le nostre radici
A chi è partito dalla provincia o dalle valli verso l’avventura imprevedibile della vita metropolitana capita periodicamente, soprattutto d’estate, di tornare a casa. Alla casa delle “estati lontane”, per dirla con il poeta, ai monti ascesi e discesi più per dovere che per diletto, ai volti di altre stagioni della vita. Si torna mossi dalla nostalgia delle proprie quiete radici. Del resto, non suggerisce un antico proverbio cinese che “le foglie dell’albero cadono sempre sulle proprie radici”?
IL MONDO DELL’ANIMA NON ESISTE PIÙ
Intanto però la storia del mondo ha fatto il suo giro. E così vedi i ragazzi che si aggirano per le viuzze del paesello, lo sguardo fisso sugli smartphone, alla ricerca dei “pokemon”. Né le loro giovani mamme sono da meno. Fino a rischiare di essere travolte dall’auto di passaggio, dalla quale escono, magari, musiche ad alto volume. Tra i ragazzi aumenta il consumo dell’alcool e delle droghe chimiche. Le mamme ricorrono sempre più agli “psicologi fai da te”, mentre i confessionali funzionano, a loro volta, come consultori privati. Insomma, la realtà è ben diversa dalla proiezione fossile del mio immaginario, che va alla ricerca delle radici. Insomma, “il paese” dell’anima non esiste più.
IL MONDO MODERNO È RISALITO LUNGO LE VALLI
L’esperienza del mondo, che prima era appannaggio, letizia e tormento della città, ora è risalita lungo le valli, abolendo quasi completamente le differenze tra la città e la campagna, tra la città e il paese, tra la città metropolitana e la città di provincia… L’estendersi dell’istruzione e, ancor più, della comunicazione globale stanno azzerando le distanze di culture, di stili di vita, di consumi, di svago.
Non c’è più un centro, da cui dipartono le correnti che a poco a poco raggiungono le periferie, la campagna, le valli. E perciò non ci sono più periferie. La campana suona per tutti con gli stessi udibili rintocchi. Naturalmente paesi e città coltivano memorie sociali e monumenti culturali, con relative associazioni che vi si dedicano: dagli alpini, ai fanti, ai bersaglieri, alle associazioni folkloristiche, che riesumano i vecchi tessuti e i vecchi costumi, a quelle che ripropongono i riti dell’alpeggio e della transumanza, a quelle che promuovono il restauro di vecchie chiese, a quelle che cucinano i cibi storici dei pastori e dei contadini…
Ma tutto ciò, custodito sotto la teca trasparente della memoria, ha cessato di essere fonte di valori e di educazione.
TUTTI COINVOLTI NELLA PERDITA DI MEMORIA
La perdita esistenziale della memoria, non certo rimpiazzabile dalle feste paesane o di quartiere, provoca disagio e dolore nelle generazioni più anziane, che hanno attraversato i quattro quinti del ‘900 e che sono esposte ai rapidi mutamenti epocali del terzo millennio.
Viene chiamata “crisi di identità”, il mal du siècle del tempo presente. Su questo dolore politici e partiti politici hanno costruito, talora, qualche incerta fortuna, proponendosi come i cavalieri catafratti dell’identità perduta, invitano a costruire trincee ideologiche, culturali, etniche. Inutile girarci in giro: Globus et Locus sono divenuti le dimensioni ineliminabili e inevitabili della nostra vita quotidiana. Lo sono sempre stati.
Ma nelle globalizzazioni precedenti, ne venivano toccate solo le classi socialmente più alte o culturalmente più aperte. Le classi subalterne le vivevano sulla propria pelle – si pensi all’esperienza delle guerre mondiali – senza un quadro di consapevolezza, puri oggetti passivi e vittime del mondo.
La globalizzazione di questo inizio secolo non dà scampo alla coscienza di nessuno: ricchi e poveri, istruiti o incolti, cittadini metropolitani o abitanti di villaggi montani, tutti sono consapevolmente coinvolti. Possiamo tentare di fuggire il mondo, ma quello ci insegue e ci trova. Ciascuno di noi è sospinto da una forza enorme sulla scena del mondo intero, del pianeta terra.
La responsabilità individuale del conoscere e dell’agire nel mondo è interpellata qui e ora. Non esistono più piccole patrie immaginarie o catacombe ben climatizzate dove cercare rifugio. E questa è la piattaforma comune oggettiva sulla quale costruire una continuità tra le generazioni. E’ tuttavia evidente che alle generazioni adulte o anziane è richiesto un esercizio maggiore di responsabilità. Soltanto così le loro radici nascoste nel passato possono continuare ad avere un senso per il presente.