HomeCulturaScuola pubblica 1 – la macchina dell’istruzione statale

Commenti

Scuola pubblica 1 – la macchina dell’istruzione statale — 4 commenti

  1. "Perché non si ha il coraggio di vedere che l'unica soluzione possibile sta nel perseguire la libertà e quindi cambiare radicalmente il modello di scuola centralizzata, statale e uguale per tutti e a ogni latitudine, che è invece radicata non sulla libertà ma sul controllo autoritario? " (Aguzzi)

    Perché quando una parte degli studenti, degli insegnanti, dei presidi ecc., in anni ormai lontanissimi ('68), questo coraggio l'hanno avuto e hanno anche presentato progetti di vasto respiro ( ricordo Cooperazione educativa ma anche riviste più istituzionali come "Riforma della scuola" e scritti di De Bartolomeis, per non parlare di don Milani, di "Summerhill" di "L'Erba voglio") sono stati sconfitti. E' la risposta più semplice anche se amara. La paralisi attuale (se non il regresso) della scuola e dell'università è solo il sintomo di quella dell'intera società spappolata. Il coraggio per ora non viene né agli studenti né agli insegnanti; e ai presidi-colonnelli d'oggi figuriamoci. Lo si può infondere dall'esterno? Siamo troppo ripiegati sul passato e non pensiamo al futuro? Davvero i giovani sono il futuro, anche se noi vecchi un futuro non lo vediamo più perché sono venute meno le idee che stringevano in un progetto passato presente e futuro? Ma i giovani sarebbero il futuro sol perché vivranno in un tempo futuro o perché stanno progettando una società futura diversa da quella che noi abbiamo vissuto?
     

  2. "Perché non passare a un modello di scuola autogovernato su base locale (comunale, al massimo) e non centralizzato?"
    Quello che io ho constatato è che più si decentralizza più la situazione peggiora. Ad esempio la sanità passata alle regioni ha visto gonfiarsi enormemente i costi e proporzionalmente diminuire l'omogeneità e l'efficienza complessivamente.

  3. Il dibattito sulla scuola è inesauribile quanto ripetitivo. Ogni "agenzia" o "operatore" educativo (che brutte parole per dire società, scuola, insegnanti, famiglie, genitori, luoghi del tempo libero ecc.) è in polemica, l'uno contro l'altro, e in particolare si ripetono le lamentele dei genitori contro gli insegnanti e quelle degli insegnanti contro i genitori, il governo ecc.
    Dopo una vita passata a scuola, credo di poter concludere che i principali nemici dei ragazzi sono la scuola stessa (in tutta la sua organizzazione, compresi i docenti, salvo eccezioni), i genitori e l'organizzazione sociale nel suo complesso. Ma non si tratta di un complotto contro i giovani, organizzato per cattiveria, bensì del fatto abbastanza naturale che la società, e gli "operatori" pedagogici, pensano, e operano, più sulla base del passato che in funzione del futuro e che operano per riprodurre, nei giovani e con i giovani e per mezzo dei giovani, la società che conoscono, cioè il passato. La società degli adulti (compresi scuola, famiglia ecc.) rappresenta il passato, i giovani il futuro (bello o brutto che sia o che sarà), da qui l'inevitabile conflitto che ci è documentato da ormai tremila anni di storia scritta. Solo quando i genitori, gli insegnanti, la scuola, la società riescono a incontrarsi con i giovani in una prospettiva del futuro, e solo quando il passato serve a questo incontro e non a una cultura a sé stante, avviene quella specie di miracolo che trova uniti i giovani, nel ruolo di allievi, e gli adulti, nel ruolo di maestri. Però parlo di un incontro che riguardi davvero il futuro (che sia quindi innervato di coraggio, di fantasia, di creatività), il vero futuro, e non quello falso delle prediche (esplicite o implicite) del "ti conviene farlo, è per il tuo bene", quando si tratta invece di un bene a misura degli adulti. Purtroppo molti adulti non progettano per il futuro, ma progettano un futuro immaginato sulla base del passato. Questi adulti non riusciranno mai ad essere dei buoni maestri, nel senso profondo di questo temine. Negli anni '70 Graziano Cavallini scrisse un libro sulla scuola intitolato "La fabbrica dei deficienti" e sono decine e decini i libri scritti per sostenere questo stesso concetto. La scuola non promuove la creatività, anzi tende a mortificarla e reprimerla. Non per nulla molte personalità di primo piano si sono formate fuori della scuola o in polemica con essa. Questa, purtroppo, è la realtà di una scuola la cui ideologia è il controllo e la riproduzione del presente.
    Il modello autoritario è quello "normale", cioè quello per cui è organizzata la maggior parte delle scuole, e in genere tutte quelle statali. Dal ritratto che Orazio fa del grammatico e insegnante Lucio Orbilio Pupillo, alle regole dei collegi dei Gesuiti (che pure sono uno dei prodotti migliori della pedagogia dell'età moderna), alla normativa delle scuole statalizzate ai tempi di Giuseppe II e poi di Napoleone, fino a quelle delle scuole fasciste (naziste, staliniste ecc.) così abbondantemente presenti ancora oggi, nel 2016, le preoccupazioni maggiori dei pedagogisti di Stato sembrano essere quelle del controllo dell'ortodossia sociale degli allievi e della limitazione della loro libertà. Non solo libertà di movimento, ma anche e soprattutto di pensiero. La creatività, in questo tipo di scuola, sembra sempre essere un fastidio, perché esce dalla rigida organizzazione costruita intorno agli allievi e sulla loro testa e voglia di vivere. La pedagogia ha spesso indicato il modo di conciliare libertà e creatività con una responsabile disciplina (e autodisciplina), ma sembra che, salvo in qualche caso di scuole sperimentali o scuole di particolare indirizzo (in Italia in qualche scuola montessoriana, in qualche scuola che segue l'indirizzo di Rudolf Steiner o in qualche scuola improntata all'attivismo didattico), lo Stato sia incapace di conciliare la prassi didattica normale con la libertà e la creatività degli allievi.
    La scuola, pertanto, come negli antichi tempi, resta una struttura di controllo e di riproduzione sociale del presente, più che di educazione e istruzione in vista del futuro. Perché allora lamentarsi se troppe cose vanno male e se decenni (ma io direi secoli) di riforme non fanno che rimescolare l'acqua nello stesso tegame? Perché non si ha il coraggio di vedere che l'unica soluzione possibile sta nel perseguire la libertà e quindi cambiare radicalmente il modello di scuola centralizzata, statale e uguale per tutti e a ogni latitudine, che è invece radicata non sulla libertà ma sul controllo autoritario? Perché non passare a un modello di scuola autogovernato su base locale (comunale, al massimo) e non centralizzato?
    Perché in questo accanimento contro la libertà e a favore del centralismo statalistico le cosiddette parti politiche, di destra e di sinistra, pur in litigio perpetuo sui particolari poco importanti, sono completamente d'accordo?

  4. In linea di massima qualsiasi sistema è riformabile, Sig. Cereda: anche se – nel caso della scuola italiana – sarebbe meglio parlare di ricostruzione, piuttosto che di riforma. Non foss’altro perché trent’anni di interventi all’insegna dello sfascio, sono stati pianificati con l’intento di creare danni permanenti al nostro tessuto sociale; danni che non sono misurabili, nei giovani, solo sul piano del calo culturale, ma vorrei dire soprattutto come deresponsabilizzazione e perdita delle capacità di autovalutazione.

    E occorre partire da alcuni punti fissi: per esempio che ormai diverse generazioni sono state buttate nel cesso; con una minoranza di persone che sono riuscite comunque ad affermarsi, magari all’estero, ma che per il resto sono difficilmente recuperabili (e di questo parlerò più avanti); per esempio che questo sfascio è collegato alla realizzazione di un preciso modello socio-economico: per cui non è possibile pensare che l’attuale classe politica (con la maggioranza del corpo elettorale che la sostiene) si faccia portavoce di un’inversione di tendenza.

    Comunque, per non andare troppo per le lunghe con le introduzioni al problema, a mio parere occorrerebbe giocare prima di tutto la carta della responsabilizzazione e dell’importanza del concetto “causa-effetto”, iniziando dalle scuole medie superiori: il che significa tornare a fare selezione in maniera meritocratica. Finché ci saranno scuole che, per farsi reciproca concorrenza, disperderanno la loro capacità di specializzare a favore di un piano di studi sempre più arlecchinesco; finché i docenti continueranno a dare voti dopati, per evitare polemiche con le famiglie, o per evitare di prendersi la responsabilità di fermare un ragazzo, che non ha sufficienti capacità, volontà o che addirittura non è nel tipo di corso di studi adatto a lui: finché le cose continueranno in questo modo, parlare di merito sarà solo prendersi in giro.

    Quindi, questi sono per me i passi da fare, detti in maniera molto schematica:
     Ritorno a una scuola selettiva e meritocratica alle superiori per almeno un ciclo (cioè almeno un quinquennio): allo scopo di creare di nuovo un congruo numero di giovani motivati a continuare gli studi, o a cercare impiego nel settore che più si adatta loro; e con un livello di autostima sufficiente a non far loro accettare i ricatti della corruzione nel mondo del lavoro.
     Di conseguenza ritorno ad una vera specializzazione degli Istituti e dei Licei, con almeno un programma di massima statale per ciascuna delle categorie. "Programma di massima" significherebbe che potrebbero venir accettate “personalizzazioni” del piano di studi per ciascuna scuola; ma questo è un punto tutto da discutere: si sa come l’italiano medio sia campione (anche quando Dirigente di una scuola), nel campare di “eccezioni alla regola”, per portare avanti interessi personali alla faccia del bene pubblico.
     Contemporaneamente avviare una sperimentazione, su quale modello di scuola meritocratica ma non verticistica sia atto a sostituire il modello attuale: di questi modelli ce n’è un buon numero (a cominciare da quello steineriano) e questa sperimentazione va iniziata partendo dalle scuole di base, cioè almeno dalle elementari.
    Il periodo di sperimentazione dovrà durare non meno di cinque anni; una volta concluso si inizierà a convertire a quello scelto il modello di insegnamento esistente, partendo dagli stadi iniziali del processo educativo.
    Solo in questo modo, credo, si potrà passare in maniera armonica a un sistema educativo, che insegni ai giovani le basi prima e l’utilizzo poi di uno strumento quale la democrazia diretta, o “di base”.
     Progettare un sistema di scolarizzazione sul modello della benemerita “Non è mai troppo tardi”, immagino da gestire stavolta per via informatica, per recuperare fra quelle “generazioni buttate nel cesso” (come le ho definite più sopra) chi lo voglia.

    Un impegno immane, come si vede: che solo la forza di volontà e l’unità di quella “minoranza sana”, ancora impegnata a contrastare – per quanto tuttora in ordine sparso, almeno qui in Italia – il progetto di destrutturazione della nostra società, potrebbero far iniziare con qualche probabilità di successo.
    Ed è inutile dire (né io in fondo me ne stupisco più di tanto) che, malgrado da anni vada esponendo queste idee fra i colleghi e dovunque possa, non sono mai riuscito a trovare sponda; nemmeno all’interno del M5S, per il periodo durante il quale ne feci parte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

HTML tags allowed in your comment: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>