La scuola cattolica 2 – Edoardo Albinati
Contrariamente a quanto affermavo nella prima parte della recensione alla fine ho ceduto le armi e, arrivato a pagina 500 ho deciso che mi serviva la versione ebook per leggere a letto e per annotare. Era la fine di luglio e ci sono voluti altri 50 giorni per arrrivare alla fine.
Impossibile riassumere e dunque, come preannunciato, mi limito a qualche consiglio di lettura e alla sottolineatura di quello che mi ha colpito.
consigli di lettura
- Non avere fretta, tanto una vera e propria trama non esiste. Lasciamo che sia il nostro io a dirci quando è il momento di leggere e quanto si debba leggere oggi. Mi è capitato di leggere 2 o 3 pagine e poi fermarmi e altre volte ne ho lette una quarantina, mai comunque di più.
- Confesso di non aver sempre prestato la medesima attenzione: parti da rileggere due o tre volte e parti da scorrere più rapidamente perché le trovavo meno interessanti, sul piano tematico.
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Usare la versione e-book è utile perchè quando c'è qualcosa che ci colpisce si fa un "tap" e si inserisce un segnalibro. Nella pagina dei segnalibri li vedi tutti con la data di inserimento e due o tre righe e ti consentono di ritornare rapidamente a ciò che ti aveva colpito o interessato. Adesso, prima di mettermi a scrivere me li sono riguardati e ho trovato nuovi elementi di riflessione.
- Qualche amico mi ha chiesto se ci sia un senso, dove Albinati voglia andare a parare? Non ho letto il libro con questo spirito. Me lo sono lasciato scorrere addosso e secondo me è anche quello che ha fatto l'autore nello scrivere.
le cose che mi hanno colpito?
Albinati ha avuto una vita ricca, più ricca della mia sul piano emozionale. Ci sono tante vicende, alcune totalmente estranee al DdC (delitto del Circeo), alla Scuola Cattolica (il SLM San Leone Magno) o al Quartiere Trieste (QT). Fanno parte della formazione della sua personalità, dei suoi anni 70,del suo rapporto con le donne, del suo lavoro di docente a Rebibbia. Non le ho trovate tutte egualmente interessanti, ma mi hanno colpito per numero, stranezza e ricchezza.
All'inizio mi sono chiesto cosa avesse indotto alla scelta di quel titolo; credo che la risposta stia nella pervasività del mondo cattolico, nell'imprinting che quella formazione (dalle elementari sin quasi al termine del liceo classico) ha lasciato dentro Albinati.
Il romanzo incomincia descrivendo gli anni del liceo con un ritratto spietato dell'educazione di collegio (i professori con i loro tic, le loro fissazioni, le loro miserie, il Preside, le regole) e termine alla messa di mezzanotte del 31 dicembre 2015 al SLM.
Albinati è l'unico insieme a Eleonora Rummo (ne parlerò più avanti) a non fare la comunione:
"Non capiamo gli altri. Forse non abbiamo la pazienza necessaria a farlo. Li giudichiamo frettolosamente, goffamente, ci resta ancora tanto da sapere, così tanto da soffrire e da godere, mentre siamo qui gettati, nel numero, nel tempo, nelle dimensioni, nelle ristrettezze di una mente sola.
Dovremmo lavorare di più sull’incertezza, impiegarla a nostro favore, ecco, lavorare per risultati incerti. Se quello che cerchiamo non si manifestasse mai, vorrebbe dire che non esiste o che siamo indegni di trovarlo. E invece, talvolta appare, e la sua stessa rarità cancella ogni equivoco.
Un canto appresso all’altro, la messa di Natale al SLM si avviava a conclusione. E il mio cuore era finalmente colmo di gioia."
Ai tempi del delitto del Circeo lavoravo al Quotidiano dei Lavoratori e la cosa, per noi, ebbe il risalto delle porcate dei fascisti di allora con l'aggiunta di un po' di femminismo. Non ricordavo più i dettagli e soprattutto, nonostante le gesta successive di Izzo decenni dopo, mi sfuggiva e mi era sfuggita la stranezza di quel modo di essere fascisti, il senso e l'abitudine allo stupro, il mix di disprezzo verso le donne, la carica di classe, il senso di impunità.
Albinati scava nel Quartiere Trieste alla ricerca del nesso tra perbenismo, morale piccolo borghese e DdC: Quanto odio produce la verità! Mentre il segreto rende leggeri e liberi, non solo chi lo custodisce ma soprattutto chi lo ignora. “No, per favore, non voglio sapere niente” è la formula di chi vuole restare libero. Il problema della verità è se dirla o non dirla.
Angelo Izzo è più vecchio di un anno rispetto ad Albinati, ha frequentato il SLM e il suo fratello minore stava in classe con l'autore; una figura senza grande rilievo tra i compagni di classe, alcuni dei quali sono protagonisti del romanzo: gli sfigati, i fascisti, Arbus, il primo della classe sempre presente nelle diverse parti del romanzo e poi Gioacchino Rummo, il rappresentante di classe, psichiatra, la figura positiva da giovane (per la pacatezza) e da adulto (quando si dedica a seguire gli ultimi mesi di vita del professore di Lettere, il professor Cosmo).
Rummo veniva da una famiglia numerosa e felice. I genitori erano cattolici ferventi e, sposatisi molto giovani, avevano dato ai figli nomi di personaggi delle Scritture, famosi e meno famosi. Il primo Ezechiele, quindi Lea, il terzo Gioacchino (che era appunto il mio compagno di classe), poi Elisabetta, Rachele, Tobia, e infine Giaele, che solo vedendo la bambina si capiva che era un nome femminile. Perciò l’iscrizione di Rummo al SLM (come qualche anno prima, quella di Ezechiele, detto Ezi, o Lele, e quindi di Tobia, che aveva appena iniziato le medie) aveva un senso: la sua famiglia all’insegnamento cattolico ci credeva, alla scuola cattolica come la migliore in senso assoluto e non solo perché conferisse distinzione frequentarla.
E Albinati dedica un capitolo molto interessante alla gita in montagna che terminerà in una tragedia, la morte della piccola Giaele. E' un quadro di una famiglia molto diversa da quella piccola e media borghesia di cui Albinati analizza vizi, patologie ed abitudini. Qui ci sono serenità, allegria, presenza dei genitori, invece delle regole assurde delle famiglie del Q.T.
Al SLM, il professore di italiano, Giovanni Vilfredo Cosmo, rappresentava un caso a parte. Alto, dinoccolato, un poco curvo, indossava spessi pullover rossi e giacche a scacchi…Io gli debbo molto, troppo. Se scrivo libri, questo si deve a lui, e lo stesso credo potrebbe affermare l’altro scrittore uscito da quella classe, Marco Lodoli. Non che non avessimo già in noi una passione, quando in prima liceo divenne il nostro professore: ma solamente incontrando Cosmo essa trovò il riconoscimento e il nutrimento di cui aveva bisogno. Le biblioteche che avevamo in casa a ricoprire pareti di boiserie all’improvviso si animarono, diventarono vive, e Cosmo fece in modo che vi si aggiungesse il sale di una miriade di titoli a cui i nostri genitori non potevano aver pensato mentre mettevano insieme quella che stimavano la dotazione necessaria per l’appartamento di una famiglia di professionisti.
Quando Albinati, tra mille resistenze, si decide ad andare a trovare Cosmo, è troppo tardi; il professore ha ormai perso conoscenza ma Gioacchino lo convince di farsi carico di una specie di diario, tanti quaderni annotati a matita che stanno su una libreria della casa popolare che sarà liberata dopo la morte. Albinati li ha trascritti con pazienza e l'editore ha accettato di pubblicarli; sono tre o quattrocento, un libro dentro al libro. Quando ho iniziato a leggerli sono stato tentato di fare un bel salto in avanti, poi mi hanno preso; si salta di palo in frasca; a volte sono cinque righe, a volte una intera pagina: la cultura, i fascisti, lo stato, i sentimenti. Cosmo scriveva quello che gli sembrava importante quel giorno.
Lo Stato 37. Lo Stato italiano: un sistema mostruoso e vulnerabile, una macchina arbitraria e vendicativa al limite dell’illegittimità dichiarata, ma al tempo stesso lassista, un vero colabrodo. Le sue leggi spesso hanno l’aria di casuali rappresaglie. Siccome lo Stato pensa che tu lo vuoi fregare, lui frega te, addirittura in anticipo, quindi non ti resta che essere ancora più svelto ed estrarre per primo la pistola per fregarlo tu a lui, diventando, stavolta davvero, un mascalzone. Insomma non importa a nessuno se il cittadino sia onesto o disonesto: egli viene taglieggiato poiché si suppone sia comunque un taglieggiatore, dunque a furia di reciproche estorsioni (questo dev’essere il ragionamento) tra Stato e individuo, si finisce mediamente in pareggio.
vizi italiani 41. Che noia il quotidiano esercizio giornalistico anti-italiano! Vecchio come il cucco, infiorettato di varianti retoriche sprezzanti. Che rottura di scatole il ritornello che noi, poveracci, “non abbiamo avuto la riforma protestante”! Be’, la Germania ce l’ha avuta, anzi l’ha inventata un tedesco, la riforma protestante, e il cielo stellato di sopra e la legge morale – eppure come si sbracciavano a lanciare fiori alle SS in marcia! Invece, noialtri... antichissimi ma troppo recenti; decaduti da secoli però viziati dal boom e terrorizzati dalla recessione; sovraccarichi di cultura, di ogni genere di cultura, specie del tipo che si trasforma in una notte da “rovina” in “maceria” – eppure ignorantissimi, i veri somari d’Europa, con un’università peggio che nel Terzo Mondo, sorpassati pure dai paesi dove si muore di fame o le donne vanno in giro incappucciate; analfabeti intossicati dalla tv; eloquenti e afasici; col complesso dei dominatori e i vizi dei dominati; allegroni e “simpatici” ma al tempo stesso afflitti da un continuo rimpianto, fasciati da una lagna che sembra non avere mai fine...
la retorica 82. Il principale elemento, il vero protagonista e al tempo stesso il nemico interno della società e della cultura italiana: la retorica. Sulla retorica, di retorica, impiegandone una già ben collaudata o inventandosene varianti nuove, campano politici, giornalisti, scrittori, in maniera per così dire professionale, ma anche gli industriali e i magistrati e gli operai e le mamme e gli studenti e tutte le corporazioni che, come pezze colorate, formano l’abito della nazione.
Non possono rinunciare a fare uso di retorica gli uomini politici, e questo è ovvio, e tantomeno i giornalisti che ne contestano l’operato. Il cosiddetto uomo della strada è poi, di solito, un campione di retorica, specie quando viene intervistato in televisione, un mezzo che o intimidisce o amplifica l’enfasi di chi vi si esprime.
La tradizione retorica italiana è imbattibile e pervasiva: durante la prima metà del Novecento è perlopiù appannaggio della destra (roboante, turgida, iperbolica ai confini del surrealismo puro), nella seconda metà invece è di sinistra (minacciosa o lamentosa a seconda degli argomenti che tocca), e in maniera continuativa, a rivestire ogni cosa con il suo pulviscolo odoroso di dolore e bontà, soccorre quella di matrice cattolica.
Grazie alla potenza della retorica diviene possibile dire tutto: la retorica non si arresta di fronte alla falsità e tantomeno davanti alla verità, che travolge e sminuzza e mescola e utilizza indistintamente. Si è retorici dicendo il falso come il vero: persino nel dire la verità, non si riesce a dirla nuda, così com’è, non si riesce a non condirla di retorica, e dunque si finisce per essere falsi persino mentre si dice il vero: si falsifica la verità per stare più sicuri che faccia effetto, forse perché non si ha troppa fiducia in essa, si ritiene che sia una misera cosa, che non basti, se non viene pompata, potenziata, martellata, sparata in alto, fatta vibrare come un gong e garrire come una bandiera.
È un istinto troppo forte: lo scrittore e il giornalista e l’oratore e il predicatore, in Italia, anche quando hanno ragione, hanno assolutamente ragione, una ragione sacrosanta, e la loro ragione sarebbe più che sufficiente a sostenere il loro discorso, non riescono a fare a meno di ammantarla, corazzarla, impregnarla e saturarla di retorica. Le parole così ricche e spettacolari della nostra lingua sono una tentazione irresistibile; e la sintassi prensile sembra fatta apposta per agganciarne e ammucchiarne il più possibile, come se si volesse formare una barricata intorno alla propria verità, per proteggerla, finendo in realtà per occultarla.
Gli appunti dal 92 al 99 riguardano il fascismo, leggeteli, non li riporto perché occuperebbero molte pagine e subito dopo vengono la religione e la politica, il potere, l'insegnamento, la politica, …
Quando si appresta a descrivere i retroscena e il seguito del DdC, Albinati fa una premessa di grande attualità che, spero, ci induca ad essere più analitici e meno ultimativi nelle nostre considerazioni:
La frenesia del delatore è quella di spiegare, di collegare, mettendo in relazione tra loro fatti e persone. Una disposizione egotista e narcisistica, posta però al servizio degli altri, che debbono essere illuminati, rivelando loro ciò che si nasconde sotto la versione ufficiale delle cose, invariabilmente falsa. Proprio perché i misteri italiani sono così numerosi e oscuri, diffusa è la sindrome di chi assicura di possedere la formula capace di spiegarli.
Di solito queste personalità si autodescrivono in perenne lotta contro la versione dei fatti fornita dall’autorità o contro il senso comune che si tiene strette le sue convinzioni errate. Si propongono come apostoli della verità: una verità che è sfilata sotto il naso degli inquirenti o si è esibita quasi provocatoriamente, quasi dimenandosi per farsi notare, sotto gli occhi dell’opinione pubblica senza tuttavia venire presa in considerazione, restando ignorata, trascurata se non addirittura derisa e vilipesa, cosa di cui le personalità in questione, invece che affliggersi, si vantano, poiché tanto maggiore è la resistenza opposta alla verità di cui esse sono portatrici, tanto più fondamentali sono le rivelazioni da loro annunciate.
Cosa può eguagliare il gusto di sapere quello che gli altri, sprovveduti, ignorano? I retroscena, le ragioni segrete per cui le cose sono andate così, i nomi di chi ci sta dietro. In Italia pullulano questi spiriti superinformati e sprezzanti, che hanno saputo rovesciare il ridicolo in una stimmate del coraggio di chi tira avanti per la sua strada, la strada della verità, e sostiene di sapere chi davvero ha rapito Moro, dov’è nascosta Emanuela Orlandi, chi e perché ha piazzato le bombe e fatto saltare in aria chiese, banche, treni, stazioni, vetture di scorta…
Gente che conosce, insomma, i retroscena. L’Italia è il paese dove ciò che avviene alla luce del sole ha per forza una radice occulta; dove nove casi criminali su dieci, tra quelli più clamorosi e dibattuti in tv e sui giornali, restano insoluti, impuniti o vedono condannate persone che molti considerano innocenti, come se le sentenze non avessero che il valore di suggestioni, di ipotesi, e allora, ipotesi per ipotesi, tanto vale che ognuno si tenga la sua; dove invece che una verità ce ne sono almeno due, o tre, o dieci, tutte valide, sostenibili e difendibili, non importa quanto strampalate. Il pirandellismo, il relativismo, il “così è se vi pare”, l’interpretazione e l’ermeneutica infinita, i servizi segreti, i dossier, il gossip, il machiavellismo, l’idea che dietro tutto quanto, pure quando vince il campionato una squadra con la maglia a tinta unita invece che a strisce, ci siano un complotto, una loggia massonica, la CIA, il Grande Vecchio, il Vaticano, i Sovietici (quando ancora esistevano), gli Israeliani o l’onnipresente Banda della Magliana. Le verità alternative e non ufficiali, le controverità, si sono così diffuse da diventare esse stesse ufficiali.
Adesso che la lettura è finita mi faccio due domande:
- si poteva condensare, omettere, spezzare? Penso di sì; un bel lavoro di revisione ci sarebbe stato bene, anche perché, e questo mi incuriosisce, di cosa, ora potrà scrivere Albinati, senza chiedersi, ma questo l'ho già scritto?
- ho fatto bene a dedicarci due mesi del mio tempo? Penso di sì, ma consiglio chi si accinge all'impresa di accompagnare la lettura con qualcosa di simultaneo, gradevole e non troppo impegnativo; per esempio, un giallo italiano.
Edoardo Albinati
La scuola cattolica
Rizzoli, 2016, pag. 1294, 22 € rilegato – disponibile anche in ebook a 10 €
Seconda parte della recensione la prima parte è qui.
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