2008-2012: DS, un bel lavoro … molto faticoso
Nell'estate del 2008 è venuto anche il momento di quelli del corso Milano 7: la firma del contratto da Dirigente Scolastico all'ufficio scolastico della Lombardia. Molta emozione e, nei giorni precedenti contatti e indagini sul campo per scegliere bene visto che ero tra i primi e dunque, potevo spaziare.
I dubbi riguardavano tre sedi: il Ghandi di Besana, il Mapelli di Monza e l'Hensemberger di Monza. Contrariamente alla norma secondo cui non si torna mai sul luogo del delitto decisi per l'Hensemberger, la mia vecchia scuola (1964/1965: il diploma e 15 giorni di sospensione).
All'Hens ci sono stato tre anni e poi sono passato a Siena al Bandini per l'ultimo anno di servizio dopo un trasferimento per ragioni connesse alla qualità della vita. Gli anni avrebbero dovuto essere due ma ragioni familiari e mutamenti normativi li hanno ridotti a uno solo. In entrambi i casi si è trattato di Istruzione tecnica (tecnologica prima ed economica poi, cioè periti e ragionieri).
Mi convinsero per l'Hensemberger, l'impressione di una scuola in ordine, la conoscenza del direttore amministrativo e la malinconia che mi prese mettendoci il naso dentro, con il busto in bronzo di PINO, davanti alla porta a vetri che dà in segreteria. Pino sta per Pino Hensemberger ed è il nome che tra studenti e amici dell'Hens si dà alla scuola.
Il DS, chi è?
Il lavoro nello stato è davvero singolare: in qualunque organizzazione quando si cambia un dirigente c'è una fase di training e si viene immessi dentro una struttura esistente. Invece, a fare il DS, arrivi in un posto dove, se va bene, il passaggio di consegne te lo fanno in un quarto d'ora (nel mio caso c'era stato un preside incaricato un po' approssimativo), dopo di che devi immediatamente procedere alla assegnazione dei docenti alle classi e scegliere i tuoi collaboratori.
Così, nel primo anno, ti limiti a confermare scelte di altri e poi passi i primi due mesi a guardarti intorno e a cercare di capire. Ma intanto devi organizzare il nuovo anno scolastico che inizia di lì a 15 giorni e devi farlo cercando di far emergere la tua impronta. Bisogna essere flessibili e accomodanti, ma non mollaccioni.
Mi era già chiaro prima, e divenne chiarissimo durante la formazione, il DS è il riferimento di tutti quelli che nella scuola operano o che devono entrare in contatto con essa. E' un dirigente che deve obbligatoriamente aver fatto il docente, ma non è il capo dei docenti perché la scuola è una realtà complessa di cui i docenti sono una parte.
Questo è un elemento essenziale: deve fare in modo che i docenti stiano bene e lavorino con entusiasmo ma, per quanto riguarda le cose da fare, le innovazioni, il profilo della scuola, è altrettanto importante guardare fuori dalla finestra verso quelli che con un brutto vocabolo sono chiamati gli stake-holders e poi ci sono i dipendenti non docenti, gli studenti e le famiglie.
L'elemento principale di stress-logoramento per il DS è la solitidine. Essendo un organo monocratico si tratta di una questione inevitabile. Puoi avere i migliori collaboratori del mondo, ma alcune decisioni spettano a te e certi dubbi teli devi risolvere da solo; al più, se ti va bene, visto che ti interfacci con realtà diverse della istituzione scolastica, potrai ricevere stimoli e suggerimenti da chi vede il reale attraverso le lenti del suo particolare.
Il contesto territoriale
Stake-holder sta per portatore di interessi diffusi. La scuola della autonomia opera in un contesto territoriale e, prendendo ad esempio l'Hensemberger (scuola tecnica in un contesto territoriale industriale e terziario) i nostri stake-holders erano gli enti locali e le associazioni professionali e imprenditorali. Quali specializzazioni servono? Quali curvature particolari bisogna dare al profilo professionale degli informatici? Come portare la scuola dentro le imprese e le imprese dentro la scuola?
Si tratta di un lavoro che, in prospettiva dovrebbe portare ad una revisione degli organismi di gestione/amministrazione della istituzione scolastica e ci si sarebbe già arrivati se il progetto autonomia, inventato da Luigi Berlinguer alla fine degli anni 90, non avesse subìto interruzioni e arretramenti.
Tutti coloro che operano nella scuola, o si sono impegnati in essa attraverso gli organi collegiali, sanno benissimo che molti degli strumenti di rappresentanza previsti dai decreti delegati del 1974 sono delle inutili palestre in cui si finge di praticare la democrazia e, di sicuro, non si fa della gestione.
Ma d'altra parte, il mondo politico (sia nel centro destra, sia nel centro sinistra) non riesce ad affrontare la questione e così abbiamo degli ordinamenti in cui predominano gli organismi consultivi e le opzionalità. Per quanto riguarda la istruzione tecnica siamo decisamente più indietro di quanto non avvenisse prima del 74 con i consigli di amministrazione che avevano margini reali di autonomia nell'assumere e nell'adeguare le caratteristiche della scuola all'ambito territoriale in cui operavano. E fu quello a fare dei nostri ITIS modelli ancora ineguagliati in Europa.
Scorrendo i documenti dell'archivio storico dell'Hensemberger mi stupì favorevolmente il fatto che, nel momento in cui la scuola si formò, separandosi dal Feltrinelli di Milano, il nuovo preside, ing. De Majo dovette fare uno stage di 6 mesi in Fiat a Torino, per rendersi conto direttamente delle caratteristiche di quel mondo per il quale avrebbe dovuto sviluppare i quadri intermedi.
Nel riordino della Istruzione Tecnica è stata prevista la istituzione del Comitato Tecnico Scientifico un organismo di rappresentanza che può essere utile per strutturare i rapporti con i diversi interlocutori che potrebbero avanzare proposte sensate sulla curvatura dei curricula (associazioni imprenditoriali e dei servizi, ordini professionali, rappresentanze degli enti locali, singoli imprenditori sensibili ai temi della scuola). Non è il Consiglio di Amministrazione, anche perché non c'è autonomia finanziaria, ma è certamente un ottimo strumento di consultazione per il dirigente. L'ho istituito all'Hensemberger e mi auguro che funzioni ancora.
Il progetto di riforma della Buona Scuola ha aperto alcune strade sul fronte della alternanza scuola-lavoro che è essenziale per la crescita culturale e professionale degli studenti e per la interazione vera (cioè non mediata solo attraverso le rappresentanze di categoria) tra scuola e mondo delle aziende.
Si tratta e si trattava di trasformare la Alternanza scuola-lavoro da un progetto largamente realizzato a scuola in esperienze continuative di stage che vengono poi rielaborate a scuola.
Cito alcune difficoltà:
- come si ribalta il tempo-scuola passato in azienda nelle valutazioni del Consiglio di Classe?
- cosa fanno a scuola i docenti non impegnati nella alternanza mentre gli studenti sono altrove?
- chi e con quali riconoscimenti economici si occupa del lavoro minuzioso di contatto, organizzazione, verifica?
Per fare bene l'alternanza bisogna Istituire un rapporto continuativo e spalmato sui 5 anni con le aziende attraverso regolarità di visite, rapporti diretti con gli imprenditori, selezione di ex alunni da assumere. Se lo si fa si ottengono risultati importanti:
- gli imprenditori sanno finalmente cosa si fa nelle scuole, possono avanzare suggerimenti di miglioramento, possono dare una mano per quanto riguarda gli investimenti in laboratori, sanno se e quanto si potranno fidare della formazione finale di quegli alunni che si apprestano ad assumere
- gli studenti si confrontano con il mondo concreto, sperimentano gli orari di lavoro, hanno la possibilità di far emergere doti e caratteristiche che, a volte, la scuola non sa riconoscere
Un capitolo a parte riguarda il ruolo dell'ente locale (la provincia e il comune):
- la provincia ti fornisce l'edificio e si occupa della manutenzione ordinaria e straordinaria. Bisogna mantenere rapporti costanti e virtuosi sia con i funzionari (quelli che decidono cosa si fa e quando lo si fa), sia con gli assessori con cui è possibile discutere di alternanza e dei grandi progetti di organizzazione della offerta formativa nel territorio. Se le cose funzionassero la assegnazione delle specializzazioni ad una scuola, la eliminazione di duplicazioni inutili (spesso dovute all'appetito dei Sindaci) si potrebbero discutere in maniera aperta. A Monza e a Siena ci ho provato
- i comuni sono abituati ad occuparsi prevalentemente della assegnazione di fondi alla scuola primaria (quello che un tempo si chiamava piano per il diritto allo studio), ma una scuola superiore dentro una città ha a che fare con la identità di quella città e dunque, operando con gli assessorati alla cultura e alla istruzione, si possono mettere in atto sinergie che hanno a che fare sia con l'offerta culturale, sia con un utilizzo delle strutture anche in orario extrascolastico.
- entrambi gli enti possono poi essere interlocutori validi per l'alternanza scuola-lavoro e per la istituzione di borse di studio legate al merito (e anche questo l'ho fatto memore delle mie borse ottenute dalla Amministrazione Provvinciale).
l'identità e la solidarietà
Quando studiavo all'Hensemberger l'identità si realizzava attraverso strumenti esteriori: la tuta da ginnastica nera con la H e la tuta da officina color caki con lo stemma della scuola. Si comperavano dal Dassi Gomma in via Vittorio Emanuele.. E' evidente che gli abiti non bastano a dare identità, ma possono essere lo specchio di qualcosa di più profondo da costruire, il senso di appartenenza.
Quando tra studenti, famiglie e personale (docente e non) c'è senso di appartenenza, voglia di rimanere, vuol dire che le cose funzionano sia sul piano della formazione scolastica, sia su quello del rapporto di lavoro. Per farlo bisogna coinvolgere le persone, facendo loro comprendere il valore e l'utilità generale di quanto vanno facendo.
Se si tratta degli studenti, occorre fare in modo che i loro docenti trasmettano passione ed entusiasmo, due qualità che poi lasciano il segno. Quando facevo il docente gli studenti me l'hanno raccontato tante volte quanto fanno in fretta a giudicare un docente e a metterlo o no tra le cose importanti: ci guarda in faccia? ciprende sul serio? ci rispetta? crede nelle cose che ci dice? Quando viene da noi si ricorda a che punto eravamo rimasti?
Me lo hanno confermato in questi giorni gli interventi nella discussione sui capitoli dedicati ai miei anni da docente. Lo studente ti vuole sentire, se tu ci sei si crea il rapporto, se non ti sente il tuo lavoro è del tutto inutile.
Un'altra cosa importante che ho cercato di introdurre sia a Monza, sia a Siena è stata la premialità. Gli studenti bravi ed impegnati non devono sentirsi dei drop-out, i secchioni odiati e derisi, ma devono diventare esempi da imitare. Per farlo, c'è un incentivo importante, la distribuzione di borse di studio nominative e consegnate, in una cerimonia pubblica, da chi le finanzia.
La scuola non ha risorse sue, ma con un po' di impegno, tra enti locali, benefattori, imprenditori, fondazioni, … le risorse si trovano. In questo modo si educa al valore del danaro, alla lotta per la vita e si rema contro certe tendenze alla omologazione.
C'è chi pensa che il riconoscimento del merito sia un valore di destra; io penso che sia un valore e basta. Sei di destra se sei per il merito, sei di sinistra se sei per la solidarietà. Sei di destra se premi i meritevoli, sei di sinistra se sostieni quelli privi di mezzi: scempiaggini, caricature della società democratica. Chi è privo di mezzi va sostenuto per essere messo in parità di condizioni, ma poi deve remare; chi emerge va premiato ed educato alla solidarietà. Avete mai pensato ad una scuola in cui coloro che devono essere sostenuti lo siano attraverso una azione sistematica dei propri compagni cui si dovrà riconoscere un credito scolastico (e qui servono docenti attenti e in grado di essere dei bravi supervisori) ?
Nella esperienza di docente degli ultimi 40 anni ho trovato un senso di identità superiore nel mondo dei licei e mi sono chiesto come mai. L'unica risposta che riuscivo a darmi stava in una maggiore attenzione alla persona nei luoghi in cui c'era meno tecnica. Ma non lo considero un dato assodato e ineliminabile. Nella mia storia scolastica ho conosciuto ingegneri che hanno lasciato in me un segno profondissmo ed altri di cui ricordo a fatica il cognome. Non c'entravano la tecnica contro la cultura, c'entrava la passione.
Cosa può fare il DS per migliorare la situazione? Il docente deve sentirsi sia libero, sia parte di una organizzazione. Deve essere sicuro che se rimane entro il quadro di una professionalità seria e documentata sarà libero di agire senza sentirsi il fiato sul collo; d'altra parte deve poter percepire, attraverso regole comuni, che il suo impegno si affianca a quello di altri, che il suo lavoro si inscrive in quello di una intera organizzazione (se organizzazione vi disturba, diciamo comunità).
A proposito di identità è bene lavorare affinchè si costituisca una associazione di ex alunni che operi all'interno della istituzione scolastica. Farlo vuol dire aiutare la scuola nel condividere esperienze vincenti, fare della scuola un punto di riferimento, creare una rete di opportunità professionali.
innovare e documentare il proprio lavoro
Dietro questi imperativi esortativi ci sono due miei chiodi fissi. La scuola che non si innova è destinata al declino perché la migliore propaganda è quella che fanno gli studenti con i risultati in uscita: siamo stati bene; non abbiamo perso tempo; abbiamo fatto fatica ma quello che abbiamo appreso ci è servito, sia per la vita, sia per gli studi successivi.
Da una decina d'anni è stato impostata, nella scuola superiore, e in particolare nella istruzione tecnica, la metodologia della didattica per competenze. Si tratta di una cosa facile da descrivere, ma molto difficile da fare. Si parte dai profili in uscita: cosa deve saper fare, in contesti noti, ma anche in contesti inattesi, uno studente al termine del percorso? Dopo aver chiarito questo elemento si procede a ritroso e si costruisce il percorso didattico. La conoscenza non viene più proposta attraverso un percorso sequenziale ma attraverso uno a spirale in cui avvengono approfondimenti successivi.
Ci sono due rischi da tenere presenti: la frammentarietà e la mancanza di riferimenti storico-culturali nei processi di conoscenza. Basta saperlo e vaccinarsi. Per quanto mi riguarda la sistematicità e la riflessione di contesto, sono talmente importanti, che semmai corro il rischio opposto, quello di lasciarmene travolgere.
Sul terreno della innovazione non c'è solo il tema delle competenze, c'è anche la necessaria attenzione al mondo e alla cultura in trasformazione. Non se ne esce se il docente non ha la coscienza di sentirsi prima di tutto un uomo di cultura e dunque non cessa mai di studiare, di apprendere, di curiosare.
Bisogna che il docente si trasformi in un ricercatore sui temi della didattica e questo lavoro di ricerca va documentato, reso pubblico, trasformato in testi scritti, lezioni, verifiche commentate e corrette, progettazione di percorsi, schemi, mappe concettuali.
Per quanto mi riguarda me ne sono occupato a lungo, sino a considerarlo, insieme allo studio, il mio impegno principale. Ne trovate traccia nella home page con il rinvio al corso di fisica, ai compiti, alla pagina sulla didattica cui in questi anni si sono collegate più di centomila persone.
Nella mia idea di scuola tutto ciò non deve essere una eccezione, ma la norma e mi spiace che le organizzazioni sindacali, che pure hanno inserito questi aspetti nei contratti, di fatto non se ne curino, appiattendosi su difese al ribasso dei diritti.
Il risultato a cui penso lo avremo quando nella scuola non ci saranno più i libri di testo, sostituiti dalla produzione didattica interna e dall'utilizzo guidato della rete Internet come strumento per la raccolta di dati significativi. Sottolineo che deve essere un lavoro guidato, perché in rete si trova di tutto, dalle schifezze a ciò che serve.
A proposito di editoria scolastica, in questi anni ho visto una deriva che non condivido: libri sempre più grandi, pieni di apparati didattici in grado di soddisfare tutti i gusti, tendenza a nuove edizioni realizzate solo per combattere il mercato dell'usato. Sembrano oggetti inventati per invitare il docente al disimpegno. E' paradossale; viviamo nell'era di Internet e della informazione diffusa e distribuita. Insegnamo a questi ragazzi a cercare, a leggere, a selezionare. Usiamo di più la posta elettronica per orientare lo studente su ciò che sta facendo.
Non mi sono fatto una idea precisa su valore e limiti della didattica a distanza. E' una bella sfida che richiede un modo di far lezione che non può essere la lezione cattedratica mediata da microfono e telecamera (gruppi di lavoro controllati e in presenza da seguire a distanza, scomposizione delle classi, percorsi meno rigidi).
costruire una organizzazione
Il docente della scuola italiana, anche quando è molto bravo, è un inguaribile individualista. Lo è diventato come effetto di un modo di lavorare che spinge all'individualismo e al potere che si nasconde dietro la porta chiusa dell'aula. Nei tanti anni di insegnamento mi è capitato di saperne di più sul carattere e sul profilo culturale di un collega dai racconti degli studenti piuttosto che dalla interazione diretta o dalle liturgie dei consigli di classe, il luogo per eccellenza, in cui si praticano la reticenza e l'ipocrisia.
Ma la scuola del 21° secolo, non fosse altro per ragioni dimensionali, non può continuare a campare su di un modello che funzionava a inizio 900: tante monadi e un preside che faceva da prolungamento del ministero.
Vi pare possibile che una struttura che governa 1500 alunni, che vede al suo interno oltre 100 laureati e una trentina di dipendenti non insegnanti, sia governata da un singolo dirigente che si occupa di tutto dal DUVRI (documento unico per la valutazione dei rischi interferenzaili) sino a presiedere i Consigli di Classe?
Non ci siamo; c'è un difetto nel manico; la scuola come ogni organizzazione deve essere dotata di uno staff costituito da persone, ancora parzialmente legate all'insegnamento, ma retribuite in maniera significativa per un lavoro che, quando lo si fa seriamente, comporta una presenza di almeno 36 ore settimanali (il doppio dell'orario di cattedra).
Oltre a figure solo parzialmente impegnate cui affidare incaricchi specifici e ben definiti, il DS deve disporre di almeno due collaboratori a tempo pieno: uno che segua la didattica, a partire dai dipartimenti di area disciplinare, ed uno che segua la scuola come organizzazione e come entità che vive nel territorio. O si scioglie questo nodo o non se ne esce. E mi fermo qui perché si entrerebbe in questioni di tipo specialistico.
Allo stato attuale, se va bene, si riesce ad avere un vicario staccato dall'insegnamento e un secondo collaboratore nominati dal DS. Ho sempre affidato al primo tutta la gestione ordinaria del quotidiano e al secondo un ruolo di promozione verso all'esterno in affiancamento a me. Senza Nicola Polverino (che faceva il lavoro sporco) e Antonella Onorati (che mi dava una mano su tutte le questioni non strettamente legate al funzionamento ordinario) non ce l'avrei fatta e dunque va a loro un ringraziamento particolare.
Mi sono state certamente utili le competenze acquisite negli ambiti della informatica, dell'office automation e della organizzazione. Nelle due sedi in cui ho operato ho lasciato due banche dati nel PC della Presidenza:
- cartelle di documenti distinte per aree tematiche (rapporti con l'esterno, organi collegiali, documentazione interna, contratto integrativo, sicurezza, problematiche riservate, didattica, scrutini, nomine, pof, fondo di istituto, regolamenti, viaggi di istruzione, acquisti, sezione riservata del protocollo….)
- archivio della posta elettronica in entrata e in uscita anch'essa organizzata in cartelle. In media, depurate dallo spam e dalle cose inutili, ci sono ogni giorno una ventina di mail significative che vanno lette, archiviate in maniera intelligente e a cui va data risposta.
Ho ancora la mia copia e in qualche occasione ho dovuto metterci mano per cose che a scuola non si trovavano più. Non è un caso; per entrambe le sedi c'è stata una fase di interregno (reggenze) e in queste situzioni, di solito, chi arriva riformatta il computer. Prosit.
Rimettendoci mano per la stesura di questo capitolo mi sono venute fuori una serie di azioni messe in atto nel quadro della costruzione del sentirsi parte.
- Un gruppo di lavoro coordinato da uno psicologo e rivolto ai docenti del biennio, quelli più coinvolti dalle intemperanze della questione giovanile, per una riccognizione dei problemi e la costruzione di un progetto di miglioramento.
- Il coinvolgimento sistematico dei genitori rappresentanti di classe. Una volta ogni due mesi li radunavo tutti in forma assembleare: relazione informativa sui problemi che si stavano affrontando a scuola e successiva apertura del cahier de doleance da parte dei rappresentanti con discussione aperta. Era un modo per coinvolgere questi genitori e dare un senso alla loro lodevole disponibilità, oltre cche un importante strumento di cconoscenza della realtà per il DS.
le strutture collegiali dei docenti
In passato mi è capitato di osservare che, dopo il crollo del comunismo, il Collegio Docenti è rimasto l'ultimo dei soviet: poteri quasi assoluti su qualsiasi questione riguardante la didattica, responsabilità quasi nulla sulle implicazioni che il cattivo funzionamento del Collegio può determinare. Se un Collegio non innova, se un Collegio non diversifica l'Offerta Formativa, se un Collegio concepisce il suo potere non come responsabilità, ma come laissez faire, sul momento non accade nulla. Poi pian piano, di anno in anno le iscrizioni calano e la scuola muore.
Si tratta spesso di una assemblea in cui convivono docenti di indirizzi completamente diversi (dopo la costituzione delle scuole miste dette Istituti di Istruzione Superiore) e dunque se il DS, che lo presiede, non svolge una funzione di preparazione delle riunioni il Collegio non funziona, pur dando la parvenza di funzionare.
Servono tre azioni e su ciascuna di esse deve esserci un ruolo di direzione e promozione da parte del DS che è anche presidente del Collegio:
- le deliberazioni del Collegio vanno preparate distribuendo in anticipo schemi di delibera su cui i docenti possano riflettere preventivamente, intervenire portando contributi, predisporre emendamenti
- a volte può rivelarsi utile una discussione generale di orientamento senza deliberazione con successiva costituzione di un gruppo di lavoro che prepari il materiale per la deliberazione successiva
- il Collegio si deve articolare in dipartimenti per area disciplinare e sono questi dipartimenti ad elaborare gli obiettivi minimi su cui, garantendo la libertà di insegnamento, si deve strutturare una sorta di minimo comun denominatore
Si facciano pochi Collegi, non più di 4 o 5 in un anno, ma ben preparati e già previsti dal piano annuale delle attività in modo da disinnescare in anticipo le assenze strategiche, un vero e proprio elemento di malcostume che mi è capitato di censurare.
Tra le cose di cui il Collegio Docenti dovrà occuparsi c'è tutta la problematica dei regolamenti (in alcuni casi in sinergia con il Consiglio di Istituto). Se i regolamenti ci sono basterà tenerli aggiornati al variare della normativa, ma se non ci sono bisognerà predisporli e, nella mia esperienza molti non esistevano (criteri generali di non ammissione alla classe successiva, regolamento sulla valutazione, regolamento sulla assegnazione del voto di condotta, regolamento di Istituto, regolamento sulle assenze, regolamento sui viaggi di istruzione, proposte al DS per la assegnazione dei docenti alle classi, criteri da seguire nell'accorpamento di classi, regolamento sulla alternanza….).
C'è poi il problema delicatissimo del funzionamento dei Consigli di classe, sia in itinere sia in sede di scrutinio. Il coordinatore sostituisce il DS alla Presidenza tranne che allo scrutinio. E' colui che affronta i problemi del funzionamento ordinario, che si rapporta alle famiglie, che raccoglie come un puntaspilli le tensioni o i problemi della classe con singoli docenti, infine è colui che, in presenza di problemi di un certo spessore, li affronta con il DS. Si tratta di una delega e come tutte le deleghe va formalizzata per iscritto con la indicazione dei poteri che vengono delegati. E' questa la ragione per cui non è detto che qualsiasi docente possa fare il coordinatore e il DS si trova allora alle prese con la moltiplicazion e dei pani e dei pesci.
E si arriva così allo scrutinio, con la ben nota e spinosissima questione del carattere collegiale della valutazione (il docente fa una proposta tecnica e il consiglio delibera).
C'è un solo modo per ridurre le reciproche discrezionalità:
- aver approvato in Collegio delle norme di tipo generale,
- accompagnare le deliberazioni con atti regolarmente compilati e depositati.
La proposta del docente andrebbe accompagnata da un giudizio riassuntivo delle valutazioni sommative e da un giudizio prognostico basato su di esse. Le proposte di modifica di quanto prospettato vanno motivate a verbale e votate con espressione di maggioranza.
Se si lavora in questo modo si superano sia le inevitabili tensioni (che a volte rischiano di trasformare lo scrutinio in un sukh medioorientale) sia il rischio di ricorsi vincenti per le uniche due fattispecie di contenzioso ammissibili: la illogicità e il difetto di motivazione.
Dopo lo scrutinio, in occasione del Collegio di fine anno si presentavano le statistiche complessive e quelle più analitiche distinte per anno di corso e indirizzo su promossi, respinti e sospesi con debito in modo che, dal confronto con gli anni precedenti, si individuassero punti di criticità e proposte di miglioramento.
Una delle più grandi ingiustizie della scuola italiana è la debolezza della valutazione sul lavoro dei docenti cui fa seguito la mancanza di prospettive di carriera e di diversificazione stipendiale. Ma c'è almeno un terreno su cui il DS può intervenire, quello di isolare, e se necessario reprimere, i comportamenti dei furbi. Quando si arriva in una scuola che non è stata diretta per un po' di anni emergono comportamenti di elusione delle norme e dei doveri trasformati in abitudini e consuetudini, Su questi aspetti è importante intervenire subito e, almeno su questo punto, i due decreti legislativi sul pubblico impiego, hanno dato al DS i margini per contestare e punire le trasgressioni.
Faccio un solo esempio, tra i tantissimi disponibili: finiscono le vacanze di Pasqua e il docente X non rientra dalla Sicilia nei tempi dovuti perché, nel giorno del rientro, si mette in malattia per una visita specialistica. Al rientro dovrà esibire una certificazione da cui risulti che quella visita era urgente e indifferibile. Se non lo fa sarà sanzionato e state certi che l'andazzo delle vacanze prolungate subirà una battuta d'arresto. Non avete idea, in proposito, di come il mondo delle simulazioni sia fantasioso e vario e di come siano i docenti seri a ringraziarti per averli tutelati.
addio alle armi
L'ultimo anno, come detto, me ne sono venuto a Siena: mi piace cambiare e mi piace vivere bene.
Il Bandini è lo storico istituto tecnico commerciale di Siena e quando sono arrivato celebrava il centenario dalla fondazione. E' stato storicamente la scuola da cui uscivano i quadri del Monte dei Paschi, ma nel 2011 stava subendo il declino connesso all'aver sfruttato troppo a lungo una condizione di nicchia. Aver studiato al Bandini non bastava più per entrare da babbo Monte.
D'altra parte Siena è così; la citta storicamente più comunista d'Italia, è anche la città più conservatrice, dove convivono benessere, voto a sinistra e costumi medioevali.
Ho trovato una scuola piena di persone in gamba (docenti e non), dove gli studenti stanno bene e sono curati, ma che viveva male questo spirito di decadenza. Nell'anno del mio arrivo si è anche festeggiato il centenario della scuola con libro, DVD e un convegno cui hanno partecipato molti ex. Ha dato una grossa mano Juri Guerranti, già leader studentesco del Bandini, studioso di storia locale che ora lavora in RAI ai TG regionali.
Sul piano della organizzazione interna ho sfruttato l'esperienza già fatta all'Hensemberger e ho cercato di lavorare sulla innovazione unico modo per invertire la tendenza al declino (nuovi indirizzi, nuova immagine, maggiore cura all'orientamento, alternanza scuola-lavoro, rete di relazioni con gli stake-holders della città).
Mi interessava in particolare, per dare supporto ai geometri (corso CAT), che si riuscisse a far partire un secondo indirizzo tecnico-tecnologico necessario per garantire la stabilità delle cattedre. A Monza/Milano avevo lavorato nella delivery-unit che aveva seguito il rilancio e la riorganizzazione della istruzione tecnica e, viste le caratteristiche della città e l'offerta già presente al tecnico (Sarroccchi) iniziai a lavorare sulla ipotesi del corso di grafica pubblicitaria.
Vedo dalle notizie di stampa che l'inizio di svolta che avevo cercato di imprimere è proseguito. Gli indirizzi che andavano chiusi si sono chiusi per asfissia e l'Istituto grazie alla specializzazione in grafica pubblicitaria e a quelle orientate alle lingue e al turismo è in netta ripresa. La cosa mi fa piacere perché si accompagna ad un'altra serie di azioni in ambito culturale e di presenza nella città. Complimenti al DS Stefanelli.
Il problema semmai è il destino di Siena, città di servizi e di turismo. Riuscirà a ripartire? Il potenziale c'è, ma tante cose legate a decenni di vita al di sopra del tessuto produttivo reale rendono l'operazione nè semplice, nè indolore.
Ultima modifica di Claudio Cereda 5 giugno 2020
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