questo povero paese va all’estero
Il mio amico Carlo Vittone che da giovane ha fatto tante cose, tranne il bamboccione, ha scritto su Facebook una nota che parla di Italia, di giovani e di Università.
Ve la propongo perché ho appena appreso che, molto probabilmente, la riforma della Università, che non era il massimo, ma segnava qualcosa in termini di cambiamento, sta per essere giubilata tra l’entusiasmo delle opposizioni e il benestare del governo.
La conferenza dei capigruppo del Senato ha deciso di calendarizzarla dopo il dibattito del 14 dicembre in cui, con tutta probabilità, si sancirà il tutti a casa. Solo la ministra Gelmini appare tranqulla, mentre Anna Finocchiaro del PD ha già dichiarato: si scordino di discuterla in caso di crisi di governo.
Sempre stamane ho capito come mai il dibattito sulla riforma elettorale si è arricchito di un nuovo capitolo. Non si discute di collegio uninominale all’inglese (viene eletto chi vince) o di sistema francese a doppio turno (viene eletto chi vince nel collegio dando la possibilità, nel ballottaggio, di coalizzarsi). No: Berlusconi è disposto a cambiare il porcellum ma vorrebbe il premio di maggioranza a chi prende almeno il 40% (perché pensa di arrivarci con PDL e Lega), mentre gli altri pensano ad una soglia del 45%. Come vedete si tratta di dibattiti di altissimo spessore.
Ed ecco allora il racconto (vero) di Carlo:
Vorrei dire qualcosa sulla riforma dell’università della Gelmini, ma non ho né voglia né tempo di approfondire la questione, che è comunque complessa e sfaccettata. E allora racconto un’esperienza personale.
Mia figlia (ricercatrice medico) e suo marito (ricercatore fisico) vivono da due anni in una città della Germania, dove mio genero lavora all’università locale come ricercatore e professore, all’età di soli 35 anni.
Come ha fatto? Semplice: ha preso contatto con l’università esponendo più o meno quali erano i suoi campi di ricerca, quali le sue pubblicazioni e competenze, quali le sue necessità didattiche. L’università ha un comitato scientifico che ha valutato la proposta, l’ha accettata e ha controposto il corrispettivo economico e le condizioni generali dell’incarico. Dopo una breve trattativa è stato firmato un contratto che prevede due anni di prova, prolungabili fino a sette se l’accordo soddisferà entrambe le parti.
In sostanza un rapporto di natura paraprivatistico, che non contempla annosi concorsi, umilianti anticamere e camarille varie. Tu vai bene a me, io vado bene a te, accordo fatto. Nel frattempo sono sorte altre possibilità di impiego, questa volta dall’Inghilterra, che potrebbero rivelarsi ancora più vantaggiose e dunque potrebbe essere possibile che in futuro la giovane coppia (che nel frattempo ha messo al mondo due bellissimi bambini) passi la Manica e si trasferisca nella “perfida Albione”.
Dimenticavo di dire che, prima del matrimonio, mia figlia ha lavorato un anno e mezzo negli USA come ricercatrice. Quando abbiamo parlato di queste vicende, ho fatto loro una domanda, abbastanza banale e anche un po’ ingenua: “Ma, ragazzi, dovete girare tutto il mondo? Non trovate nulla in Italia?”
I due si sono messi a ridere: “Papà – mi ha risposto mia figlia – in Italia non funziona così e anche quando trovassimo qualcosa, sarebbe per 800 euro al mese e una vita da eterni precari”. Mi pare che in simili situazioni si usi l’espressione “fuga di cervelli” e l’Italia purtroppo ne detiene il record mondiale….
Quando i nostri giovani bravi vanno all’estero io sono contento; mi preoccupa il fatto che i giovani bravi degli altri non vengono da noi (siano Tedeschi o Indiani). In compenso come osservava qualcuno importiamo le badanti.