Cara Fedeli ti scrivo – 2 La lotta di classe e i rapporti tra le persone
Caro Ministro dell’Istruzione,
spero non le dispiaccia se le racconto una storia di lavoro, perché non si sa mai che magari aiuti.
Dall’età della ragione ho imparato che papà faceva un lavoro impegnativo: era il capo del personale in un’azienda di media importanza e fatturato, quando ancora si poteva fare una discreta carriera per meriti sul campo, anche se essere miti già allora non aiutava. Ma la cosa che ricordo più di ogni altra era che quasi ogni settimana discuteva forte con il signor Pa.
Pa era un operaio specializzato bravo, bravissimo a detta di papà, ma era anche un sindacalista convinto che i diritti dei suoi compagni dipendessero da quanto litigava con lui. Papà era ed è un uomo buono, non perché lo dica io, ma perché ha sempre dato del lei alla vita ed è cresciuto alla scuola di chi sa che una laurea non serve a nulla, se non si ricorda di avere fatto le elementari.
Papà stimava molto Pa, lo faceva in cuor suo e a casa, ogni volta che la mamma si preoccupava che tutte quelle arrabbiature potessero fargli male. Lo difendeva soprattutto quando i titolari minacciavano provvedimenti disciplinari e allora si precipitava a tamponare situazioni rischiose per quel giovane uomo “onesto, ma nervoso”.
La storia era sempre la solita: Pa andava a rivendicare qualche diritto calpestato in genere il lunedì mattina e papà tornava cupo già la prima sera della settimana. Le battaglie di Pa non erano sempre comprensibili a noi, però non potevamo neppure protestare troppo, perché papà replicava che l’unico a rimetterci era sempre il signor Pa, che così giovane aveva già un’ulcera brutta. E poi in più di una occasione il signor Pa aveva avuto parole di stima per papà, che non era propriamente nemmeno un capo, solo un collega con altri compiti, che svolgeva nel rispetto dei diritti di tutti. Credo che di nascosto dalla Direzione e dalle rispettive famiglie, qualche bicchiere di vino in mensa l’abbiano anche condiviso, dopo una trattativa dura ma leale.
All’epoca di questa storia, a scuola si studiava una poesia di Gianni Rodari, che parlava dei colori dei mestieri, fossero bianchi panettieri od operai dalla tuta azzurrina, e le generazioni crescevano imparando che il lavoro era pulito quando era rispettato e rispettoso.
Oggi continuiamo a essere fondati sul lavoro, e nelle aule facciamo gli “alternativi”, ma non significa che se ne conosca il senso e l’importanza della sua narrazione.
Tanto per ripartire, si potrebbe (far) rispettare quel fare e disfare che nella scuola è tutto un lavorare.