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Commenti

sessantottino e riformista – fattene una ragione — 2 commenti

  1. Ennio Abate: ho incollato i tuoi tre commenti in un unico pezzo nei commenti visibili anche fuori Facebook. D'ora in poi proseguo la discussione lì.
    Un po' troppo lungo per tentare una risposta; ma se scegli un tema, dopo aver riletto tutto cercherò una replica.
    Lo scopo di questo articolo (di qui i riferimenti personali) era quello di interrogarmi sul come e perché sono divenuto ciò che sono ma anche, senza pretese di rifare la storia on i se e con i ma, vedere se c'erano stati errori e quali. Per esempio, secondo me il vero 68 dura due stagioni e poi si estingue perché le ragioni della sua forza erano anche quelle della sua debolezza; le fiammate durano poco e non è obblgatorio che abbiano una evoluzione razionale

  2. IL ’68 COME NASTRINO PER AVALLARE RENZI? MA DAI…
    (Una risposta a "sessantottino e riformista – fattene una ragione"

    Caro Claudio,
    sei tu che devi «fartene una ragione»: il ’68 non è stato «riformista». Se lo sostieni – oggi! – vai contro il te stesso migliore di allora. È una cosa che avevo detto anche ad Attilio Mangano, quando pure lui, influenzato dal suo maestro Stefano Merli, riverniciò purtroppo con una mano di libertarismo sessantottino il riformismo in ascesa di allora, quello di Craxi.
    Molti ex compagni di quei tempi lontani – ho visto i commenti al tuo post su VIA VETERE 3 – s’incazzano con te e sono bruschi nel respingere le tue tesi. Ma in fondo, a parte la bruschezza ( ma vedi che la usi anche tu, quando respingi e squalifichi la loro lettura del passato e il loro rifiuto del renzismo.. ), non mi sento di dargli torto.
    Provo, con più pazienza e distacco, a ragionare sulle cose che scrivi.
    Già iniziare il tuo discorso buttandola « sul personale», quando si dovrebbe fare proprio ora uno sforzo in più per pensare politicamente, è per me un brutto segno. (E poi sei contraddittorio: manco stai fino in fondo sul "personale" come affermi e ritiri fuori le *tue* posizioni politiche). E poi perché abbandonarsi ai ricordi personali? Ciascuno di noi si commuove quando pensa all'infazia o alla giovinezza o ritrova un vecchio amico di quegli anni( e, tu, i tuoi amici di fisica del '68), ma che bisogno c’è di dirlo in uno spazio pubblico dove si dovrebbe discutere di cose pubbliche urgenti e controverse? Guai a pensare che, rievocando i nostri bei ricordi, il cuore batta anche a quelli che ti vedono commuoverti. Non lo puoi proprio pretendere.
    I ricordi personali circoscrivono la realtà a quello che è passato sotto il nostro naso, a quello che abbiamo afferrato di quegli anni o di quegli attimi. Ma l'autobiografismo, a meno di non essere rigorosamente contestualizzato e corretto dalla conoscenza storica (che non si produce di botto…), coglie le cose decisive *per te* ma non necessariamente quelle che producono (magari in tempi lunghi) trasformazioni per noi e milioni di persone. Molte di queste non passano proprio sotto il nostro naso, per quanto addestrato possa essere. (E, infatti, tu stesso sei costretto a riconoscere: «La strategia della tensione e non solo la nostra immaturità determineranno la svolta»). Ci sono inoltre eventi che ci travolgono, anche quando pensiamo di dominarli. Magari cambiando il nostro punto di vista. E, infatti, ancora tu stesso scrivi: «avemmo l'impressione di aver affinato la prospettiva, invece stavamo facendo dei grandi buchi nell'acqua, mentre il movimento perdeva il suo carattere di massa». Ora mi chiedo: e chi poteva allora mantenerlo questo «carattere di massa», che dall’esterno ti appariva o appare ancora adesso come un toccasana, il rimedio efficace agli errori che facemmo? E, ancora, ti accorgesti/ci accorgemmo che il PCI era più coriaceo e egemone di quel che sospettavi/sospettavamo: « il Partito Comunista si rivela una grande macchina di consenso fortemente radicata nel paese portatrice di un consenso materiale che dietro di sé ha una strategia politica, decine di organizzazioni di massa, una specie di Stato nello Stato come è, sull'altro versante, la Chiesa Cattolica (la lezione di Gramsci sulla egemonia culturale, sulle casematte e la società civile)». E però, per noi “rivoluzionari” con poca arte e poca parte (o partito), la conclusione da trarre da questa “rivelazione” doveva essere necessariamente sottomettersi al PCI o entrarci come figliul prodighi, come hai fatto tu,come hanno fatto Campi ed altri? Non mi pare. E perciò la discordia (amichevole o dura) tra noi ha ancora ragion d’essere.
    Non ha senso o ha un senso solo retorico e propagandistico svalutare e ironizzare su “come eravamo” rissosi e estremisticamente infantili quando ci contrapponevamo a Papà PCI: « Ci facevamo le pulci reciprocamente e definivamo gli altri con nomi spregiativi; se noi eravamo i trotkisti loro erano il gruppo Capanna». Se il nostro estremismo danneggiò noi e l’area (minoritaria) dei compagni che influenzavamo, che dire del danno arrecato a questo Paese dai compromessi, dagli scambi sottobanco, dagli intrighi e, soprattutto, dalla fallimentare strategia politica del PCI , proprio perché era « una specie di Stato nello Stato»? Insomma, un po’ di senso delle proporzioni nell'analizzare la storia non guasterebbe. E, a proposito di padri e figli (ho appena segnalato un post in proposito dove appaiono di Battista e Scalfari che, per stare ai nostri tempi, potrebbero essere sostituiti – che so – da Scalzone e Longo …), va bene piangere sul latte versato da noi figli o figliastri maldestri, ma sorvolare sui fiumi di latte sprecato dai padri, no e poi no.
    Smettiamola poi con questa ossessiva retorica del "reduce vero" che vorrebbe che parlassero in primis o soltanto « quelli che il 68 l'hanno fatto per davvero». Anche questo trucco retorico è un modo di circoscrivere la riflessione critica sul passato ad alcune voci. E perché mai un giovane imberbe non potrebbe dire la sua sul senso politico e storico di quegli eventi e correggersi o essere corretto se dice castronate? Estremizzando, a parlare in modo sensato della Grecia antica avrebbero diritto a farlo solo quelli che vissero in quei tempi? È un controsenso.
    Andiamo avanti: non è affatto vero che i sessantottini, fossero pure quelli "veri", ancora oggi conservano «dei tratti in comune, un modo particolare di vedere le cose, si riconoscono a distanza». Magari allora. E forse. E per aspetti superficiali (l'eskimo, la barba, ecc.). Assolutamente non più oggi, quando le strade si sono divaricate, diversificate o contrapposte. Siamo realistici: i "voltagabbana" (virgoletto perché l'etichetta è di comodo e non chiarisce fino in fondo certi comportamenti) ci sono stati sempre: nel passaggio dal fascismo alla repubblica e anche dopo gli anni Settanta. Chi era operaio allora, di solito è rimasto operaio per il resto della vita; e così chi era insegnante; tranne una minoranza, che ha fatto più o meno carriera nei giornali, nelle università, alla TV, in parlamento. Cosa ho io a spartire più con Lerner o Sofri o Capanna o Vinci? Al massimo dei ricordi. E, se ce li mettessimo ad analizzare con rigore, vedremmo che neppure su quelli siamo più d’accordo. Perciò i tuoi idealtipi sessantottini, che « hanno un'aria disincantata, non partono mai a testa bassa, hanno imparato ad ascoltare, amano anche i dettagli» non ci sono più, sono frutto del tuo immaginario. O li puoi trovare all'ingrosso in tutte le generazioni e spesso non hanno avuto proprio nulla a che fare col ’68.
    Le cose che dici per quelli di allora che si ribellarono potrebbero valere per i giovani d’oggi, da cui noi vecchi siamo ormai separati. Il che ci dovrebbe rendere più prudente nel giudicarli. Ma è la tua valutazione storico-politica generale su allora e su oggi che, secondo me, non va. Tutto quel mondo è crollato, ma la tua visione progressista resiste inalterata: «Da qualche anno il mio tormentone è il seguente: se questo è il quadro, cosa si può fare per migliorarlo, per fare un passo in avanti?». Ma non t’accorgi che è un atto di fede, se non un dogma questo tuo atteggiamento che ti ha fatto approdare ad un riformismo che non c’è? Come non c’era in Urss il socialismo? Non vedi che le «tante cose», che erano cambiate «in quegli anni» e « in positivo» (« lo stato sociale, la democrazia dentro le istituzioni, i diritti dei cittadini»), sono state cancellate o ridotte a macerie? Che la sconfitta del disperato o politicamente miope «terrorismo di sinistra» ha solo anticipato la sconfitta irrimediabile dell’intera sinistra? Che, appunto, «quando se ne è venuti a capo il PSI non c’era più, demolito con la DC entro Tangentopoli», ma che neanche il PCI è sopravvissuto? E non perché faticò a «scegliere programmaticamente l’approdo della socialdemocrazia europea», ma perché nel gruppo dirigente e nel corpo del partito prevalsero quell iche si “convertirono” sic et simpliciter al liberalismo/liberismo. Che quelli, come te, che, spogliandosi delle “illusioni rivoluzionarie giovanili”, aderirono ad un progetto che supponevano – aggiungerei io – *almeno* riformista, in quel partito furono messi a bagnomaria? O costretti ad accontentarsi di «un lavoro trentennale di studio critico della scienza, della sua storia [o] a lavorare sui giovani per costruire teste ben fatte, spiriti liberi, persone appassionate di ciò che sceglievano di fare da grandi». In sostanza ad un lavoro di Sisifo, mentre loro – i “vincitori”, i “decisori” – di queste « teste ben fatte, spiriti liberi, persone appassionate» non sapevano che farsene e le condannavano ai lavori precari, alla disoccupazione o all’emigrazione?
    E allora chiediti: in continuità con quali politiche di quel passato ha a che fare questo Renzi che, come dici, ti ha « abbastanza affascinato perché, per la prima volta, incontrav[i] un dirigente politico in grado di dire cose scomode al proprio interno, un progetto politico rivolto alle forze vive della società, coraggioso e che non lasciava alla destra parole d’ordine importanti quali merito, legalità, fatica, impegno, senso dello Stato, orgoglio nazionale»?
    Con il tuo ’68 a Fisica? Con il PCI avviato a sganciarsi dall’Urss, a non fermarsi neppure alla tappa socialdemocratica e a correre giulivo con Veltroni & C. abbracciare la politica Usa? Dove la vedi tu un’Italia che, pur impoverita nel suo tessuto produttivo, votando SI al referendum farebbe « un bel passo in avanti», facendo crescere «le prospettive di una sinistra moderna, matura e riformista»? Quando mai nella mente a-marxista e piccolo-liberale di un Renzi – ahimé! – ha lavorato «il tarlo del sessantottino: la voglia di cambiare il mondo e non di limitarsi ad osservarlo»?

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