Padri, figli, nipoti – 2 – La storia e la memoria
Le generazioni, per destino umano sono transitorie. Lo stesso accade ai processi storico sociali. Ma, ovviamente, le velocità di transizione sono diverse.
A tentare di colmare i differenziali di velocità e dunque a costruire consapevolezza sociale dei processi storici, ci aiuta innanzi tutto la memoria con i suoi meccanismi di produzione, riproduzione e comunicazione. Nei sistemi sociali con istruzione di massa si aggiunge il meccanismo essenziale del trasferimento della disciplina storica da ambito di ricerca a ambito di riproduzione: la ricerca storica (più o meno appropriatamente metabolizzata) si trasforma in materia di insegnamento.
Si tratta, ovviamente, di un processo essenziale nella costruzione della consapevolezza storica socialmente diffusa. Ma, a causa del meccanismo di trasferimento dal campo della ricerca a quello della riproduzione di saperi (le discipline scolastiche) esso porta con sé rischi di cui occorre essere avvertiti. Ciò vale del resto, per tutte le discipline che diventano artefatto didattico.
Il rischio fondamentale è quello della sovrapposizione impropria di paradigmi della memoria, con quelli del sapere storico.
La riflessione sulla consapevolezza storica delle problematiche relative alla Carta Costituzionale incontra numerosi esempi di tale sovrapposizione. Per esempio si guarda alla Carta come a un serbatoio di promesse non mantenute o di occasioni mancate; una sorta di testimonianza che si trova sempre più avanti dei concreti processi storici.
Si tratta, come evidente, di un costrutto che rielabora memoria politica (obbiettivi e strategie politiche sconfitte, o non realizzate, speranze deluse) ma non ricerca storica (le ragioni, le cause, le responsabilità, gli interessi, la realizzazione di compromessi..).
E’ un paradigma caro ad una (vecchia) sinistra di grande spessore e storia politica; ma così sovrapposto ai costrutti dell’analisi storica si rischia di avere un approccio vittimario: le promesse non realizzate, le speranze tradite sono sempre responsabilità dell’avversario che ci ha vinto. In base a tale paradigma se oggi, addirittura, si vuol cambiare la Carta delle promesse, significa che siamo giunti al tradimento definitivo.
Ma altrettanto dicasi per la querelle su la Carta più bella del mondo. Lo slogan è certamente il prodotto di un intreccio di considerazioni reali e di altre immaginarie. E’ indubbio, per esempio, che il lavoro dei Padri costituenti abbia prodotto un documento di grande pregio per chiarezza, sinteticità, interpretazione progressiva dei “sacri principi” di isonomia e eunomia.
Ma ciò è molto più vero per la prima parte (i principi) che non per la seconda (gli ordinamenti dello Stato) che risente marcatamente sia della esperienza pregressa (la struttura dello Stato Liberale e l’esperienza della dittatura), sia degli equilibri e compromessi delle forze politiche e della stratificazione delle rappresentanze e degli interessi sociali di quella fase storica.
D’altro canto occorre comprendere che la comune elaborazione della memoria, al di là del rigore della ricerca storica ha una funzione fondamentale di unificazione delle consapevolezze, delle speranze e delle prospettive.
Dunque si tratta di un comune costrutto di senso del futuro. Solo la costruzione e l’impegno per il futuro comune rende accettabile la sovrapposizione tra memoria e consapevolezza storica (altrimenti il culto della memoria diventa altro e con altro scopo). Ciò richiede che la dialettica tra i due approcci venga nutrita e mantenuta vigile. In altre parole: l’obiettivo è la costruzione di un noi per il futuro. Se annulliamo la dimensione del futuro da queste strumentali costruzioni del noi, rimangono i residui negativi del paradigma vittimario (le speranze tradite, le occasioni perse) o del non si cambia nulla perché tutto è già al meglio (la carta più bella del mondo).
Ma ciò con cui dobbiamo fare i conti oggi, insieme a quanto già delineato in precedenza, è il ritrovarsi in una fase storica di transizione radicale con l’assenza di un idea sensata e condivisa di futuro. Ogni patriottismo costituzionale che si limiti a volersi nutrire di se stesso stravolge il suo significato e minaccia di diventare altro in termini di conservazione frustrata. Occorre affrontare la fatica e l’impegno dell’analisi storica e politica differenziate, se si vuole scongiurare quel precipizio.
Heri dicebamus
Forse per tutte le ragioni precedenti, il confronto sulla riforma costituzionale si è animato con rimandi ripetuti a ciò che fu detto da padri storici e che viene ripetuto, come se fosse memoria condivisa, ai nipoti che andranno alle urne. Non mi sottraggo all’onda, sperando che si rintracci, tra le righe una trama che all’onda non appartiene.
Si legga: “Le Regioni e i Comuni eleggeranno la seconda Camera”. Titolo dell’Unità (allora organo del PCI) del 17 Ottobre 1946. Riferisce l’ordine del giorno approvato dalla seconda sottocommissione della Costituente. Il Senato dovrebbe essere eletto per un terzo dalle Regioni (che tarderanno oltre vent’anni ad essere costituite) e per due terzi dai Comuni. Il PCI è d’accordo, sia pure con qualche elemento critico.
“Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale..” (art. 57). L’affermazione attuale dell’art.57 sarebbe senza senso alcuno (se non tecnicamente per la determinazione dei collegi) se non rammentassimo che in realtà il primo testo costituzionale differenziava marcatamente la funzione del Senato (contrappesi).
La differenziazione riguardava non solo la maggiore età richiesta per eleggerlo, ma anche la durata più lunga prevista inizialmente (sei anni contro cinque della Camera, che comunque ponevano il ruolo del Senato “a scavalco” della legislatura). Il dispositivo non fu mai rispettato. Nel 1953 e nel 1958 il Senato fu sciolto anticipatamente per aggirare la sfasatura, e nel 1963 fu modificata la Costituzione per sancire il bicameralismo perfetto (che non stava nelle intenzioni dei padri costituenti).
Chi oggi parla di contrappesi si riferisce comunque a quelli che elabora lui stesso, non a quelli nella mente dei padri costituenti.
La paura “che domani vi possa essere una maggioranza che sia espressione libera e diretta di quelle classi lavoratrici, le quali vogliono profondamente innovare la struttura politica, economica, sociale del Paese: e per questa eventualità si vogliono prendere garanzie, si vogliono mettere delle regole… e di qui anche quella bizzarria della Corte Costituzionale … insomma tutto questo sistema di inciampi, di impossibilità, di voti di fiducia di seconde Camere, di referendum a ripetizione, di Corti Costituzionali…..” Intervento alla Costituente di Palmiro Togliatti, 11 Marzo 1947.
L’attenzione ai contrappesi è dunque meno lineare e istituzionale di come viene rappresentata oggi. Storicamente vi furono l'intreccio tra esigenza di definire garanzie per scongiurare l’esperienza del fascismo, ma anche le preoccupazioni anti-giacobine della DC, ma anche le cautele con le quali venivano lette le condizioni di democrazia avanzata che elaborava la sinistra (vedi l’intervento di Togliatti).
Per esempio in un carteggio tra De Gasperi e il suo delfino Piccioni, il primo paventa nel dettato costituzionale, il pericolo costituito dall’assetto regionale e dall’istituto del referendum popolare. De Gasperi lo utilizzò largamente ma solo per ricomporre la questione del Trentino-Sud Tirolo. In questa chiave vanno letti i grandi ritardi applicativi della Carta come quello relativo alla creazione della stessa Corte Costituzionale e il lunghissimo intervallo nel dare vita all’ordinamento regionale..
A proposito della formazione della Corte si ricordi che il primo Presidente era stato, in precedenza, a capo del Tribunale della Razza.
Dunque si discusse di principi di fondo certamente, ma declinati entro preoccupazioni sia squisitamente politiche, sia strettamente contingenti, sia di più ampia strategia.
Il dibattito costituzionale non fu mai separato dalla contingenza politica. Non ci fu una purezza istituzionale come oggi qualcuno rivendicherebbe, se non in qualche eroica figura ma che non può essere identificata con la carta stessa. I miti servono, ovviamente, ma l’analisi storico/politica serve a identificarli.
Franco De Anna
(2 continua) – L'articolo precedente è Padri, figli, nipoti – 1 – L’assemblea e gli oratori