L’isola in via degli uccelli: Søren Kragh-Jacobsen
L’isola in Via degli Uccelli (1997) è basato sul'omonimo romanzo, parzialmente autobiografico, di Uri Orlev che ha vissuto nel ghetto di Varsavia nascosto con la madre e una sorellina, dal 39 al 41 prima di essere deportato a Bergen Belsen. Ora Orlev vive in Israele. Nel film la vicenda dura 5 mesi e il protagonista, l'undicenne Alexander, è solo. Il ghetto è già stato evacuato e Alexander aspetta l'arrivo del papà che gli ha promesso che tornerà.
La vera storia del ghetto di Varsavia, che fu circondato da un muro o isolato murando le finestre e le porte degli edifici perimetrali (come nel film), la potete trovare qui con i problemi legati al contenimento delle persone (arrivarono sino a 500 mila) in uno spazio abbastanza ristretto, al suo smantellamento per deportazione degli abitanti, alla rivolta.
Non ho letto il libro, ma il film si presta bene all'intento di emozionare positivamente senza ingannare; si soffre e alla fine si partecipa con piacere alla soluzione positiva della vicenda e alla tostaggine di questo bimbo molto autonomo e geniale. E' un film che può essere tranquillamente proiettato a bimbi dalla quarta elementare sino alla terza media ed essere occasione per allargare il discorso sui ghetti dell'Europa Orientale che furono luogo oltre che di segregazione, di sfruttamento e poi di deportazione in vista dello sterminio.
Il padre di Alexander lavora in una fabbrica di cordami insieme allo zio Boruch che fa da guardiano; siamo nell'autunno del 43 e i nazisti si preparano a smantellare completamente il ghetto e cedere area ed edifici alla popolazione di Varsavia. Gli adulti con bambini, i vecchi e le donne verranno deportati nei campi di sterminio, gli adulti (come il padre di Alexander) saranno avviati al lavoro coatto.
Nel ghetto si sta sempre sul chi vive; la selezione può arrivare in qualsiasi momento e il ghetto è pieno di rifugi sotterranei, passaggi più o meno segreti, locali nascosti dove si cerca di vivere normalmente. Un giorno la selezione arriva e i tre (padre, figlio e zio) vengono scoperti nel magazzino dietro una riserva di cordami; qualcuno ha fatto la spia e Alexander viene affidato a Baruch per consentire la sopravvivenza almeno al padre. Ma Baruch ha deciso che lo farà fuggire a costo della vita; Alexander scappa e riesce a rifugiarsi nell'edificio diroccato di via degli Uccelli.
Ha 11 anni ma deve diventare grande; dove stare? Cosa mangiare? Persino l'acqua è stata tagliata. E' solo, insieme a Neve, un topolino bianco che ha ammaestrato e insieme a Robinson Crosue, il romanzo di DeFoe che corrisponde alla sua vita: Neve è Venerdì, il palazzo diroccato è la sua isola separata dal resto del mondo dal muro perimetrale.
Neve è bravissimo a scoprire tra le macerie degli appartamenti abbandonati i nascondigli di cibo e Alexander incontra anche gli sciacalli del ghetto. L'acqua è il problema principale e si accorge che in alto, tre piani sopra, si intravvede un lavandino metallico a cui si stanno abbeverando dei piccioni. Il ragazzino sta diventando un uomo: va alla fabbrica di cordami e fa incetta di corde, argani, carrucole, legname e si costruisce una scala a pioli (vedi immagine). Con il vecchio sistema della corda e del sasso riesce ad issarla e a salire in alto dove trova l'acqua, due metri di pavimento e un rifugio dove stare (la scala viene ogni volta distesa e poi raccolta in modo di risultare invisibile).
Guarda il mondo dall'alto, con un binocolo che ha recuperato, usando una griglia di areazione affacciata dalla parte del mondo vietato. Fuori c'è la città che vive; c'è una bimba simpatica (Stasya) che lo trarrà di impaccio in un paio di occasioni, ci sono i polacchi collaborazionisti, c'è un medico che ama giocare a scacchi, c'è un prete che collabora con la resistenza. Alexander imparerà ad uscire e a mimetizzarsi.
Aiuta due membri delle squadre di resistenza ebraica che hanno organizzato la rivolta nel ghetto (spara con la pistola del padre ed uccide l'SS che li inseguiva); ospita e cura (con l'aiuto del medico al di là del muro) il resistente ferito (Henryk) dopo che l'altro, partito per cercare aiuto, non è mai tornato. Sotto le macerie di via degli Uccelli le SS, allertate da un torturato, scoprono un bunker fornitissimo e che ospitava 8 persone e così Alexander si farà una doccia nell'intervallo tra la cattura degli occupanti e la demolizione con l'esplosivo che avviene il giorno dopo.
Passa l'inverno e il tempo scorre misurato da un graticcio da muratore in cui Alexander infila un fiammifero al giorno. Stasya e sua madre stanno per traslocare in campagna e si offrono di ospitarlo anche perché il ghetto, ormai svuotato, sta per essere ceduto a famiglie di polacchi-cristiani, ma il ragazzino tiene duro, ha dato la sua parola al papà e lo aspetta.
Le nevicate di primavera fanno crollare i rimasugli del tetto e con lui il rifugio ai piani alti. Dopo la caduta arriva un'altra sorpresa negativa. Dentro la sua scatola di metallo c'è il corpo di Neve senza vita. Ma Alexander è tosto, aspetta nella buca in cortile che gli ha salvato tante volte la vita e con la primavera, dopo 5 mesi, arriva il papà. Forse c'è un eccesso di ottimismo, ma nella Shoah, c'è anche qualcuno che se la cava e nella lotta si fa adulto.
Il mio voto: 8.5