Shimon Peres: gli intrecci della storia, le complicazioni di oggi, le incertezze del futuro
I potenti della Terra si sono incontrati davanti alla bara di Shimon Peres, tra gli ultimi a morire della generazione dei sabra – il nome semitico del fico d’india – gli ebrei nati in Palestina, prima che una parte del suo territorio si denominasse Israele.
In realtà, lui era nato in Polonia ed emigrato con la famiglia nel 1934, in fuga da un Paese profondamente cattolico e ferocemente antisemita. Suo padre era stato attratto dall’ideale del movimento sionista, al quale Lord Balfour aveva fatto intravedere con la Dichiarazione del 2 novembre 1917 la possibilità della creazione di un focolare ebraico in Palestina.
La Dichiarazione Balfour sarà inserita, alla fine della Prima guerra mondiale, nel Trattato di Sèvres, firmato tra le Potenze vincitrici e l’Impero ottomano il 10 agosto 1920. In quel quadro la Palestina passava sotto il Mandato britannico. Nel 1948, in uno scenario totalmente sconvolto dalla Seconda guerra mondiale e dall’Olocausto, il sogno sionista si realizza, nasce lo Stato di Israele.
Con la sua storia è intrecciata la biografia di Shimon Peres e la sua movimentata vicenda politica, prima all’ombra dei Padri fondatori quali Ben Gurion e Levi Eshkol, poi sempre più da protagonista, in rivalità perenne con Rabin, all’interno del Partito laburista, fino ad arrivare alla presidenza dello Stato.
IL DILEMMA DI ISRAELE: ESSERE O NON ESSERE
Peres ha attraversato ed ha rappresentato i conflitti della società e della politica israeliana, carichi, diversamente che in ogni altro Paese, di un dilemma esistenziale shakesperiano: essere o non essere. Fin dalla sua nascita lo Stato di Israele si è dovuto confrontare questo dilemma, ben poco teatrale.
Il 29 novembre 1947 l’Assemblea generale delle Nazioni unite approvò con la risoluzione n. 181 il piano di ripartizione della Palestina in due Stati indipendenti, uno ebraico e uno arabo. Alla scadenza del mandato britannico Ben Gurion proclamò il 14 maggio 1948 lo Stato di Israele. Per tutta una lunga fase i Paesi arabi circostanti hanno puntato al semplice eradicamento di Israele dal Medioriente, considerato un avamposto del colonialismo e dell’imperialismo.
La Lega araba attaccò immediatamente la neonata entità nazionale da ogni lato. Da allora i conflitti non sono mai cessati. In particolare, la Guerra dei Sei giorni portò Israele a superare i confini stabiliti dalla Risoluzione dell’ONU, con l’annessione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e ad avviare processi di colonizzazione, ancora in corso.
Accordi di pace furono firmati con l’Egitto solo nel 1979 e con la Giordania nel 1994.
ISRAELE E LO STATO PALESTINESE
Dimostratasi irrealistica l’ipotesi di un unico stato laico ebraico-palestinese, si è fin dal 1948 puntato sulla costruzione di due Stati, come appunto indica l’ONU. In effetti nel 1988 fu proclamato lo Stato palestinese, ammesso come osservatore permanente all’Onu nel 2012.
Ma, per un verso, alcuni Stati arabi continuano a rifiutarsi di riconoscere lo Stato di Israele – tra questi la Siria e l’Iran, che non è arabo – per l’altro, Israele rifiuta di riconoscere lo Stato palestinese.
Peres era passato, nel corso degli anni, da posizioni intransigenti ad unatteggiamento più realistico: trattati di pace con gli Arabi in cambio della restituzione dei territori conquistati nel 1967. Tuttavia le fratture interne ai Palestinesi tra l’ala dialogante dell’Autorità nazionale palestinese e una estremista e integralista – quella di Hamas – hanno generato, ma ne sono state anche un effetto, per un tragico gioco di specchi, fratture analoghe nella società e nella politica israeliana, tra una sinistra laburista e centrista più disponibile al compromesso e una destra più aggressiva e colonizzatrice, oggi guidata da Netanyhau.
Da una parte chi vuole buttare a mare gli Israeliani, dall’altra chi punta neppure tanto sotterraneamente alla Grande Israele biblica.
SCONTRO DI TERRORISMI, INTEGRALISMI, MITOLOGIE MILLENARIE
Una geopolitica mondiale contorta di mille fili, di culture reciprocamente antagoniste, di terrorismi e integralismi, di mitologie millenarie e di potenti interessi si condensa dentro e attorno a un Paese di poco più di 8 milioni di abitanti così da rendere quest’area la matrice di conflitti potenziali più grandi.
È evidente che servirebbe una garanzia mondiale degli equilibri, che oggi è saltata. L’idea visionaria di Peres di costituire una sorta di Benelux tra Israele, Palestina, Giordania andava nella direzione di uno sparigliamento degli antichi giochi. In realtà, l’Israele di Netanyau sta procedendo a stabilire contatti e accordi scientifici e commerciali con il mondo arabo-sunnita, ma anche con gli sciiti iraniani.
Quanto ai Palestinesi, paralizzati da conflitti interni, corruzione – dal mondo arabo arrivano miliardi di dollari – non da oggi sono solo o per lo più una pedina degli interessi degli Stati della Lega araba. Tuttavia, il quadro resta del tutto precario e largamente imprevedibile nelle sue prospettive. In questo quadro, Peres ha combattuto la sua battaglia, è uscito dalla scena del mondo, non ha vinto. D’altronde, mai come in questa fase della storia, gli uomini singoli sperimentano la responsabilità e l’impotenza di fronte al disordine del mondo.