Jona che visse nella balena: Roberto Faenza
Jona che visse nella balena (1993) è iun film che quando uscì fu molto utilizzato nelle scuole non solo per parlare della Shoa ma per affrontare il tema della crescita.
Jona è un bambino olandese e il film racconta la sua storia, ma non si tratta di una fiction perché il film è tratto dal romanzo autobiografico "Anni d'infanzia" in cui Jona Obersky, un fisico olandese ebreo nato nel 1938 racconta i suoi anni dal 1942 al 1945 quando, insieme alla sua famiglia, seguì tutto l'iter del processo di annientamento studiato dai nazisti.
Se non la conoscete incominciate con l'ascoltare Gam gam, la canzone hyddish che fa un po' da tormentone all'intero film. Ne trovate diverse versioni su youtube e questo è il link alla versione tratta dal film.
E' un film per i grandi che, insieme ai genitori, può essere visionato anche da bimbi sopra i sei anni (meglio 10) perchè ci parla di tante cose che riguardano il diventare grandi e questo a Jona capita forse troppo in fretta e attraverso il dolore ma Roberto Faenza ce lo racconta in maniera soffice sapendo unire alla perfezione la storia e le immagini ed utilizzando sempre e comunque il punto di vista di un bambino.
La famiglia Obersky sogna di andare in Palestina e passa attraverso tutte le fasi della Shoa: la perdita del lavoro, la discriminazione, la spersonalizzazione, la ghettizzazzione, il non sapere, la deportazione a Bergenbelsen e poi il viaggio finale verso Auschwitz (di Jona e della mamma dopo che il padre è già morto nel lager) che non si conclude perché il treno viene bombardato dai russi.
Il fatto di adottare il punto di vista di un bambino fa sì che il lager ci appaia meno crudele del solito: c'è una infermeria, c'è il cuoco che, di nascosto, dà da mangiare ai bambini gli avanzi delle SS, il lavoro del padre (che morirà di stenti) non si vede mai, nella infermeria di Bergenbelsen, con la complicità del medico (corrotto con dei preziosi sigari) mamma e papà provano persino a fare l'amore con il problema di dove mettere Jona.
Come ci ha raccontato Primo Levi, vediamo semmai come il sistema gerarchico trasformi anche le vittime in carnefici. La cerimonia di iniziazione di Jona da parte dei compagni più grandi prevede di mandarlo allo sbaraglio a schernire un guardiano (gli va bene) e in un secondo momento il rimanere chiuso dentro un magazzino-obitorio pieno di cadaveri. Per il suo coraggio i compagni lo nomineranno "caporale".
La crescita accelerata di Jona avviene quando anche la madre muore di stenti e di esaurimento mentale dopo che la tragedia è finita (sono ospiti in un villaggio dell'est dove si mangia, si circola liberamente e la mamma sta in ospedale).
La comunicazione che la mamma è morta da parte di una contadina che pensa che lui sappia, l'amica che se ne va ma gli lascia un pupazzo di pezza uguale a quello con cui giocava a 4 anni, il ritorno ad Amsterdam dagli amici del padre che gli erano stati vicini nella prima fase della ghettizzazione, una bicicletta in regalo che lo riporta ad una delle scene iniziali quando il padre fa funzionare un ciclostile che ruota azionato dalla catena di una bici, la scelta di ricominciare a mangiare: attraverso il dolore Jona ricomincia a vivere e, alla fine, batte sui tasti della macchina da scrivere JONAH come gli aveva insegnato papà.
Bel film da usare nelle scuole.