Il caos di Roma: suicidio annunciato
Da quando ha conquistato il Comune di Roma, il M5S è sotto tiro. Sarebbe ingeneroso, a tre mesi dalle elezioni, emettere giudizi definitivi. La società civile romana è una distesa di macerie: disprezzo delle regole del vivere comune, clientelismo diffuso, corruzione, etica pubblica ai minimi, inefficienza diffusa dei servizi fondamentali.
La politica romana la rappresenta e la rispecchia perfettamente. Svanita la presunta “diversità antropologica” della sinistra, sinistra e destra si sono trovate prigioniere del consenso della stessa fetida palude. Governare una tale città è impresa disperata, almeno finchè la società civile romana e i singoli cittadini non cambino mentalità e la politica ne diventi un motore. Se la società è questa, perché una politica democraticamente rappresentativa potrebbe essere migliore?
IL M5S E IL SUO SPORT PREFERITO: SCARICARE RESPONSABILITÀ
Intanto è lecito prevedere che il M5S stia andando rapidamente verso il fallimento, a causa del suo impianto politico-culturale, non certo per l’ostilità e i complotti dei “poteri forti”, che, d’altronde, da quanto emerge finora dalle inchieste giudiziarie in corso, hanno preferito salire sul tram dei vincenti.
Si tratta di suicidio collettivo, dovuto a un’ideologia, di cui capitoli decisivi sono la filosofia della politica e il giustizialismo. Il successo elettorale nazionale del M5S nasce dal fatto che almeno il 30% dell’elettorato condivide quella ideologia. A Roma oltre il 60%.
Questa squillante vittoria non è tuttavia dovuta ad un severo esame di autocoscienza da parte dei cittadini romani. Al contrario, è stata l’effetto di uno scarico collettivo di responsabilità, per il quale il M5S ha costruito lo schema logico-mediatico e il pozzo di raccolta. La loro campagna elettorale a Roma e a livello nazionale prevede la sola responsabilità/imputabilità dei politici.
Il popolo è buono, i politici sono cattivi. È musica per le orecchie di elettori eticamente irresponsabili, alla perpetua ricerca di un petto su cui battere il mea culpa, purché non sia il proprio, per i poteri politico-sindacal-corporativi, insediati nei servizi e responsabili del loro degrado, per i gruppi socio-economici cointeressati all’inefficienza dei servizi, quali quelli cresciuti a fianco delle pattumiere o dei trasporti.
Si tratta solo di cambiare i politici! È evidente che il gioco è facile e vincente per tutti: per i cittadini, che si autoassolvono, e per i buoni/nuovi politici, incompetenti su tutto, che si trovano catapultati sugli scranni alti del potere.
UN’ANTICA FILOSOFIA: CURARE IL PROPRIO “PARTICULARE”
Questa filosofia politica del M5S non è affatto nuova, è anzi vecchissima. Essa riflette una corrente italica profonda, per la quale la politica serve a rappresentare e a proteggere il proprio “particulare”. E’ l’essenza del populismo e di gran parte del “moderatismo”.
Una parte della società italiana e romana non vuole né governare né essere governata. Ne ha già scritto il Guicciardini nella prima metà del ‘500, in tempi non sospetti. La politica del populismo è la rappresentanza gridata e il governo afono.
Rispetto al vecchio populismo, il grillismo-leninismo é stato filtrato dall’ideologia della “politica assoluta” della modernità giacobina. Ma prima vennero Cola di Rienzo, il Savonarola, Masaniello. Il Movimento/Partito è un movimento di Catari, fondato e vissuto come “comunità di destino”, che si assegna il compito di costruire “la città di Dio” – debitamente laicizzata – su questa terra, benché la pretesa di cominciare proprio da Roma appaia improbabile e comica.
Una comunità aperta per via telematica, ma, in realtà e proprio grazie alla Rete, chiusa su di sé, avvolta in un’aura profetica oscura e trascendente.
LA PROFESSIONALITÀ RICHIESTA: NON AVERNE NESSUNA
Le modalità di reclutamento del personale politico di un simile Movimento sono coerenti con questa impostazione. La nuova “professionalità politica” consiste nel non averne nessuna. Il programma politico è il non-programma dell’onestà, tre volte ripetuta.
Per essere candidati o eletti basta un’esperienza di protesta, di lotte particolari quali la difesa delle anguille delle Valli di Comacchio o la partecipazione al No-Tav. La lettura dei curricula degli eletti è disarmante.
Con un’inevitabile eterogenesi dei fini: poiché per gestire i rifiuti di Roma occorrono competenze acquisite sul campo, alla fine l’escatologia politica ha finito per attingere alla più terrestre Muraro, la quale “sì, che se ne intende!” forse troppo!
Fare i portavoce – così si autodefiniscono – dei cittadini è semplice, finché si tratta di gridare le domande nelle piazze o sui social, diventa più complicato quando occorre fornire delle risposte. La fragilità strategica e le contraddizioni di questa struttura del rapporto cittadini-politica sono evidenti. Ma, a questo punto, soccorre il giustizialismo, di cui il grillismo è la fase senile.
In Italia nasce dopo il 1989. Mentre ancora negli anni ’80 Enrico Berlinguer pensava di assemblare “un partito degli onesti”, da Mani Pulite in avanti la politica consiste nel predicare la moralità pubblica e nell’affidare ad un corpo burocratico non elettivo il controllo di moralità dei politici. I quali, a loro volta, hanno operato assai spesso oltre e contro le leggi.
RAPPRESENTARE LE RABBIE È FACILE, GOVERNARE È DIFFICILE
Non essendo stata capace di provvedere da sola all’etica pubblica, una parte degli onesti di questo Paese – i quali arrivano solo al 50%, se assumiamo il pagamento delle tasse come criterio di etica pubblica – si è illusa di ricorrere ad un potere esterno per raddrizzare il kantiano “legno storto” della politica.
A più di vent’anni di Mani Pulite, si deve constatare che i partiti continuano ad essere “scatole nere” per i cittadini, mentre la magistratura non poteva che fallire nel compito improprio che le era stato affidato.
Il guaio è che il giustizialismo ha infettato anche i partiti, giornali, il Fatto in testa, opinionisti vari. È questa ideologia antidemocratica e illiberale, che attribuisce ai magistrati – non eletti da nessuno – e non ai cittadini-elettori il potere di selezionare i politici onesti e competenti, il motore del successo grillino.
Subito ingrippato, perché rappresentare le rabbie è facilissimo, governare difficilissimo. Ora è in atto una facile corsa, da parte di partiti e opinionisti, a far notare l’incoerenza del M5S, che non fa dimettere l’assessore Muraro, dopo averlo preteso per gli indagati “altrui”.
Eppure sarebbe felice l’incoerenza del M5S, che affermasse il principio di innocenza fino a prova certificata di colpevolezza. Torneremmo alla civiltà giuridica liberale, restituiremmo alla politica il suo ruolo democratico, agli elettori le loro responsabilità, qualora eleggano un delinquente.
Il guaio è che i partiti – tra cui incoerentemente lo stesso M5S – continuano a rinviare la legge che attua l’art. 49 della Costituzione relativo ai partiti e restano, perciò, poco credibili di fronte alla scorciatoia giustizialista. C’è da meravigliarsi se di fronte a un tale nodo di Gordio l’astensionismo appaia ai cittadini l’unica uscita di sicurezza?