1943-1945: mio padre, il suo processo
III edizione – maggio 2024
Questo processo me lo porto dietro anche anagraficamente. Sono nato l’8 ottobre del 1946; il processo, con assoluzione e scarcerazione, si è celebrato l’11 dicembre 1945 e ho ritrovato la ricevuta di saldo a pagamento dell’avvocato datata 3 gennaio 1946, a liberazione avvenuta.
I miei genitori si sono sposati a fine maggio del 44 e mio fratello Sandro è nato il 13/3/45 (dieci mesi mese dopo il matrimonio); mio padre è uscito dal campo di concentramento a fine processo e io sono arrivato dieci mesi dopo, puntuale come un orologio svizzero.
Papà è rimasto fascista anche dopo la liberazione ed è sempre stato orgoglioso della sua coerenza (lui parlava di fedeltà ai propri ideali). E’ morto il 24 aprile del 95, un giorno prima del cinquantenario della liberazione e con mia moglie ci abbiamo scherzato su: ha deciso che se doveva morire era meglio farlo prima del cinquantenario.
il processo
Del processo avevo sentito parlare qualche volta in famiglia, senza troppi dettagli, e non sapevo che mia madre ne conservasse gelosamente gli atti, che sono saltati fuori solo dopo la sua morte nel 2003. La mamma teneva tutte le cose speciali nel secondo cassetto del cassettone della camera da letto: i gioielli di famiglia, le lettere di papà e le nostre dal collegio, i rogiti notarili del Taboga, ma anche, sotto a tutto gli atti del processo. Sono copie dattiloscritte mentre il fascicolo originale è all’archivio di Stato di Milano in attesa di catalogazione.
Il capo di imputazione riguardava un punto generale (aver fondato e diretto il fascio repubblicano di Villasanta dall’ottobre 43 all’aprile 45 con una interruzione da gennaio a settembre 44 per richiamo alle armi) e due addebiti specifici: minacce alla moglie di un partigiano e non aver fatto a sufficienza per impedire la deportazione a Mauthausen di un lavoratore di Villasanta arrestato dopo gli scioperi di Sesto San Giovanni del marzo 44.
L’arresto avvenne l’8 maggio del 45 su disposizione del CLN di Villasanta dopo un precedente interrogatorio in comune, da parte del dr. Aldo Buzzelli, che non aveva ritenuto di procedere all’arresto. C’erano due episodi che tornavano fuori nei discorsi della mamma: l’arresto e lo smascheramento del vero responsabile delle minacce alla moglie del partigiano. Del terzo fatto ho saputo dagli atti.
Mio fratello Sandro aveva due mesi e mia madre raccontava l’arresto con coloriture gergali del tipo cià ven giò e parlava dello spavento che si era presa e dei mitra spianati. In quei giorni si faceva in fretta a morire.
Nient’altro sul processo, in particolare da mio padre, che aveva seppellito tutta la sua storia giovanile. La vicenda lo aveva segnato, perché riteneva di aver sempre agito nel giusto e aveva un po’ di rimpianto per come era andata a finire la politica sociale della RSI in cui aveva creduto e per la quale aveva investito del suo. Dagli atti del processo emerge che ci aveva messo a fondo perduto circa 250’000 lire e se tenete conto che, nello stesso periodo, il valore di mercato di un paio di scarpe belle, franco fabbrica, era di 250 lire, il conto è presto fatto.
i fucilati del 45
Qualche volta accennava al tema del sangue dei vinti parlando di amici ingiustamente perseguitati e, in un caso, uccisi. In effetti dagli atti del processo ritorna in un paio di occasioni il nome di uno dei due fascisti villasantesi fucilati a Vimercate. Si tratta di Pietro Erba, che risulta partecipare agli interrogatori della Muti e di Osvaldo Marzagalli relativamente al quale non risulta nulla.
Era lui l’amico di cui parlava mio padre. Ho fatto qualche ricerca e ho visto che è stato uno dei fondatori del CAI, appassionato di sci e di alpinismo. Compare in molte foto del volume per il 70° del CAI accanto ad altri soci che poi furono dalla parte giusta e l’impressione che se ne ha è quella di un giovane esuberante che, probabilmente, pensò di continuare le sue avventure impegnandosi con la RSI.
Guardando quelle foto della fine degli anni 30 si resta impressionati. Ne ho trovata anche una in cui ci sono Carlo Magni (partigiano cristiano) accanto a mio padre e Mariuccio Calderara morto sul fronte greco albanese dove era appena arrivato come volontario nelle milizie fasciste.
il dopoguerra e il nostro rapporto
Finita l’avventura della RSI, con la riabilitazione, papà si è buttato in quella del calcio portando il Villasanta in serie C mentre il nonno continuava ad occuparsi della banda musicale di Villasanta.
Raccontava con orgoglio delle sfide con il Monza e con la Pro-Lissone, mentre la mamma si lamentava di quanti soldi hai buttato via. Di quel periodo mi rimane una bellissima spilla d’oro a forma di pallone da calcio, con un contorno di rubini e la scritta AC Villasanta che, nella divisione dei ricordi di famiglia, è toccata a me.
Il nonno, il cav. Alessandro Cereda è morto nel 53; credo che lui fosse davvero un fascista da camicia nera e credo che non fosse molto contento dell’impegno sociale del figlio. Lo intuisco da qualche lettera, che dice e non dice, durante la detenzione di mio padre.
Con papà, ovviamente, a spizzichi e bocconi, abbiamo parlato della sua storia e del suo processo perché non gli è stato facile digerire il progressivo e inesorabile spostamento a sinistra dei suoi due figli grandi: bravi a scuola, impegnati e altruisti come lui, ma di sinistra.
C’erano stima reciproca e affetto; amore contenuto, come usava allora. Lo stimavo molto per la capacità che aveva avuto di inventarsi un nuovo lavoro a 45 anni, con cinque figli da mantenere (da 0 a 15 anni) quando nel 59 il Calzaturificio Monzese chiuse l’attività (si veda il capitolo dedicato al Calzaturificio Monzese).
Ci siamo scritti di cose serie mentre ero a militare nel 1970. Io ero sconvolto dall’autoritarismo sfrenato di quell’ambiente, che mi appariva organizzato solo per annientare la personalità, con lui che mi rispondeva cercando il lato positivo della faccenda (la formazione del carattere, l’obbedienza, …).
Ero e sono orgoglioso di questo papà, così diverso da me, cordiale e da bar, quanto io sono orso, amante delle rimpatriate e della tavola, sempre disponibile per quelli di Villasanta: il ragionier Cereda o più amichevolmente ragiunier che, negli anni 60 e 70, passava molte ore della sua giornata da Ugo da Pedren e ci faceva anche un po’ del lavoro di sub agente assicuratore (una specie di ufficio al bar).
Io diventavo di sinistra e lui non si è mai permesso di pormi un divieto. Me lo pose una volta sua sorella maggiore (la zia Giovanna di cui trovate un ricordo nei racconti), inviperita e preoccupata perché ero stato visto alla Casa del Popolo in occasione di una Festa dell’Avanti. Era il 1964,avevo 18 anni, mi prese da parte e mi disse: spero che tu sia andato lì per conoscerli, in modo di combatterli meglio, perché, ricordati, che sei un Cereda. Una di quelle cose che ti lasciano allibito e che non ti dimentichi più.
Papà era compiaciuto del fatto che facessi politica; non ce lo siamo mai detti, ma si capiva: bravo a scuola, si mantiene agli studi e si dà da fare per gli altri. Ricordo il suo orgoglio quando, nel 76, andai a Tribuna Politica, per conto del Quotidiano dei Lavoratori, a intervistare il segretario del PSI De Martino. Un figlio che va in televisione, e allora mica c’erano duemila reti e Tribuna Politica la guardavano tutti.
Il contrario dei messaggi che ricevevo dalla mamma: non fare come tuo padre, hai visto cosa gli è successo, impara a farti gli affari tuoi. Due concezioni del mondo opposte e cosa volete che scelga un giovane tra un papaà orgoglioso del tuo impegno e una mamma che ti invita a pensare ai fatti tuoi?
Così non ho mai avuto bisogno di contare balle in casa; ricordo ancora la trattativa per restare a dormire nella università occupata nel marzo 68 (la prima occupazione di fisica). Patti chiari, amicizia lunga: sii onesto, fai il tuo dovere e poi fai quello che vuoi.
Naturalmente mi capitò di domandargli le ragioni di quell’impegno con i fascisti, del suo non farsi domande anche dopo, del restare affezionato al Duce, dell’acquistare dal giro dei reduci libri che non avrebbe mai letto e che adesso ho io, del non perdersi una Tribuna Politica di Almirante.
Sulle ragioni di quell’impegno non aveva dubbi: darsi da fare per gli altri e cercare di salvaguardare Villasanta. Come emerge dai documenti, dalla sua autodifesa e dalle testimonianze, nell’accettare la carica di segretario aveva posto precise condizioni: niente violenza, no alla brigata nera.
Alle mie domande ma papà, hai presente l’allenza con i nazisti, ma papà i nazisti nel 43? La risposta era sempre la stessa: garantire l’onore dell’Italia nel tener fede alla parola data. Io non capivo e mi rendevo conto che eravamo cresciuti in due mondi diversi. E’ stata una sorpresa trovare quelle carte: gli atti del processo e le lettere d’amore a mia madre con i tipici litigi tra fidanzati, con lei che fa la sostenuta e lui che striscia ai suoi piedi.
la vicenda processuale
La storia del Valaguzza la conoscevo già, anche se, in aggiunta, ho trovato la dichiarazione del fratello della moglie che racconta di essersi lamentato con lui delle minacce e di aver avuto rassicurazioni sul fatto che nessuno l’avrebbe più infastidita e così fu.
Ma sono state le altre vicende a impressionarmi e mi spiace non averle conosciute in tempo per ossessionarlo di domande; una più di tutte, ma tu da che parte stavi?
I rapporti con i fascisti e gli antifascisti
La madre di Ambrogio Villa (medaglia d’oro al valor militare) Ancri Giovannina (vedova Villa) è ospitata alla sede del fascio (scuola Notari) sotto la protezione-assistenza di papà. E’ mamma di una medaglia d’oro ma è anche sorella di comunisti ricercati. Vediamo i documenti.
Luigi Ancri operaio comunista
Io sottoscritto Ancri Luigi abitante a Villasanta dichiaro che la notte del 28 marzo 1944 mi trovavo presso l’ingresso della sede del fascio quando diversi elementi della Muti uscirono diretti alla cascina Bagorda e seppi in seguito che erano alla ricerca di Valaguzza Giovanni. Vidi bene e riconobbi gli elementi che formavano il gruppo, ma tra essi non rinvenni affatto il signor Cereda Alfredo.
Faccio presente inoltre che in data 7 giugno 1944 fui arrestato insieme a mio fratello Carmelo dalla polizia segreta e tradotto al carcere di Monza dal quale sono stato rilasciato dopo 22 giorni in seguito all’interessamento di mia sorella Ancri Giovannina madre della medaglia d’oro fante Ambrogio Villa.
In data 22 luglio 1944 fui nuovamente ricercato dalla Muti e dovetti fuggire. Trovai ricovero presso l’abitazione di mia sorella (alle scuole Notari di Villasanta) la quale, d’accordo con il signor Cereda, mi nascose in un’aula facendomi dormire nelle brande della colonia elioterapica e ciò durò sino al termine delle indagini.
Nel frattempo il signor Cereda provvide a dare aiuto a mia moglie e ai miei bambini con denaro e viveri in quanto ciò non era possibile da parte mia, perché continuamente perseguitato dalla Muti, essendo io un comunista.
Giovannina Ancri
Io sottoscritta Ancri Giovannina, vedova Villa e madre della medaglia d’oro Ambrogio Villa dichiaro che in data 29 settembre 1944 alle ore 7 si presentò presso la mia abitazione situata presso la scuola Notari, il tenente Ghinelli della Muti invitandomi a sgomberare l’aula da me occupata perché doveva essere usata dalla Muti.
Feci presente la mia dolorosa situazione, che cioè mi trovavo sola perché l’altro figlio rimastomi si trovava in servizio militare e perciò non poteva darmi nessun aiuto; per tutta risposta mi si disse che tutto ciò a loro non importava nulla , ed anzi estrassero una bomba a mano per intimorirmi.
Aggiunsi che mi sarei rivolta al signor Alfredo Cereda giacché altre volte mi aveva aiutata. Mi sentii rispondere che il Cereda non era degno di essere fascista e che se fosse stato presente in quel momento l’avrebbero fatto freddo in 5 minuti; poi provvidero allo sgombero mettendomi in strada il mobilio.
Dopo qualche giorno ne parlai con il signor Cereda il quale mi disse di avere pazienza perché non sanno quello che fanno e di tasca sua pagò vari danni che mi avevano arrecato.
Altri episodi agli atti
Protegge il futuro sindaco della Liberazione Giuseppe Sala di cui resterà amico per tutti gli anni 50 (e di ciò ho ricordi personali).
Interviene per garantire che cessino le pressioni sulla famiglia Valaguzza (molte testimonianze dei diretti interessati agli atti). I fratelli Valaguzza sono 4: Giovanni, Emilio, Mario e Luigi. Quando quelli della Muti non trovano Giovanni, si rifanno sugli altri e sulle loro mogli. Solo Luigi non si presenta. Quelli della Muti stanno pestando un altro fermato che ritengono coinvolto nella sparizione di un carico d’armi quando papà interviene per proibire i pestaggi (riferiscono i Valaguzza):
ha risposto che la sede era stata riaperta perché c’era un ordine di Milano, ma non il pestaggio, e lui era pronto a lasciare la carica se facevano un altro atto simile
Quelli della Muti vorrebbero portare a Monza Emilio, Mario e le loro mogli; papà interviene, li fa rilasciare provvisoriamente in cambio della promessa che si presenti Luigi per informazioni. Ed ecco la testimonianza di Luigi:
La sera stessa mi trovavo in compagnia di mio cugino Stucchi Paolo che era venuto a cercarmi, e mi ha detto: tu devi venire con me che ti porto dal signor Cereda che ti può aiutare perché ne ha già aiutati molti.
La stessa sera, con la fiducia di mio cugino, sono andato a casa del signor Cereda e ci ho raccontato il fatto che mi succedeva e il perché sono fuggito. Lui si è impegnato subito ad andare in sede per il fatto mio e mi ha detto che cercava l’impossibile di parlare con l’ufficiale della Muti per quello che era di mio riguardo e di trovarmi il mattino seguente alle ore 8 che mi avrebbe fatto sapere se dovevo fuggire o essere liberi tutti, escluso il Giovanni, perché la colpa, sapendo che era al sicuro, l’han lasciata tutta su di lui.
Al mattino seguente sono andato all’appuntamento stabilito e mi ha detto che ha potuto ottenere la libertà di tutti escluso però il fratello Giovanni . Poi mi ha detto di dirgli, se sapevo dove si trovasse, di non avvicinarsi a casa che è molto ricercato dalla Muti e gli dispiaceva che non può far nulla per lui.
Mi ha colpito la testimonianza allibita delle maestre antifasciste denunciate e chiamate a rapporto da mio padre (parla l’insegnante Virginia Lattanzi):
Quando ad essere antifascisti si correva se non il pericolo di perdere la vita, sicuramente però il mezzo di sostentarla, io e la mia collega A. Antozzi abitante in via Lecco 16 a Monza, fummo denunciate come disfattiste all’ex fascio locale di cui il signor Cereda Alfredo era membro.
Questi ci chiamò a rapporto rivolgendoci alcune domande alle quali rispondemmo autodifendendoci. Le redarguizioni ebbero termine con le seguenti testuali parole del signor Cereda: io non impongo, ognuno pensa come vuole, ma è bene usare prudenza nel parlare, in questi momenti.
La protezione di sbandati e irregolari
Su questo terreno opera in modi diversi: in maniera clandestina procurando documenti falsi e facendo finte assunzioni in azienda; in maniera diretta intervenendo presso le autorità affinché si possa sanare ciò che è sanabile (come nel caso di modifica alle domande di arruolamento).
Agli atti sono citati con nome e cognome una decina di casi. Sui rapporti con il governo repubblichino non ho trovato documenti, ma ho ricordi di testimonianza diretta: papà si è recato a Gardone, Verona e Salò in più di una occasione per perorare cause e sistemare situazioni.
Si tratta di Mojoli Tino (Lesmo), Bianchi Piero (Concorezzo), Sala Luigi (Arcore), Sala Vladimiro (Villasanta), Rossi Mario (Villasanta), Fiorenza Filippo e Pannetta Giorgio (siciliani)
Io sottoscritto, Fiorenza Filippo, dichiaro che nel tempo del mio sbandamento, dopo due volte che sono fuggito dalla repubblica, trovandomi senza nessun ricovero, abbandonato da tutti, mi sono recato a Villasanta per cercare lavoro … fui indirizzato dal signor Alfredo Cereda, dove lui mi ha domandato della mia situazione, gli ho raccontato tutta la vita che ero passato, cioè che ero fuggito due volte dalla repubblica; lui mi ha risposto che pensava a tutto lui, che infatti mi ha fatto avere dei documenti falsi con la classe del 1919 sotto il nome di Di Marco Romeo. Allora fui preso al lavoro per tre mesi cioè fino al 25/4/45.
Il signor Spreafico Luigi me lo ricordo bene, aveva il panificio in piazza Daelli, dove ora continua la attività suo figlio Angelo. Mi pare che fosse un appassionato suonatore di violino ed era il papà del mio compagno delle elementari Pietro (come suo nonno) diventato poi don Pietro e scomparso prematuramente per una leucemia fulminante. Alle elementari Pietro ci batteva tutti nella corsa nonostante fosse un po’ cicciotto.
Il sottoscritto, Spreafico Pietro, residente a Villasanta porta a conoscenza che a suo figlio Luigi, classe 1917, all’epoca degli esami premilitari, gli venne fatto firmare un modulo in bianco, che in seguito risultò essere una domanda di arruolamento nellla Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale.
Naturalmente, siccome mio figlio non aveva alcuna volontà di appartenervi, ed in considerazione della manovra alquanto subdola ed illegale adoperata, egli si è sempre astenuto dal rispondere al sia pur ristretto numero di chiamate in servizio, cosicché alla fine non venne più importunato.
Senonché, avvenuta la costituzione della Guardia Nazionale Repubblicana, mio figlio si è visto precettare per l’immediata presentazione in servizio a Monza. Richiesto l’intervento del rag. Alfredo Cereda, tanto si adoperò e fece verso il comando, finché ottenne l’immediata e definitiva canellazione dai ruoli.
La lettera del parroco don Gaetano Galli
Lettera del 28/11/45 di don Gaetano Galli, parroco di Villasanta al P.M. avvocato Buzzelli.
Già dal maggio u.s. vive in campo di concentramento un mio buon parrocchiano, il signor Cereda Alfredo, il quale se ha una colpa, è quella di essere troppo buono, soprattutto se si tratta di poveri. Sono ormai 47 anni da che mi trovo a Villasanta e posso dire di conoscerlo bene.
Scrivo alla vostra signoria illustrissima non per invito di qualcuno, non per spirito di parte. Da giorni sento un impulso che non so vincere e che mi spinge a manifestare un piccolo particolare non conosciuto.
Dopo la rinascita del fascio incontrai il signor Cereda sulla strada e l’abbordai bruscamente dicendo: ma cosa ti venne in mente di far rivivere ancora il fascio!Ed egli calmo mi rispose: proprio per salvare il mio paese e per fare del bene e soprattutto pe impedire, che venisse qualche elemento torbido e violento a buttar sossopra la nostra popolazione. Parole testuali. E difatti:
- reintegrò tosto la refezione scolastica sovvenendola di propria borsa
- Istituì l’opera della minestra ai poveri e continua ancor oggi a sue spese
- Ebbimo la disgrazia di vedere in paese per ben quattro mesi una squadra della famigerata Muti; eppure non ebbimo mai alcun rastrellamento e neppur alcun disturbo ai nostri sbandati e ciò si deve all’opera del signor Cereda.
Il signor Cereda Alfredo fu sempre un uomo onesto in tutto il senso della parola e l’affermo con la coscienza sicura di dire la pura verità.
La protezione dei villasantesi
Una decina di Villasantesi furono arrestati perché sorpresi a fare legna nel Parco e papà intervenì ad impedirne la deportazione.
Ci sono svariate dichiarazioni degli interessati, ma la più completa è quella rivolta al CLN di Villasanta.
Il fatto avvenne nella notte tra il 30/9 (sabato) e il 1/10 del 44. Papà aveva lasciato la reggenza del fascio dal gennaio a settembre 44 per richiamo alle armi. Era sottotenente di artiglieria e questa è la ragione per cui si è sposato in divisa. Il richiamo in servizio fu a Milano e a Monza e ciò gli consentì di essere comunque presente in paese. L’episodio del far legna avvenne quando era stato appena congedato ed aveva ripreso il ruolo di reggente del fascio.
La mamma era in ospedale, al San Gerardo, per l’asportazione della colecisti dopo molte coliche. I calcoli, grossi e lucidi, nero verdastri, sono ancora in giro come ricordo e il fegato della mamma, che non poteva più mangiare le uova, è stato una delle costanti delle storie famigliari degli anni 50 e 60.
Papà era con la mamma (al terzo mese di gravidanza) quando venne chiamato in via Volturno dove erano stati rinchiusi gli arrestati. Fece in modo che venissero trasferiti alle carceri di Monza e quando i famigliari gli riferirono di una minaccia imminente di deportazione in Germania intervenne con il Cancelliere perché si procedesse all’interrogatorio già nella giornata di lunedì.
Nel frattempo si accordò per far derubricare il reato abbassando i quantitativi di legna e così nella giornata di lunedì, d’accordo con il procuratore, ottenne la scarcerazione.
Ma per bloccare la deportazione serviva il visto dei Tedeschi. Papà andò allora direttamente dai Tedeschi e portò a casa il risultato. Fece venire alle carceri di via Mentana il camion della ditta e li riportò a Villasanta tra l’esultanza generale.
Concludo con la vicenda della deportazione a Mauthausen del’operaio che era tra i capi di imputazione. Papà sostenne di essere intervenuto ma, stante la rapidità dell’arresto e e del trasferimento a Bergamo non ci fu nulla da fare. I trasporti verso Mauthausen (campo di annientamento attraverso il lavoro) furono una cosa drastica, repentina e senza sconti decisa dal comando tedesco come ho potuto verificare partecipando a diverse iniziative dell’ANED di Sesto che raccoglie i famigliari di quei deportati.
Così lui è uscito da questa vicenda a testa alta e, come ho osservato all’inizio, io sono il figlio della avvenuta liberazione.
Di recente, in occasione del 25° anniversario della sua morte lo ho ricordato in un racconto che trovate qui: 25 anni dopo la morte di mio papà morto mangiando.
Se avete avuto la pazienza di seguirmi sino alla fine vi sarà ora più chiaro il motivo per cui, senza deflettere di un millimetro sul fatto che nella tragedia dal 43 al 45 c’erano quelli dalla parte giusta e quelli dalla parte sbagliata, io pensi che non ci sia nulla di bello in una guerra civile e si debba oggi lavorare in positivo sulla solidarietà, sulla disponibilità ad impegnarsi per gli altri e sulla legalità.
Aggiungo che quando ho pubblicato per la prima volta su Pensieri in Libertà questo episodio, accanto nuove manifestazioni di affetto da parte di villasantesi che lo avevano conosciuto ho trovato anche un commento che mi ha impressionato: avrebbero dovuto ammazzarlo come i suoi amici, sarebbe stato un fascista di meno.
Questa cosa mi è rimasta dentro e ogni volta che sento degli antifascisti inneggiare allo scempio dei cadavere del Duce e della sua amante Claretta Petacci in piazza Loreto o inneggiare agli aspetti sanguinari della lotta di Liberazione mi viene un nodo alla gola e penso che, con pazienza, si debba lavorare per fare del 25 aprile la festa della unità nazionale e della libertà repubblicana.
Ultima modifica di Claudio Cereda il 9 maggio 2024
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