Terra del Fuoco – Francisco Coloane
Confesso la mia ignoranza in fatto di letteratura e dunque, prima di incontrarlo tra gli scrittori da portare con sè in Il cacciatore di ombre di Tito Barbini, non sapevo nulla di Francisco Coloane (Cile, 1910-2002). Poi mi è bastato guardare qualche immagine del suo viso per pensare che si trattasse di un personaggio che non si è fatto mancare le cose importanti della vita (conoscere la propria terra e vivere nella natura).
I suoi libri la descrivono attraverso racconti di altri: persone comuni (se si può essere comune in Terra del Fuoco e in Patagonia) che all'inizio del 900 vivono nel sud del sud del mondo, a cavallo, sulle golette, a piedi, in mezzo ai nativi.
Terra del Fuoco è una raccolta di racconti e il titolo è quello del primo di essi, ma il nome del libro deriva dal fatto che tutti trattano di storie che si svolgono tra la costa meridionale del Cile e Capo Horn.
Me li sono letti avendo in connessione Google Maps per capire dove eravamo e dare una collocazione spazio-temporale a quei nomi in spagnolo a partire dalla onnipresente isola di Chiloé, dove Coloane è nato.
Ha fatto il baleniere, il marinaio, il gabbiere, l'esploratore, il caposquadra in uno dei grandi allevamenti di pecore che nella Fine del Mondo hanno contribuito alla distruzione delle etnie degli indios nativi.
Nella prefazione di Louis Sepulveda si ritrova una descrizione che Coloane fa di se stesso: «Nei miei racconti e nei miei romanzi, ho voluto esprimere l’anima dell’uomo cileno, soprattutto quello di Chiloé o della regione magellanea, confinato tra i mari, i golfi, le cordigliere frastagliate e i ghiacciai millenari del Sud, circondato dall’oceano più burrascoso del pianeta. In questo scenario grandioso vive un uomo debole quanto una brezza, e nello stesso tempo forte come il vento dell’ Est…»
Terra del Fuoco è stato pubblicato nel 1956 quando Coloane era ormai diventato famoso e si compone di nove racconti a tema. Sono storie semplici, non necessariamente con una trama perché parlano di persone, di ambienti estremi, di cose che accadono, quasi mai con un lieto fine.
In Terra del Fuoco si narra di tre uomini in fuga (Novak, Schaeffer e Spiro) ricercati dalle milizie armate di un padrone di miniere d'oro di cui anch'essi avevano fatto parte.. L'italiano Spiro tradisce quasi subito mentre gli altri due si legano nella solidarietà e si dividono poi per la bramosia dell'oro (un piccolo giacimento che si è concentrato nella sabbia tra le ossa di una grande balena che hanno fatto da filtro).
Gli altri racconti sono: SUL CAVALLO DELL’AURORA, COME MORÌ IL CHILOESE OTEY, CINQUE MARINAI E UNA CASSA DA MORTO VERDE, IN ROTTA PER PUERTO EDÉN, TERRA D’OBLIO, LA PARTE SOMMERSA DELL’ICEBERG, LA BOTTIGLIA DI AGUARDIENTE, IL COSTRUTTORE DEL FARO.
Come ho detto non sono delle storie con un inizio e una fine; si descrive un ambiente, un gruppo di personaggi e soprattutto l'ambiente della terra del fuoco. Mi è piaciuto più di tutti, IN ROTTA PER PUERTO EDÉN, una storia a bordo di una goletta che si occupa di raccogliere mitili utilizzando dei palombari. A causa della mancanza di carne ci sarà il furto di due pecore destinato a finire in tragedia. Ve ne propongo un brano:
Issata a bordo per le quattro zampe, la pecora era rimasta tranquilla sul fondo dell’imbarcazione. Lui si era seduto a poppa con l’agnello in braccio, aspettando Alvarez. La notte era nera come la bocca di un lupo, di un’oscurità umida che il piovigginare rendeva palpabile. Il fragore delle onde lasciava dei brevi intervalli di silenzio durante i quali il mare sciabordava, come se passasse dalle imprecazioni ai lamenti contro quelle scogliere in balia dei flutti.
L’agnellino cercava la madre allungando il capo nel buio, e non riuscendo a vederla aveva ricominciato a belare; ma ormai non potevano più sentirlo, a quella distanza;i belati si perdevano tra i frangenti come quelli di un cucciolo di foca. Se lo era stretto al petto, coprendolo con un lembo della coperta di lana.
L’agnellino aveva infilato il muso sotto l’ascella di Villegas, calmandosi. Ogni tanto accarezzava il pelo ispido del piccolo, e quel contatto stabiliva una certa tenerezza tra l’uomo e l’animale. Aveva provato una sensazione dimenticata da tempo, in quella notte buia e piovigginosa, nella desolazione di quell’ultimo lembo dell’arcipelago delle Desertores, passando la mano su qualcosa di morbido e tremante, di tenero e indifeso.
Si era ricordato di quando sua madre lo coccolava stringendoselo al seno e, facendo lo stesso con l’agnellino, ne sentiva il respiro che palpitava debolmente come un cuore.
A bordo della goletta, aveva continuato a circondarlo di attenzioni. Per prima cosa si era messo a nutrirlo con il latte della madre, e quando aveva dovuto abbattere quest’ultima perché non smagrisse troppo per la mancanza di erba e stendere la carne a seccare sul cordame, aveva schiacciato delle patate dandogli da bere il succo. Poi l’agnello aveva cominciato a mangiare anche il purè e il pane bagnato. Appena gettavano l’ancora, Villegas si precipitava con la scialuppa a cercare dell’erba, soprattutto il sedano selvatico che cresceva su quelle isole, con cui variava l’alimentazione del suo «orfanello», come lo chiamava affettuosamente lui.
Francisco Coloane
Terra del Fuoco
Guanda, 2010, 176 pag, 15 €