discutendo di ammissione all’esame di stato
Una premessa, prima di entrare nel merito; le mie argomentazioni in merito alla valutazione fanno riferimento a professori che sappiano cosa significhi valutare, che conoscano la differenza tra misurare e valutare, a Dirigenti Scolastici che si ricordino di appartenere ad una particolare categoria di dirigenti che richiede, per accedere alla professione, di aver fatto il professore e di operare dentro una organizzazione che ha come scopo principale il successo formativo e la crescita di cittadini onesti e consapevoli.
Scrivo queste cose perché la discussione sulle modifiche all’Esame di Stato è stata ed è viziata (da entrambe le parti) da forti limiti di superficialità, a volte voluta, che rischiano di far abbassare il livello della discussione.
Cito due esempi che risentono di tutti i limiti delle discussioni sui social network, la concisione che finisce per produrre provocazioni più che ragionamenti. Su Twitter ha scritto Francesca Puglisi responsabile scuola del PD: “Meglio i 4 e i 5 trasformati in 6 per ammettere i ragazzi all’esame, o la reale valutazione degli studenti e la media del 6?“. Ed è immediatamente arrivata questa replica: “Hai 3 in matematica, 4 in fisica, 9 in condotta e 8 in ginnastica.
Ammesso. Vergognoso. Vergognoso“.
Poi la discussione si è allargata e lo stesso Marco Campione che lavora nello staff del ministro Fedeli ha riconosciuto che la questione della ammissione automatica non va tanto bene. Buon segno.
E’ un bene che il curriculum scolastico abbia un peso significativo? L’ho già scritto, SI’, e lo confermo, l’aumento di peso del punteggio del credito è positivo; detto ciò è un bene che l’esame di stato sia preceduto da uno scrutinio in cui il consiglio di classe valuta la ammissibilità del candidato e, in quel caso, a cosa deve fare riferimento il consiglio di classe?
L’Esame di Stato deve avere dei filtri per due ordini di ragioni: 1) perché in sede d’esame non è pensabile che si possano condurre accertamenti a 360° 2) perché altrimenti diventerebbe insensata la differenza di trattamento con i privatisti. I candidati interni arrivano all’esame con una certificazione di percorso e tale certificazione di percorso deve essere vagliata preventivamente: ti mando all’esame anche in presenza di qualche manchevolezza, ma contemporaneamente garantisco che c’è uno zoccolo duro di competenze e conoscenze.
L’ultimo anno di scuola media superiore non deve diventare un anno di parcheggio, perché tanto c’è l’esame e l’esame si fa solo su alcune cose. E’ un anno di completamento e il completamento riguarda tutte le discipline. Ce le ricordiamo le classi quinte dell’era pre-Berlinguer quando dopo l’uscita delle quattro materie d’esame le materie residuali venivano abbandonate dalla intera classe e spesso anche dal docente? E cosa dire della fase in cui c’era l’ammissione (con giudizio) ma i consigli di classse erano del tutto svincolati da criteri di uniformità? L’adozione da parte delle scuole di deliberazioni in ordine alla valutazione e ai criteri da adottare in quella finale dell’ultimo anno sono stati un passo in avanti.
La gestione Gelmini (Bruschi) puntò ad introdurre un maggiore rigore adottando il principio della mancanza di insufficienze che i dirigenti scolastici e i collegi docenti più avveduti trasformarono in strategie di recupero da attivare in corso d’anno, nella personalizzazione dei percorsi, nella definizione dei livelli minimi di competenza in vista dell’esame. La normativa di assegnazione dei voti non è cambiata; con tutte le difficoltà e cautele del caso essa continua ad essere collegiale e il docente di materia propone una valutazione (già diversa da una semplice misurazione) e il Consiglio di classe può confermarla o respingerla (in via eccezionale e naturalmente motivandola).
L’elemento di novità nella proposta di DLGS è la assunzione del criterio della media in cambio della esplicitazione dei cosidetti voti veri. A me, sul piano concettuale questa dei voti veri sembra un arretramento culturale ed eviterei anche di scendere sul terreno proposto provocatoriamente da Franco De Anna della media ponderata. Ci mettiamo condotta ed educazione fisica ma assegnamo alle diverse discipline un peso diverso in base al monte ore, al grado di professionalizzazione coinvolto, … Se vogliamo fare in modo che alcune insufficienze compaiano nel tabellone di scrutinio meglio fare due cose: a) mettere dei paletti in ordine a numero e gravità b) farle incidere sulle fasce per la assegnazione del credito c) introdurre obbligatoriamente un giudizio analitico di ammissione in presenza di insufficienze (cosa ha fatto la scuola, come ha lavorato lo studente, qual è il grado di distanza dagli obiettivi minimi) d) lasciar perdere il riferimento alla media (con o senza la condotta) che comunque già si esamina nella assegnazione del credito.
Credo che un altro correttivo debba essere preso in esame con riferimento alle prove Invalsi. Si tratta di uno strumento che il sistema nazionale di istruzione ha a disposizione per orientare l’azione delle scuole su scala nazionale in riferimento alla cosidetta literacy (alfabetizzazione) che ha sue specificità con riferimento alla lingua italiana, alla lingua straniera e alla conoscenza scientifica (ivi inclusa, ma non in modo esaustivo, la matematica).
Va bene aver introdotto la ordinarietà delle prove Invalsi tagliando le unghie alle varie forme di boicottaggio messe in opera da studenti (ma anche docenti) in questi anni. Le prove si fanno e vanno anche valutate (nel senso del voto e nel senso delle implicazioni sulla didattica). Se un docente di fronte a richieste del tutto sensate e legittime che hanno visto i suoi studenti in condizione di analfabetismo non applica dei correttivi alla didattica è un bel problema.
Va altrettanto bene inserirne i risultati nel curriculum; si ritorna a parlare di portfolio? Si dà la possibilità alle Università di usare quelle prove per incidere sui punteggi per le ammissioni ai corsi di laurea a numero programmato. Non va bene (per difetto di coraggio) il non tenerne conto per la ammissione all’esame. Che senso ha eliminare la III prova (che ha oggettivamente dato cattiva prova di sè) e rinunciare del tutto a forme di valutazione ad ampio spettro e gestite dal centro?
Trovo che ci sia nel decreto legislativo un atteggiamento un po’ schizofrenico: da un lato si va nel senso di una facilitazione dell’esame che ha portato molti colleghi ad interrogarsi “vale la pena di spendere per una prova sostanzialmente inutile?” (ammissione garantita, eliminazione della III prova, peso ridotto del colloquio) e dall’altro ci si propone di definire meglio le caratteristiche formali e la valutazione di I e II prova (attesi due decreti ministeriali sul tema). In questo quadro c’è la spada di Damocle della prova scritta di Fisica allo scientifico (con ansie, rumors, e prese di posizione ostili in ambito professionale ed accademico).
Credo che il dibattito nelle commissioni parlamentari possa essere occasione, per il governo, per raccogliere suggerimenti e uscirne con una scrittura finale che tolga margini di dubbio su una presunta linea del vogliamoci bene e sia caratterizzata da modifiche ben motivate, non ambigue e che vadano nel senso della efficienza e della modernizzazione. Chiudo con un esempio: alla Alternanza Scuola Lavoro ci crediamo davvero? In un contesto di crisi del nostro sistema economico produttivo mi giungono notizie relative alla difficoltà di organizzarla anche da parte di Istituzioni Scolastiche che ci credono. Non è il caso di ridurne il peso nei Licei? Non è il caso di evitare palliativi quali l’impresa simulata e tutte le iniziative della serie facciamo finta? Ci mancherebbe che le malefiche tesine venissero sostituite da malefiche relazioni che raccontano il nulla esperienziale, però con tanti paroloni.
Articolo scritto per Scuolaoggi