impegnato intellettualmente in campo bioetico, su posizioni combattenti – “ la coscienza del nostro Paese è sotto anestesia” – fortemente conservatrici secondo i giornali laici. Il secondo tema è quello dell’accoglienza degli immigrati. La Francia, come l’Italia, d’altronde, è aperta al mondo, la sua storia è ormai universale, nel senso che importa le tensioni che provengono da posti lontani migliaia di chilometri dal nostro. La politica francese si trova di fronte gli stessi dilemmi: apertura come dovere morale e insieme verifica realistica della capacità effettiva di accoglienza. No all’estremismo alla Le Pen, ma anche ad un estremismo della generosità, che non fa i conti con le capacità effettive di accogliere. Si direbbe la linea di Papa Francesco.
Un altro punto è quello dell’insegnamento religioso: la Francia – eccetto l’Alsazia-Lorena – non prevede l’insegnamento religioso a scuola. Di qui la promessa di formare gli insegnanti, così che sappiano spiegare non solo la storia del Paese, incomprensibile senza la storia religiosa, ma, anche il fatto religioso nella sua pienezza. Sulla questione islamica, Macron chiarisce che lo Stato non combatte nessuna credenza, ma solo le pratiche che si mettono fuori dell’ordine repubblicano. La difficoltà di dialogo viene anche dal fatto che la religione islamica non è strutturata come una Chiesa con le sue gerarchie e i suoi vertici responsabili. Qui, confessa Macron, si procede a tentoni. Tanto vale che si proceda a tentoni insieme.
Sì, perché emerge dall’intero discorso la consapevolezza di vivere tutti quanti su una barca nella tempesta, quella della globalizzazione, in cui ogni individuo e ogni nazione sono coinvolti.
Si tratta di una sorta di appello dal punto di vista di un ecumenismo laico, che vede nel 2018 festeggiare il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma anche quello della creazione del Consiglio ecumenico delle Chiese, ma anche quello dell’elezione del patriarca di Costantinopoli Athenagora, grande motore dell’ecumenismo. E anche quello della morte di padre Franz Stock, che il Nunzio Angelo Roncalli definì, sulla sua tomba, “non solo un nome, ma un programma”, considerando la sua azione a favore della riconciliazione franco-tedesca.
Se quella di Macron è retorica, certamente è buona. Non è la soluzione dei problemi, ma delinea un quadro di consapevolezza entro il quale affrontarli. E straordinaria per la sua attualità è la citazione tratta da Jean Jaurès, il leader socialista assassinato il 31 luglio 1914 in un caffè di Parigi da Raoul Villain, un giovane nazionalista che voleva la guerra contro la Germania: “Il serait mortel de comprimer les aspirations religieuses de l’âme humaine; dès lors qu’il aura dans l’ordre social réalisé la justice, l’homme s’apercevra qu’il lui reste un vide immense à remplir”. E’ un vuoto che parecchi tendono a riempire con discorso di odio e di morte. Sì, la riflessione politica francese ci tocca da vicino.