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sono confuso perché non capisco — 4 commenti

  1. I comportamenti umani, collettivi e/o individuali, sono sempre collocati lungo una linea continua per cui, ogni classificazione, è sempre frutto di una operazione convenzionale. La linea che pertanto divide i terroristi dai non terroristi è convenzionale, perché in realtà ci sono terroristi più e meno decisi e non terroristi più o meno complici e simpatizzanti dei terroristi o loro avversari spinti. Premesso questo, c’è da chiedersi perché in certi periodi storici la linea convenzionale di separazione, la linea di soglia, si sposta verso uno (il terrorismo) o l’altro (la non violenza ad ogni costo) dei due estremi (anche questi convenzionali e non “naturali”). Se affrontiamo il problema in questo modo, vediamo che a spostare la linea concorrono molte cause, alcune di lunga radice storica, altre più vicine all’attualità. Molte cause, nessuna delle quali può essere separata dalle altre, pena la semplificazione propagandistica o moralistica. Fra le molte cause elenco le prime che mi si presentano con più evidenza:
    1) La religione islamica ha in sé un forte contenuto che potremmo definire “bellicoso”, propenso alla violenza, come dimostra tutta la sua storia di 1400 anni. Ciò non vuol dire che tutti gli islamici propendono per i terrorismo o che sono terroristi, ma vuol dire che, in analoghe situazioni, se i buddisti (ad esempio) disposti a diventare terroristi sono lo 0,5 per cento, gli islamici sono magari il 5 per cento (dati puramente esemplificativi, non certo di valore statistico). Questo della religione è un primo elemento da considerare.
    2) La religione porta ad una cultura complessiva con meno capacità di integrazione. Nella storia abbiamo esempi di islamici che convivono, anche da posizioni di minoranza, con altre culture e civiltà, ma non esempi di integrazione vera e propria. Convivono, ma come comunità a sé, mantenendo diversità non solo religiose ma anche culturali in senso più lato (costumi, rapporti fra i sessi ecc.).
    3) Fino alla prima Guerra Mondiale il mondo arabo/mussulmano avvertiva se stesso non come “inferiore” al mondo occidentale/cristiano, ma come pari o superiore. Non aveva ancora percepito in pieno nella propria coscienza culturale e politica l’inferiorità economica e tecnologica che andava accrescendosi.
    4) Dopo la prima Guerra Mondiale, con la fine dell’Impero Ottomano e di fatto la colonizzazione di quasi tutti i Paesi islamici, la coscienza della diversità si accresce via via producendo due fenomeni: da un lato la radicalizzazione, ossia il prevalere di correnti religiose e culturali sempre più radicali e tradizionaliste; dall’altro il risentimento e la lotta contro le potenze coloniali e in genere contro l’Occidente e il cristianesimo (i “Crociati”). Ciò ha portato a grandi trasformazioni, a lotte anticoloniali, a dittature pseudo-laiche in qualche Paese e al rafforzarsi di monarchie tradizionaliste in altri. Il mondo arabo/mussulmano, in sostanza, si è risvegliato con un misto di tendenze che lo portano contemporaneamente a imitare l’Occidente (la “modernità”) e a combatterlo e rifiutarlo.
    5) Man mano che la battaglia del “confronto” pacifico (o, meglio, del confronto più tradizionale fra Stati, comprese le guerre convenzionali) risulta perdente, anche a causa della continua ingerenza dell’Occidente (Usa e ancora strascichi del colonialismo inglese e francese) e dell’Urss, nascono e si rafforzano correnti più radicali che pongono le premesse per una guerra di nuovo tipo. Nasce così il terrorismo diffuso, prima limitato sostanzialmente a gruppi palestinesi e motivato dallo scontro incancrenito con Israele, poi esteso a gruppi nuovi, come Al-Qaeda, prima contro l’Urss in Afghanistan e poi contro gli Usa e l’occidente in senso più ampio.
    6) Con il diffondersi dei gruppi più radicali che adottano il terrorismo come loro arma principale e il fanatismo religioso come motore dell’azione e del reclutamento, il risollevarsi dell’orgoglio islamico (iniziato, come detto, agli inizi del secolo scorso) arriva alla sua estrema radicalizzazione e al confronto globale con il mondo non-islamico. Non più, dunque, solo con il mondo Occidentale, ma con tutto ciò che non è ritenuto in linea con l’islamismo più tradizionalistico. In pratica, con l’Occidente e con tutto ciò che è considerato corrotto dall’influenza occidentale, compreso l’islamismo “moderato”.
    7) La differenza nelle condizioni di vita e di ricchezza fra Paesi occidentali e Paesi islamici che ha portato a flussi di emigrazione di massa e il radicarsi dell’islamismo come seconda religione in diversi Paesi occidentali, anziché favorire l’integrazione e quindi la convivenza pacifica e la collaborazione, ha sviluppato sacche minoritarie ma consistenti di malcontenti, di rancore, di presunta o reale marginalizzazione, di sentimenti di odio e di richieste di “giustizia” e di “uguaglianza” sociale, non in quanto emigrati o cittadini, ma in quanto “cittadini islamici” (con specifiche rivendicazioni a favore dell’«islamicità» e di fatto contestazione dei costumi occidentali con i quali sono in contatto), che ha portato sia a far sì che i gruppi islamici dell’emigrazione, anche di seconda e terza generazione, siano un bacino consistente di reclutamento del fanatismo terroristico, sia al fatto che buona parte dei molti islamici che non diventerebbero mai dei terroristi, in cuor loro simpatizzano per il terrorismo visto come espressione di una lotta storica, sociale, culturale e religiosa nella quale si ritrovano.
    8) Tutto ciò fa sì che la battaglia, tutta interna all’islamismo, per il ritorno all’unità e al califfato, cioè a uno Stato islamico unitario, che unisca tutti i Paesi islamici, e che adotti la sharia anche come legge dello Stato, è diventata un confronto globale con l’Occidente e ha prodotto diversi tentativi di arrivare al Califfato, prima con Al-Qaeda, poi con l’Isis. Tentativi che hanno trovato un ostacolo più nell’Occidente che nei Paesi islamici, per cui i militanti di questi tentativi identificano i loro nemici principali non solo nelle classi politiche dei Paesi islamici non disposti ad aderire al programma più radicale, perché sono convinti che se questo fosse il loro solo nemico riuscirebbe a vincere in pochi anni; ma nei Paesi occidentali, e innanzitutto negli Usa, che sostengono i gruppi dirigenti islamici considerati “moderati”, o “amici dell’Occidente”. Da qui, necessariamente, il terrorismo si è diffuso in tutti i Paesi e tutto ciò che non è islamico pro Isis e simili è diventato un bersaglio possibile.
    9) Il confronto globale ha poi fatto rinascere anche il sogno, sconfitto nella seconda metà del Settecento, di islamizzare l’Europa e l’intero Occidente. Sogno in parte autentico, in parte pura strumentalizzazione in funzione antioccidentale, ma certo presente oggi nella cultura islamica pro-Isis e perseguito anche tramite l’immigrazione e il crescere numerico delle comunità islamiche nei Paesi occidentali, come numerosi documenti, manifesti e proclami politici hanno spesso affermato a chiare lettere. Non per nulla le “capitali dei crociati” (Roma compresa) sono bersagli simbolici e di fatto del terrorismo.
    10) La constatazione, infine, della facilità con cui i fanatici uccidono a sangue freddo e della disponibilità anche al “martirio” non deve stupire, se pensiamo che la cultura occidentale offre tanti esempi di comportamenti simili. Il fanatismo stalinista, quello nazista e tanti altri fanatismo europei non hanno forse presentato esempi di persone considerate per altri aspetti colte, sensibili ecc. ecc., eppure feroci e freddi carnefici, non solo di nemici, ma anche di ex amici e collaboratori appena appena “devianti”? Quando l’ideologia o la religione riducono i rapporti umani a contingenze personali insignificanti al cospetto del “fine necessario”, del fine ultimo, della “salvezza del mondo” ecc., uccidere il proprio simile visto come dissimile può diventare facile e richiedere poco addestramento.
    11) Uccidere a volte è una perversione, a volte una patologia, a volte un calcolo criminale, ma spesso è considerato solo una banalità necessaria perché trionfi il proprio “sogno rivoluzionario” (si tratti di rivoluzione religiosa, politica, sociale o di altro o di tutto insieme). Le ideologie totalitarie, antiche e moderne, di matrice religiosa o politica, lo hanno dimostrato centinaia di volte.
    (di Luciano Aguzzi)

  2. Secondo me l'affermazione del ministro Khan ha un che di strafottente. La sento molto simile a quelle del governo egiziano sul caso Regeni. Ho perciò la sensazione che nasconda una certa ambivalenza nei confronti dei terroristi: da una parte si temono i terroristi perché non sono direttamente ai propri ordini, dall'altra si simpatizza con loro perché combattono il comune nemico, il dominatore occidentale. Mi pare chiaro che i terroristi non sono degli isolati, hanno quanto meno l'appoggio morale di tutte quelle popolazioni e governi dei paesi che si sentono sfruttati dagli occidentali. È uno spirito di rivalsa.

  3. Sottolineo un punto che mi pare importante: "cambiare il mondo sentendosi protagonisti di un progetto che ci trascende, per il quale vale la pensa di morire uccidendo" forse già qui l'accostare i ragazzi del Bangladesh a chi operava in Italia fine anni '70 non vale del tutto: morire poteva essere un rischio contemplato ma non era una certezza; tanto meno poteva valere per i terroristi nostrani che "così ci si realizza e al di là ci attende un premio".  (Forse nella memoria dei posteri, foscolianamnte…)
    Invece per questi giovani di buona famiglia e colti, la morte è certa. Non so se credano davvero al premio al di là, dubito sempre che uno, per fedele che sia, abbia vere certezze sul dopomorte, quello che è certo invece è che intendono che la vita sia compiuta, completa, intera, che non ci sia "altro" da aggiungere, di imprevisto, di arricchente, di sorprendente, di rinnovante.
    Ha a che vedere col capitalismo, l'aspettarsi sempre qualcosa di nuovo. Ma la riproduzione allargata del tempo non li riguarda.

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