dire pane è dire uomo
Nella mia vita ho fatto un paio di volte delle diete pesanti, di quelle con il foglio delle istruzioni con gli alimenti ammessi, le porzioni e i cibi proibiti. In entrambi i casi, ho accettato di eliminare del tutto alcuni alimenti (per esempio gli insaccati o il vino), ma non ho mai accettato di togliere completamente di mezzo il pane, magari ridurlo, ma non eliminarlo (dottore tiri pure via la pasta ma non mi tocchi il pane).
Il pane ha profumi che rimandano all'infanzia e, quando è buono fa da pane e companatico. Quando ero bambino non ce ne erano tante varietà e i tre chili giornalieri che consumavamo venivano da due prestinai messi a 50 metri da casa, uno in su (Spreafico) e l'altro in giù (l'Alfredo prestiné). Prestinaio è un termine che si usa in Lombardia ed è la italianizazione del prestiné dialettale che, a sua volta, viene dal tardo latino pistrinum (mulino, forno).
Dall'Alfredo c'erano il pane comune, i panini di semola, i francesini, il lavorato e il pane all'olio. Facevamo due carichi, un chilo di panini di semola presi insieme al latte (la lattaia stava nel negozio subito dopo) per bloccare la fame del mattino. Il secondo carico lo faceva la mamma prima di mezzogiorno ed era a base di lavorato (banane tipo brioche avvolte a salamino e simil tartarughe, ma più lunghe di quelle che si fanno ora) e di francesini fragranti, ben cotti e infarinati. In negozio c'erano lui e la signora Ebe; più tardi sarebbero compoarse le figlie mentre il maschio, Orazio, amico di mio fratello, incominciava a dare una mano al forno.
Da Spreafico prendevamo il terzo chilo, erano michette più grandi e più soffiate rispetto a quelle dell'Alfredo, con il cappellino in cima che ci divertivamo ad asportare e mangiare immediatamente, ma da Spreafico si comperava anche il pane giallo (con crusca e farina di mais) che sapeva di antico, per le zuppe, e i primi pani di pezzatura grossa, probabilmente fatti per venire incontro alla immigrazione dal Sud, in particolare a quella pugliese.
Non si comperava altro (al più la pasta che vendeva anche il salumiere) perché dal prestinaio si vendevano solo il pane e i suoi derivati come i grissini, fatti a mano, una delizia, lunghi e irregolari. Non c'erano focacce, pizze, pizzette, brioche e compagnia. La prima focaccia l'ho vista in Liguria quando sono andato in collegio. Il prestinaio fa il pane. Mi viene in mente una filastrocca di quelle usate per la conta nei giochi di gruppo: prestinée l'è cot ul pan? L'è un poo brüsa! Chi l'è ch'è staa? … e avanti così.
Avevo sempre pensato che per fare il pane in casa servissero chissa quali attrezzature e invece ho scoperto che basta avere un forno elettrico di tipo domestico in grado di raggiungere i 240° e avere il gusto di maneggiare la farina, così ho incominciato ad esercitarmi.
Scegliere la farina è un po' come scegliere l'olio, c'è in giro di tutto e anche se escludi quelle che costano troppo poco, rimane sempre il problema del giusto rapporto qualità/prezzo e l'unica è provare, guardare il risultato e selezionare su quella base. Trovo inutili i peana a favore dei grani antichi e della filiera corta visto che in Italia importiamo il 70% del grano tenero e persino il grano duro, anche se siamo il secondo produttore mondiale. Magari prima o poi mi convertirò alle farine di nicchia visto che pagare una farina buona 2 o 3 € al chilo non mi pare drammatico, Ma il mio problema è la mancanza di garanzia di fronte a prodotti che escono comunque da una fliera, quella industriale, di cui non sappiamo nulla.
Vale lo stesso per il lievito: in genere escludo quello liofilizzato a favore del prodotto vivo, ma non mi convincono i fondamentalisti del lievito madre, in particolare quelli che si vantano di usare da anni lo stesso impasto continuamente rigenerato. Quello di birra e quello madre sono prodotti vivi fatti di organismi unicellulari che mangiano zuccheri e producono anidride carbonica. Preferisco optare per quello di birra per ragioni di comodità e soprattutto di igiene; mi chiedo cosa ci sarà, accanto al buono e genuino, in quei panetti di farina riutilizzati per anni e dunque ampiamente contaminati.
Quella del lievito è una specie di reazione a catena e dunque bisogna accendere bene la miccia; il modo migliore per farlo è usare acqua tiepida con aggiunta di un po' di zucchero ed eventualmente un po' di farina in modo che i microorgansmi inizino a lavorare. Lo si vede dalla formazione di schiuma in superficie. Il liquido sembra bollire.
Le cose che contano davvero nella lievitazione sono la pazienza e il dosare correttamente l'acqua, nè troppa nè troppo poca; la palla che si forma deve essere soda ed elastica in grado di tenere in piedi un cucchiaio di legno, se lo impiantate a mo' di pennone. Il pane lo faccio con la semola di grano duro aggiungendo un 30% di farina 0 di grano tenero, meglio la Manitoba.
Bisogna poi ricordarsi che, se si usano miscele di farine diverse, alcune di esse, come quella di castagne, di riso o di grano saraceno, non trattengono l'anidride carbonica su scala microscopica e allora servono più acqua e la copertura dell'impasto per evitare che tutto il gas abbandoni la pasta, man mano che si forma, senza gonfiarla adeguatamente. Ma se si usa più acqua bisognerà poi che la lievitazione finale e la cottura avvengano in uno stampo.
Il lievito è pronto e si può cominciare il lavoro che dà più soddisfazione; servono un tavolo solido e se non avete uno di quelli in legno raschiabile va bene anche una tovaglia in plastica pesante che regga la spatola quando farete pulizia; la farina messa a mo' di vulcano, il sale grosso, l'acqua lievitata e l'olio extravergine. Attenti al sale, ci vuole ma bisogna ricordarsi che è un nemico del lievito e per questa ragione è bene accendere bene la miccia prima dell'arrivo dei pompieri.
Maneggiare l'impasto rimanda all'infanzia, a quando si giocava con il fango (la palta), si fa fare ginnastica alle mani e bisogna insistere perché l'azione dell'acqua e elle mani trasforma il glutine e ve ne accorgete dalla elasticità della palla. Il tempo dipende dalla forza della farina, ma è meglio insistere piuttosto che accontentarsi di poche manipolazioni e mentre si lavora si può aggiungere, se serve, un po' di farina sino ad ottenere la consistenza giusta.
La palla che si è formata la metto in una bella ciotola, la taglio in superficie, la copro e la metto al caldo (mai oltre i 50°) perché le bestioline devono mangiare, riprodursi e fare gas. Dicono tutti che bisogna aspettare che l'impasto raddoppi il suo volume e grosso modo è vero, ma il vero messaggio è non avere fretta. Così, solitamente, dopo il primo raddoppio, rifaccio l'impasto e, a questo punto, aggiungo gli optional (sesamo, girasole, lino, seme di zucca, papavero, …) e assaggio l'impasto, che non va bene finché si sente il sapore amarognolo del lievito. Una nuova lievitata e siamo pronti per la fase finale che dipende da cosa volevate fare: c'è pane e pane…
La cosa più semplice è quella di fare un pane unico; potete sbizzarrirvi con una semisfera o spianare il tutto. Sì, ma dove? Non uso mai contenitori, appoggio sulla griglia del forno un foglio pesante e uno leggero di teflon. Il pane cuoce meglio se è libero e l'ultima lievitata la fa libero di crescere, aiutato da qualche incisione nella parte superiore. Per questo l'impasto deve essere sufficientemente solido e mantenere i gas all'interno, crescere senza spargersi a macchia d'olio.
In alternativa potete fare una spianata alta sui tre centimetri (destinati a diventare almeno cinque) e poi con il coltello fare tanti tagli a formare rettangolini e ficcare il dito indice al centro di ciascuno di essi, Vengono tante monoporzioni che potrete servire con gli antipasti e con i formaggi lavorando sui contrasti di sapore.
In ogni caso, alla fine, spennellate il tutto con un po' di acqua tiepida e, se via piace, spargete dei semi di papavero o di sesamo che, grazie a questo accorgimento resteranno ben aderenti dopo l'ultima lievitatura. Adesso siamo pronti; forno a manetta e quando è ben caldo infilate la vostra creatura per almeno 15 minuti al massimo di temperatura.
In questa fase si forma la crosta superficiale mentre all'interno, per qualche minuto continua a formarsi gas che gonfia l'impasto. Poi scendete a 180-200 gradi e continuate la cottura per un tempo complessivo tra i 40 e i 50 minuti a seconda della potenza del forno, della quantità di pane che state producendo e del grado di cottura che vi piace di più. Nella vostra cucina cambiano i profumi e l'odore del frumento che cuoce, insieme a quello dei semi oleosi, si sotituisce a quello dolciastro della pasta cruda.
Se avete un po' di tempo e volete festeggiare degli amici o una persona cara, invece di un pane unico potrete realizzare dei panini e sbizzarrirvi nelle forme oltre che nel piacere di manipolare l'impasto. In questo caso vale la pena di mescolare nell'impasto solo i semi più grandi e tenere quelli più piccoli per la superficie dei panini. Se la pasta è stata prodotta bene non ci sono problemi a realizzare piccole opere d'arte, piacevoli da vedere e gustose da addentare.
Prendete un pezzo di pasta, quanta ce ne sta nella mano a conca, fate un salamino del diametro di un centimetro e lungo sui 25, 30 cm e adesso viene il bello: potete avvolgerlo a spirale, farci un doppio nodo, spianarlo con il mattarelllo e poi avvolgerlo ad elica. A prodotto finito, una spennellata d'acqua e lo si appoggia sui semi sparsi sul tavolo. Infine si trasferisce sulla griglia con il teflon che avrete cosparso di farina. Naturalmente, se volete, potete fare i classici panini rotondi o le tartarughe usando tagli superficiali, a croce o longitudinali.
Sembra complicato, ma quando si prende la mano, la produzione di un panino, anche di quelli elaborati, richiede non più di mezzo minuto ed è importante ricordarsi di lasciare spazio tra uno e l'altro perché, nel giro di mezz'ora, prima di andare nel forno, avranno raddoppiato le loro dimensioni. Con i panini il tempo di cottura è necessariamente inferiore a quello per la pezzatura unica e, di solito, a metà cottura li giro sottosopra per evitare che brucino sul fondo.
A cottura ultimata sfornarli e impignarli per farli riposare ed asciugare. Avete di fronte a voi una delizia, per la vista e per l'olfatto. Per il gusto vale la pena di aspettare almeno un quarto d'ora, lasciarli intiepidire; si eviteranno così le ustioni in bocca figlie dei getti di vapore invisibili che escono se addentate un panino appena sfornato.
Il pane fatto in casa regge due o tre giorni rimanendo fragrante; conservatelo in un sacco di cotone ed evitate la plastica che lo conserva più a lungo impedendo la evaporazione naturale ma che rischia di dare una consistenza gommosa. Se ne fate tanto, cosa che faccio anche io, potete surgelarlo e farvi il pane una volta la settimana magari cambiandone i gusti: un 10% di farina di saraceno dà un gusto leggermente amarognolo, per le castagne usate la stessa quantità e verrà un pane dal sapore un po' più dolce e dal profumo tipico. Insomma potete sbizzarrirvi e buon appetito.