Ricordando Pepè
Dopo l'incontro per il 40° del 68 il comitato organizzatore mise insieme un blog che trovate ancora a questo indirizzo. Eravamo pieni di idee e si pensava di buttare insieme un libro di ricordi. ma poi, tra la morte di Giorgio Calzamiglia e la mancanza di una frequentazione costante fuori dalla rete, non se ne è fatto nulla. Vi consiglio di leggervi la relazione di apertura di Franco De Anna su Le passioni generose. Nella primavera del 2009 Corrado ha anche organizzato una rimpatriata nelle montagne sopra il suo lago di Como e le foto sono riprese da quell'incontro. Pepè è al centro con la camicia azzurra.
Avevamo preso strade diverse e Pepè era uno di quelli che si erano buttati con impegno e passione nella scuola. Ho pensato che valesse la pena riportare qualcosa dei suoi interventi.
19/12/2008
Finisco con gli auguri di buon anno a tutti, sono gli auguri più sinceri che mi capita di fare, perché rivolti a quelli che come me, in tutti questi anni hanno trasferito le loro passioni generose nel proprio lavoro, nei propri comportamenti di persone per bene, che hanno conservato( almeno così credo) la propria integrità e la capacità di indignarsi. Di questi tempi mi pare grande cosa. E’ questa una delle ragioni per cui credo che mettendo insieme le intelligenze e le professionalità esistenti tra noi, si possa fare qualcosa, a cui alcuni di noi stanno pensando.
14/12/2008
Mi aggancio all’intervento di De Anna, in particolare alla questione dei limiti della cultura politica del nostro movimento di allora, sui quali limiti vorrei capire come la pensate.
Se per movimento del ’68, intendiamo riferirci al decennio che arriva fino alla fine degli anni settanta, molto sinteticamente e spannometricamente possiamo individuare 3 fasi. Quella del movimento autonomo degli studenti vero e proprio, che temporalmente vive un paio di anni (‘68 e ‘69), quello della nascita dei gruppi rivoluzionari che si “impossessano” del movimento, ed infine quello della affermarsi dell’autonomia e dei gruppi che predicano la lotta armata che coinvolgono pesantemente il movimento del ’77 e ne sanciscono la fine.
La prima fase è quella è sicuramente quella più ricca ed originale non solo sul piano delle idee, ma anche della partecipazione di massa degli studenti. La democrazia diretta, la partecipazione, il confronto con tutti senza preclusioni ideologiche caratterizzano quel periodo; ricordo che noi a chimica durante la prima occupazione discutevamo lungamente con i primi embrioni di Cl e addirittura anche con i fascisti del FUAN.
Arrivano i gruppi, per noi AO, che portano nel movimento le vecchie ideologie marxiste-leniniste del secolo precedente in tutte le sue varianti, penso che da qui inizia la crisi del movimento e la sua progressiva perdita della dimensione di massa. Per noi di Scienze sopravvive qualche anno di più, in virtù del concetto di autonomia del movimento, che consente per un breve periodo l’esistenza di una organizzazione ancora relativamente autonoma del movimento degli studenti dalle strutture di AO, il CdA e i CdB. Il nostro movimento, con dimensione di massa reale, resisterà fino alla occupazione del ’71.
Devo dire che ripensando a quegli anni provo un certo risentimento nei confronti dei gruppi rivoluzionari dell’epoca, che mi paiono, ovviamente con il senno di poi, visto che ho militato attivamente in AO fino al suo scioglimento, i veri becchini del movimento.
L’incomprensione della democrazia, come valore fondante delle società e strumento di trasformazione e la concezione equivoca della violenza come levatrice della storia costituiscono i limiti più grossi dei partitini rivoluzionari, ed alimenteranno negli anni successivi i deliri dell’autonomia organizzata e favoriranno il passaggio di militanti dalle organizzazioni più estremiste alla clandestinità ed alla lotta armata.
Ricordo un episodio che mi pare emblematico di come la violenza era entrata nel DNA del movimento della fine degli anni ‘70. Andai a Bologna con alcuni amici e compagni nei giorni della lotta del movimento del ’77 contro la repressione, con la curiosità di chi vuol capire vedendo da vicino. Mi trovai a disagio per il clima di tensione che c’era nell’aria ed in particolare mi colpì un gioco di massa che si svolgeva la sera in piazza Grande. Alcune decine di giovani giocavano con un bastoncino fosforescente, che veniva lanciato da una parte all’altra dalla piazza, con relativo inseguimento, recupero e nuovo lancio. Dopo poco il gioco diventava di massa qualche centinaio di ragazzi si accalcava per raggiungere il bastoncino e rilanciarlo tra spintoni e grida, una specie di gioco del rugby, senza regole, giocato da una sola squadra ove l’obbiettivo di ciascun giocatore era di raggiungere ad ogni costo il bastoncino, insomma un tutti contro tutti. Ad un certo punto il bastoncino cade vicino a me, sto per raccoglierlo, quando mi accorgo che una massa di persone urlando corre verso di me, non mi resta che fuggire più rapidamente possibile per non essere travolto. Mentre ci allontaniamo dalla piazza io ed i miei amici ci chiediamo qual è il senso del gioco, che razza di modo di stare insieme è, non abbiamo risposte razionali, ma la convinzione che un ciclo lotte e di movimenti è arrivato al capolinea.
15/12/2008
Caro Flavio,
ti riconosco dalla fotografia, in realtà non ho grande memoria per i nomi. Mi fa piacere che anche tu ti sia registrato nel sito e voglia partecipare. Confesso che il mio intervento voleva essere un po’ provocatorio, il tentativo di gettare un sasso nello stagno, per suscitare partecipazione alla discussione che mi pare langua.
Quando parlo delle responsabilità dei gruppi m-l, intendo riferirmi alla trasposizione brutale della ideologia terzinternazionalista dello scorso secolo, che già di proprio, almeno così a me pare, abbia fallito nel movimento operaio internazionale, ma nel nostro movimento abbia assunto caratteri farseschi e tragici, basti pensare a come l’MS ( e non era il peggio) della statale trattava le contraddizioni con noi e con gli altri gruppi, sviluppando un culto della violenza e dei servizi d’ordine che, purtroppo ad un certo punto ha contagiato anche noi e allontanato la gran parte degli studenti.
Quanto a Marx, ritengo che la sua analisi del capitalismo abbia tuttora elementi di validità, ma che abbia fallito sul terreno della prefigurazione delle nuove società, sulle modalità della trasformazione e della costruzione del socialismo. Il discorso è grosso non certo trattabile in poche righe, mi scuserai per il suo carattere sbrigativo.
Resto convinto, che da un certo punto in poi il tema della democrazia e della violenza si sia diffuso nel movimento dei militanti della sinistra extraparlamentare, e da qui, con responsabilità diverse per i vari partitini politici, anche nei movimenti nascenti, come quello del ’77.
I cattivi maestri, alla Negri, Scalzone, L.Pace, ( già quello che lavorava a 81/2, e adesso simpatizza per la destra) che hanno diffuso la ideologia del P38, hanno coinvolto e talvolta rovinato centinaia di giovani ed in più hanno distrutto i movimenti della fine degli anni ’70.
A Bologna ricordo anche la manifestazione che passò dalle carceri, le parole d’ordine ed il simbolo della mano distesa a forma di pistola, i dibattiti delle Macciocchi varie e dei filosofi francesi, forse anche un intervento della Majolo, comportamenti e teorie con cui non sentivo alcuna assonanza, e che mi parevano lontani mille miglia dalle nostre parole d’ordine di qualche anno prima.
E’ vero lo stato, o parte di esso, i fascisti, i servizi segreti hanno gravissime responsabilità su quanto è avvenuto in quegli anni, piazza Fontana è stata la risposta brutale al nostro movimento ( e a quello operaio e di sinistra in generale), ha cambiato la storia e anche noi, ma questo non ci esime dal condurre un esame autocritico anche dei comportamenti della sinistra e dei movimenti di quegli anni, distinguendo le cose buone da quelle cattive
( e ritengo che nel movimento del ’68 prevalgano nettamente quelle buone) altrimenti non saremo in grado di difendere il movimento e le cose fatte in quegli anni dal revisionismo della destra che vuole seppellirci. Ciao Guido ( pepè)
14/1/2009
Caro Bruno, penso che sia giusto oggi battere con forza sul tasto del merito in tutti i campi in un paese come il nostro, dove questo valore è sempre stato piegato agli interessi di casta ed perché no di classe, dove chi ha posizioni di privilegio e di potere continua a conservarli ed perpetuarli, con la conseguenza che le classi dirigenti non si rinnovano e si accentua il declino del bel paese.
Purtroppo anche la sinistra non è stata indenne da questa caratteristica di “italianità”, che sembra ineliminabile.
Temo però, che gli esempi ed i personaggi che citi non siano quelli giusti.
Prendiamo Brunetta, l’ultimo epigone della lotta ai lazzaroni della pubblica amministrazione, che vorrebbe, con l’obbligo delle visite fiscali a tutti e sempre, eliminare gli assenteisti e i falsi malati. In realtà la norma c’è da sempre, a discrezione per i primi due giorni e obbligatoria al terzo giorno di assenza, io l’ho applicata ovviamente a discrezione ( mi sembrava offensivo mandarla al mio vice preside se era malato un giorno e a quelli che si impegnano e ci sono sempre), ma quando arrivava ai falsi malati ( o presunti) il tutto si risolveva con una conferma della prognosi del medico di famiglia o l’invito a presentarsi alla ASL se assenti da casa. Addirittura un docente si ammalava ed il suo medico compilava la prognosi anche tre giorni dopo, con la dicitura il paziente dichiarava di essere malato e per le ASL andava bene così. Addirittura il responsabile della ASL da me contattato mi invitava, qualche anno fa, in via amichevole a lasciar perdere, perché volevo segnalare la cosa alla autorità giudiziaria. Sempre qualche anno fa, quando ancora lavoravo.., riguardo ad un nostro conoscente degli anni generosi, finto insegnante e vero nulla facente da sempre, da me più volte sanzionato, il provveditorato agli studi ha “dimenticato” di portare avanti la iniziativa sanzionatoria da me richiesta e motivata, per cui tutto il mio lavoro è andato a farsi fottere. ( conservo a questo proposito una bella lettera del provveditorato, che un giorno incornicerò).. Insomma il nostro bel paese è fatto così! Cosa voglio dire, che siccome gli italiani sono fatti così ( almeno una buona maggioranza) non se ne fa nulla? No ma che occorrerebbe prendere decisioni precise, per esempio dare potere sanzionatorio forte a che dirige gli uffici, e punire anche i dirigenti che non lo fanno. Insomma introdurre il principio di responsabilità per tutti, anche con qualche rischio per chi potrebbe abusare del proprio potere, altro che visite fiscali obbligatorie! Il nostro (Brunetta) è un buon demagogo che getta fumo negli occhi, ( vedi le notizie riportate da quotidiani di qualche giorno fa alla festa sulla neve del PDL) e si permette di insultare tutti i docenti con la famosa frase del meccanico della Ferrari che va orgoglioso del proprio lavoro a differenza dei professori, che si vergognerebbero di dire ai propri figli che professione fanno. Comunque vedremo, il tempo è galantuomo.
Anche la Gelmini, mi sembra un esempio poco appropriato, nel senso che l’unica cosa chiara, oltre i tagli che vedremo come saranno effettuati, ha cancellato il modulo didattico della scuola a tempo pieno, quella della compresenza di 4 ore la settimana, ma che implicava un lavoro collegiale nelle classi, ora si tornerà, vedremo se vero, al mestro unico che si farà i cazzi suoi come da sempre fanno nella scuole superiori quei docenti di cui parlavamo prima. Riguardo ai voti ed al voto di condotta sono d’accordo, anche se la questione ha più un valore simbolico, che reale ( in trentacinque anni di scuola non ho mai visto uno studente bocciato per la condotta), e scrivere insufficiente non può voler dire un buon risultato. Anche su questo tema vale il discorso della forma, che ha il suo valore, e qui la sinistra, che non abolì il voto di condotta ma lo rese inifluente sull’esito scolastico, ha compiuto una emerita cazzata.
Insomma c’è bisogno premiare il merito, di far funzionare la cosa pubblica, di realizzare quello che solitamente ho visto fare da molti, non tutti, docenti e presidi solitamente di sinistra, non credo che la destra si sia distinta su questi temi ed abbia la patente o l’intenzione di modificare veramente l’andazzo. Anche qui vedremo.
Insomma caro Bruno, stiamo attenti a non prendere lucciole per lanterne, anche se con ciò non voglio assolutamente assolvere la sinistra, anche se qualcuno in passato ha tentato di fare meglio ( vedi Il Berlinguer ministro, che ha il demerito di aver eliminato l’esito del voto di condotta, ma voleva almeno introdurre il merito tra i docenti, ma per questa seconda cosa è stato impallinato dai sindacati e dalla categoria dei docenti).
Il caso Alitalia, anche se sembrerebbe fuori argomento, è li a testimoniare l’uso pubblico delle risorse di questa destra, ma forse gli italiani sono contenti e distratti.
Spero che non lo sia anche, tu, forse sto esagerando, ma un pochino volevo farti incazzare. Ciao, un abbraccio Guido (pepè)
NB. La questione della religione civile, vedi l’articolo di Mancuso sulla repubblica di martedì scorso, mi sembra un buon argomento per riflettere sulla questione del merito e del rapporto pubblico privato.
16/1/2009
Caro Flavio,
ho letto solo due giorni fa l’allegato alla tua lettera del 1° gennaio. Non so se l’abbia scritta tu o sia la copia di un articolo di qualcun altro, mi pare però che tu ne condivida il contenuto.
Resto stupito. Quelle posizioni, in particolare sulla lotta armata, non sono mai state le nostre, neppure nelle fasi più tarde del movimento e neppure in AO, la distinzione era netta tra noi e quelli dell’autonomia operaia o peggio ancora dei gruppi armati clandestini, che ritenevamo dei nemici del movimento, quelli che sottraevano con le loro azioni spazi di libertà e di azione politica. Certo il tema della violenza fu sottovalutato anche da noi, ma non giunse mai alla condivisione dei metodi della lotta armata, anche allora non si trattava di compagni che sbagliavano. Questo tratto ci divise da altri gruppi, come LC o potere operaio, e non casualmente nessuno delle nostre fila, almeno che io abbia conosciuto, ne fu coinvolto.
Mi sembra ancora più strano che tu, ora, sollevi quelle posizioni, che sono l’immagine sfocata di un passato da non dimenticare, visto che tanti danni hanno portato allo democrazia ed al movimento operaio e progressista, oltre alla insulsa ed ingiusta morte di molte persone. A questo proposito condivido le considerazioni di Bruno.
La crisi attuale ( quella finanziaria ed economica) ricorda l’attualità della critica del capitalismo senza regole e della necessità di trasformazione dell’economia, della ricerca di una società più equa e giusta. Non so come chiamare questo bisogno di cambiamento, perché il comunismo in cui ho creduto, ormai molto tempo fa, si è rivelato, nelle sue manifestazioni concrete, peggiore del sistema democratico-borghese che combatteva e per di più incapace di sviluppare le forze produttive ed il benessere. La Cina ultima espressione di una società che si ispira al comunismo ha adottato il peggio dei due sistemi conosciuti, accoppiando alla mancanza di libertà e di democrazia, una spregiudicata e dirigistica economia capitalistica.
Si potrà dire che nessuna società conosciuta ha sviluppato una seria esperienza comunista, che resta dunque di attualità e nei compiti di chi vuol cambiare la società. Ma qui rischiamo, a mio parere, di dimenticare Marx, il suo insegnamento sull’analisi della società ed il materialismo dialettico per cadere nell’idealismo volontaristico, secondo cui il difetto starebbe nel chi promuove l’azione rivoluzionaria, per cui l’azione di nuovi soggetti sociali ed intellettuali ammaestrati dagli errori del passato potranno raggiungere un comunismo diverso, ma quale?
Qui arresto il mio ragionamento sull’attualità o meno del comunismo, per ragioni di buon senso e di modestia intellettuale, con la convinzione che ciascuno resterà della propria idea.
Resta in ogni caso il problema del cambiamento. Questa crisi, che sarà ancora una volta pagata da chi sta peggio, nasce si da una finanza balorda e disonesta, ma, secondo molti economisti inascoltati, ha le sue origine dal grande squilibrio di distribuzione della ricchezza, pare infatti che negli ultimi decenni si siano trasferiti parecchi punti di pil dal lavoro al capitale e che l’economia si sia via via sempre più sorretta sul consumo a credito, distribuendo il rischio di insolvenza sui risparmiatori, che sono poi la grande massa dei cittadini, attraverso prodotti finanziari fasulli e carte di credito scoperte. Una specie di truffa dei poteri finanziari ed economici, non controllata anzi favorita dalle autorità di controllo, ai danni di tutti, ma nel nome dello sviluppo a tutti i costi. La ricchezza però non si produce dal nulla e ad un certo punto la catena di S.Antonio si è interrotta, con i guai che oggi vediamo anche nell’economia reale.
Come evitare in futuro una crescita economica così distorta, basata sull’esasperazione del consumo a tutti i costi (nei paese ricchi), come modificare i meccanismi di distribuzione della ricchezza secondo principi più equi e giusti, come favorire un vero sviluppo economico nei paesi del terzo e quarto mondo?
E’ questa la domanda complessa a cui la sinistra è chiamata a rispondere.