Analfabetismo di ritorno – di Massimo Brambilla Fisico Politecnico di Bari
La deriva verso l'analfabetismo funzionale dei giovani che mi ritrovo davanti è evidente da molti anni, certamente più di una dozzina, anche se la gradualità del fenomeno, i fattori geosociali e quant'altro rendono difficile individuare pietre miliari precise.
Insegno Fisica di base ai futuri ingegneri (ed anche soggetti più avanzati alle lauree specialistiche in Fisica, ma non mi riferirò a questo ambito, trattandosi di un campione di studenti ridotto e molto selezionato/motivato) e la numerosità dei corsi, unita all'impossibilità di avere esercitatori strutturati sono tali da impedire praticamente qualunque efficacia pedagogica sui singoli casi, posto che l'università sia luogo appropriato per questo tipo di interventi. Infatti a partire dalla riforma Gelmini sono scomparsi circa 6000 docenti dal sistema universitario italiano. Quando è possibile si ottengono uno o due moduli da 20 ore di esercitazioni, da attribuire ad un dottorando.
La Fisica richiede chiarezza di pensiero, possesso dei processi per formularlo e dei termini per esprimerlo in maniera appropriata. Occorre precisione terminologica ('massa' e 'peso' non possono essere utilizzati in modo equivalente); distinzioni concettuali e.g. tra leggi fisiche e teoremi matematici applicati alla Fisica deve essere chiara; i processi di costruzione delle leggi richiedono logica, induzione e deduzione, per capire come un'osservazione corrobora un'ipotesi, o un 'experimentum crucis' discrimina due teorie.
Sono assolutamente convinto che la lingua sia uno strumento flessibile ed in continuo divenire, che le forme di comunicazione adattino e plasmino la lingua, ed altresí che tutte 'le lingue', che si sono avvicendate e ancora oggi convivono, mantengono una loro funzione. E tuttavia non è possibile in nome di questa dinamicità giustificare ogni cosa.
Scrivere a 160 caratteri può essere arricchimento linguistico, ambito di neologizzazione, creazione e diffusione di idioletti, esercizio di sintesi, certo; ma quando la comunicazione nata nel claustrofobico sms esonda e colonizza il resto dello spazio comunicativo, il risultato è un impoverimento netto, e non serve raccontarcela altrimenti.
Possiamo certo aspettare pazientemente che tutta una società smetta di considerare inaccettabile un vocabolario ridotto a trecento parole, ma dubito che aiuterà l'ascensore sociale (per dire una) a rimettersi in moto.
Naturalmente i problemi sono anche molto anche più basilari, come ad esempio dare un problema con il termine 'semisfera' e vedere svolgimenti utilizzare una sfera. Quanti siano ascrivibili alla mancanza di terminologia o di capacità di decrittazione di un testo 'specialistico' e quanti alla superficialità di lettura, è difficile a dirsi (proprio per la mancanza di tempo e strumenti per l'intervento mirato).
Si sovrappongono certo diversi strati di lacune: la capacità di comprendere un testo, la superficialità nella lettura, nonché la riduzione del vocabolario alla quale partecipano in primis media, ambiti familiari/amicali e mancata educazione alla lettura autonoma. Poi naturalmente possiamo alzare polveroni sul nulla di un 'petaloso' (la neologizzazione è un'attività infantile/giovanile da sempre, solo che ora si incrocia alla brama di affermare il soggetto come 'sovradotato' in tutti i modi).
Mi vengono subito in mente le funeste annotazioni di matrice anglosassone "la lettura di questo testo richiede mediamente 6 minuti" che popolano da qualche anno la maggior parte dei documenti tecnici e che da informazione sul tempo minimo da allocare affrontando il testo, diventano il tempo da dedicare tout court.
Vale la pena di ricordare che nelle Università al top delle classifiche le letture richieste ruotano sempre attorno a elementi miliari e poco digeribili e che i programmi rivoluzionari delle istituzioni formative finlandesi possono contare su una classe docente (formazione, aggiornamento, valorizzazione e ricambio), tecniche pedagogiche, strutture e supporti che il nostro Paese non sfiora neppure.
Anche nelle Università si assiste ad una china discendente nella formazione e selezione: anni di riduzione di fondi, di riforme inefficaci quando non dannose (sia per indirizzo politico che per l'uso che essa stessa ne ha fatto), demotivazione dei docenti, difficoltà strutturali di competere con l'estero, sono tra i principali motivi della deriva. E comunque, se da una parte l'Europa chiede di innalzare il tasso di laureati e in casa mancano persone, soldi e strumenti, la via più breve è indirizzare il sistema alla semplificazione dell'iter mediante riduzione della selezione.
Parte di queste azioni vertono sulla trasformazione della prova in prevalente forma scritta. E quindi alla difficoltà di espressione orale viene sostituita una elaborazione scritta dove comunque si evidenziano le carenze già descritte sulla logica di esposizione, accuratezza della risposta, affastellamenti di 'non sequitur' e così via. E spesso l'elaborazione del quesito viene ridotta alla enunciazione di leggi e cose studiate senza alcuna preoccupazione se quanto esposto risponde alla domanda posta. Ho detto cose giuste, male non andrà…
Ammetto di avere smesso di tentare (con tempo, fatica e risorse) di introdurre elementi alternativi che riformassero il metodo di apprendimento. Ad esempio, per diverso tempo ho raccolto applets e animazioni disponibili in rete che potevano costituire una specie di laboratorio virtuale, almeno su alcuni temi monografici, e che illustravo in aula. Alla fine le percentuali di studenti che erano in grado di utilizzarle in sede di esame o che venivano ai ricevimenti in studio per chiedere chiarimenti o approfondimenti erano da PIL dedicato alla formazione.
Personalmente credo che nella lettera dei 600, messa a parte ogni altra considerazione o polemica su uova e galline, il punto centrale è l'appello diretto a chi determina le linee generali della formazione. Da troppo tempo il Paese segue una strada di dequalificazione formativa, come se l'obiettivo trasversale fosse una coreizzazione della nazione in Europa; questa è la tendenza da invertire, di tempo non ne è rimasto molto e le correnti contro cui remare crescono di anno in anno. Quando si intende puntare sulle eccellenze si ricorre a programmi di rientro dei cervelli (in quale ambiente andranno a insediarsi?) o di pesca delle punte massime (cattedre Natta); ma il flusso netto rimane saldamente in perdita.