La matematica – da materia killer ad oggetto d’amore
Questo articolo l'ho scritto nel 2007 quando dopo anni di esperimenti nell'insegnare la matematica mi apprestavo a cambiare mestiere dopo il concorso per Dirigente Scolastico. Gli anni dal 1999 al 2008 allo scientifico Frisi di Monza sono stati importanti perchè con l'età, pur essendo rimasti immutati il rigore e la passione, mi ero addolcito e mi apprestavo ad insegnare a ragazzi molto motivati (quelli del PNI) con cui avrei trascorso 8 ore la settimana prendendoli in prima e lasciandoli in quinta.
Molti di quei ragazzi (con una altissima percentuale tra matematica, fisica e ingegneria) sono diventati degli scienziati professionali e sono in giro per l'Europa. Ero alla fine del mio percorso di docente e mi chiedevo come mai la matematica nella scuola, nell'immaginario collettivo, nei dibattiti televisivi fosse vista come una bestia nera al punto che politici e giornalisti si fanno un vanto di non sapere la matematica e di non averci mai capito nulla?
Gli ultimi anni di insegnamento sono stati i più belli e non è un caso se negli stessi anni ho sistemato più della metà del mio corso di Fisica generale: ricevevo stimoli e verificavo le proposte didattiche lavorando su una dimensione alta che mi consentiva poi un utilizzo di tipo monografico degli argomenti scelti senza pretendere di fare tutto.
Così è nato l'articolo che ripubblico e ho scelto di proporvelo com'era anche se ormai sono passati 9 anni e Pensieri in Libertà, che inizia nel 2010, non esisteva.
Insegno Fisica dal 71/72 (Itis) e Matematica e Fisica dal 76/77 (Licei) e non riesco a capacitarmi del fatto che nel Liceo Scientifico siano di più gli studenti che odiano la matematica di quelli che la amano e che spesso, alla fine della quinta, si incontrino classi in cui solo una esigua minoranza si orienta alle facoltà scientifiche o tecnico scientifiche. Facciamo pure la tara a quel 30% di studenti che si è iscritto allo scientifico per obbligo famigliare. E il restante 70% che amava o apprezzava la matematica alle medie come mai si riduce paurosamente al 15% 20 %?
E' vero che viviamo in una società in cui i mass media, il ceto politico, quello delle professioni sono dominati da persone che si fanno un vanto di non capir nulla di matematica e girano in battuta qualsiasi ragionamento impegnativo, perché se no ti viene mal di testa e cade l'audience. Ma questo costume che condanna l'Italia all'analfabetismo scientifico e ne fa poi un paese di serie B ridotto ad esaltarsi quando ci capita il genio è un destino dovuto a un difetto genetico degli Italiani o è una responsabilità della scuola? In tanti anni di insegnamento mi sono fatto l'idea che abbia ragione quel comico (Guzzanti) che di fronte ai falsi dilemmi concludeva sempre dicendo che la risposta giusta è la seconda: si tratta di una responsabilità della scuola. Vediamo allora qualche indicazione per tentare di andare contro corrente.
far giocare con la matematica e premiare la creatività
Spesso i giovani creativi non sono bravi: sono poco sistematici perché sono geniali, sono poco ordinati, non hanno la scrittura rotonda… I più bravi non esprimono ciò che l'insegnante si aspetta, perché per loro è ovvio e dunque superfluo. Il materiale delle Olimpiadi della Matematica va usato sistematicamente: ti pongo una questione e ti propongo delle possibili risposte. Ci puoi lavorare per enumerazione delle possibilità (tentativi), per esclusione, in maniera costruttiva. Ti faccio proposte sovrabbondanti e te le lascio finché una non si appropria del tuo cervello come un tarlo che ti dice ce la devo fare.
Rivedere in classe almeno un quesito la settimana partendo da una soluzione originale. Il contrasto tra ciò che l'Unione Matematica Italiana dimostra di volere con i quesiti proposti per le Olimpiadi e ciò che noi facciamo a lezione è abissale. Bisogna riflettere su questo punto e dare una sterzata al modo di fare matematica (troppe teorie, troppa sistematicità, troppe tecniche, troppo poca creatività ).
chi ha passione trasmette passione
Chi insegna matematica ci deve credere; deve essere convinto del valore della astrazione e deve saperne mostrare il senso a partire dal concreto matematico. Le disequazioni irrazionali o quelle ai moduli sono un ottimo strumento per insegnare ad essere analitici, a vedere la molteplicità e a saperla poi ricondurre ad un unicum avendone colto tutti gli aspetti. Quando arrivo a questi argomenti mi rivolgo a quelli che vogliono fare legge e dico loro: guardate che se non vi piace questo modo di procedere analitico, questo insieme di diramazioni entro cui bisogna sapere non perdersi, non riuscirete ad apprezzare la generalità e la particolarità del diritto.
Se si parla di analisi matematica, delle sottigliezze dell'infinito e dell'infinitesimo, bisogna comunicare subito i grandi risultati prodotti dall'aver introdotto uno spirito dinamico in matematica senza perdersi nel dettaglio delle tecniche dimostrative. Bisogna mostrare la conquista dell'intelletto umano che dà risposte a problemi precedentemente irrisolti .
chiarire il perché delle cose
A costo di fare la figura del somaro ricordo sempre ai miei studenti di essermi laureato in fisica senza sapere se la regola dei segni del prodotto dei numeri relativi (più per più fa più, meno per meno fa più …) fosse una libera definizione, una definizione imposta, un atto di fede …
Ma perché meno per meno fa più? E' obbligatorio? Si può fare una matematica in cui meno per meno fa meno; e in quel caso quanto deve fare più per più?
Ed ecco alcune questioni di cui discuto con i miei studenti di prima. Perchè pensiamo che la frazione 2/3 significhi 2 diviso 3 se non esiste nessun numero naturale che moltiplicato per 3 faccia 2? Perché la somma di frazioni si fa in quel modo bizzarro e innaturale in cui alle medie vi capitava di sbagliare? Perché m/n + p/q non fa (m+p)/(n+q)? Lo potrebbe fare?
Ho fatto degli esempi presi dal programma di prima superiore ma ci sono questioni del genere in ogni argomento di matematica e in ogni anno di corso. Il nodo è come ci si pone verso la conoscenza e di conseguenza come ci si pone verso l'insegnamento.
descrivere il contorno
Perché insegnamo le funzioni esponenziali e i logaritmi? Ritmo di trasformazione di un preparato radioattivo, rapporto preda predatore, valorizzazione continua di un capitale, assorbimento delle radiazioni da parte della materia, efficacia di un farmaco. Qualunque fenomeno di tipo casuale in cui la trasformazione elementare è proporzionale alla quantità attuale e all'intervallo di tempo porta ad un esponenziale e così, se sei in fisica nucleare arrivi al tempo di dimezzamento, se sei in farmacologia alla emivita del farmaco.
Il reale è molteplice, ma dietro la molteplicità, in ambiti diversi del sapere, scopriamo una sottostante unità matematica. Le cose sono diverse, ma le leggi sottostanti sono le stesse, o meglio hanno la stessa forma.
non insistere troppo con la tecnica
Non si può sempre partire da Adamo ed Eva e dunque bisogna che lo studente acquisisca alcuni automatismi così come saper leggere è una cosa diversa dal saper sillabare. Ma non bisogna eccedere, perché l'aspetto puramente tecnico è sempre arido, abitua alla sottomissione invece che al senso critico.
Nel bienno di scuola media superiore c'è il tabù del calcolo letterale. Esistono argomenti di non elevato valore concettuale (quali le tecniche di scomposizione dei polinomi) che assurgono ad elemento discriminante nel valutare la crescita matematica di uno studente. Quello bravo diventa un mago in trucchi ed acrobazie e magari non sa cosa sta facendo e perché quella tecnica è lecita.
L'esasperazione tecnica induce nello studente una logica di tipo premiale (si può, non si può) basata sulla abitudine e sulla imitazione. Non consente di riflettere sulla motivazione dell'errore e dunque rimbecillisce i bravi ed esclude quelli in difficoltà. Bisogna insistere con esercizi diversificati, pochi esercizi ripetitivi, discussione della motivazione delle procedure automatiche, discussione della origine degli errori e del perché di errori si tratta.
combattere l'ansia del fare in fretta
La questione del tempo è una delle costanti nell'insegnamento-apprendimento della matematica. Non basta saper fare. Bisogna saper fare in un tempo dato. Si tratta di una verità generale ma, mi chiedo, perché in ambiti non matematici la gestione del tempo avviene in modo così diverso. Perché ti danno qualche ora per tradurre da una lingua classica 20 righe e in una prova di matematica sei costantemente oppresso dal dilemma: o penso o faccio?
Le prove di matematica possono essere divise in due categorie: quelle tecniche in cui bisogna dimostrare di aver acquisito abilità specifiche, quelle di problem solving in cui bisogna interpretare, impostare, svolgere, concludere.
Nelle prime il tempo ha una certa rilevanza ma non deve però diventare mai un elemento di sbarramento ed è compito del docente tarare la prova in modo che i lenti non siano sistematicamente assimilati agli incapaci.
Nelle seconde si tratta di abituare gli studenti a motivare e descrivere la strada intrapresa in modo che eventuali pecche di tipo tecnico non finiscano per prevalere sulla positività di impostazione e sulla sostanziale comprensione di un processo che pure non abbia avuto buon esito. Lo studente deve avere il tempo di pensare, di confrontare strategie di impostazione diverse, di pentirsi e criticare a posteriori il proprio elaborato e tutti questi elementi devono poter esser espressi e valutati.
I veri problemi scientifici, quelli interessanti, quasi mai si risolvono nel tempo deciso da qualcun altro. Li mettiamo in una zona del cervello, ogni tanto ci torniamo sopra perché emerge quella che ci sembra una buona idea, facciamo uno schizzo e poi lo buttiamo via. Forse non è cambiato nulla, o forse no perché il tarlo continua a lavorare. Poi un giorno ci viene l'idea buona. Se questo vale per chi fa ricerca e per chi insegna, perché non deve valere per lo studente? Per questo come ho già scritto più sopra i puzzles veri devono far parte dell'insegnamento e il lavoro su di essi da parte degli studenti deve diventare parte della valutazione.
insegnare il calcolo rapido
Non siamo tutti come Enrico Fermi che a Los Alamos, per valutare la potenza della prima bomba atomica, lasciò cadere dei pezzettini di carta e ne osservò lo spostamento dovuto agli effetti del botto, ma l'abitudine a valutare la palusibilità di un risultato (tema molto caro ai fisici) deve entrare a far parte dell'insegnamento della matematica: saper leggere un digramma, saper approssimare, saper valutare a mente la sensatezza di un numero prodotto dalla calcolatrice, saper controllare il risultato di un conto lungo e complesso attraverso la determinazione a priori di un ordine di grandezza.
Questo è poi quello che ci viene richiesto nella vita quando il dettaglio dei programmi scolastici lo abbiamo dimenticato: sei un medico e devi diluire un farmaco, sei un ingegnere e devi valutare a occhio quante tonellate di cemento devi ordinare, sei un imprenditore e devi stimare al volo se puoi o no fare un certo sconto.
essere multilaterali nella valutazione
Se quanto ho scritto sopra è vero, è compito del docente tradurlo nella capacità di diversificare gli strumenti di valutazione, le scale di misurazione e la valutazione intermedia e finale. Bisogna valutare tante cose, valutare spesso, valutare anche il modo di essere a scuola.
Si viene a scuola per crescere e non per essere giudicati e la valutazione o riesce ad essere formativa o non è. Il docente di matematica tende ad esasperare la obiettività. La obiettività deve secondo me riguardare la misurazione (cosa è stato fatto, quanto è stato fatto, con quale qualità).
La misurazione deve essere fredda e il più possibile deterministica (ciò richiede un grande lavoro in sede di predisposizione delle prove). Ma la valutazione inizia dopo: chi sto valutando? Quali cambiamenti in positivo si sono realizzati? Sto valutando una prova positiva o una prova negativa? Nel primo caso evidenzierò le carenze da superare, nel secondo mi muoverò in una logica di ricerca di positività (il contrario della vecchia tecnica della matita rossa e blù ancora usata da taluni docenti di lettere classiche).
Quel che è certo, detto da un amante delle prove strutturate, è che alla fine non si fa la media aritmetica con la calcolatrice: perché valutare non vuol dire fare la media, perché la media aritmetica non è l'unico tipo di media (c'è per esempio quella ponderata che tiene conto della diversità tra una prova tecnica di un'ora e una prova finale di tre ore), perché 4 e 6 potrebbe essere diverso da 6 e 4, perché il 5 dello studente A potrebbe essere diverso del 5 dello studente B (vedi parabola evangelica dei talenti), perché la scala di valutazione non può essere di tipo lineare, perché mi piacerebbe che qualcuno mi spiegasse la differenza tra 2 e 3 senza farmi scoppiare dal ridere.
(ottobre 2007)