I funerali del terrorista silenzioso
L'altro ieri, 19 gennaio 2013, si sono svolti a Reggio Emilia i funerali di Prospero Gallinari. E' brutto morire da solo, fulminato dall'ennesimo infarto, mentre si accingeva ad andare a lavorare e questa è stata la punizione che la storia gli ha riservato.
A proposito di funerali, nel Vangelo, dice persino Gesù Cristo, "lasciate che i morti seppelliscano i loro morti" e vuol significare, chi ha capito e ha scelto, vada da un'altra parte.
Gallinari era taciturno; ha espiato, per quanto si possano espiare certi crimini; non si pentito nè si è dissociato, ma ha ammesso la sconfitta. Lo Stato laico non può e non deve chiedere il pentimento, ma la espiazione dei delitti dovrebbe essere accompagnata almeno dal riconoscimento di ciò che è stato fatto. Sulla bara una bandiera rossa, la stella a cinque punte del comunismo, non quella delle BR, la falce e martello e ai piedi la bandiera della Palestina. Uno striscione dei gruppi antagonisti presenti diceva: La rivoluzione è un fiore che non muore.
Sono venuti a salutarlo diversi ex terroristi che hanno avuto storie personali diverse, ma tutti accomunati dalla amicizia: Renato Curcio, Barbara Balzerani, Bruno Seghetti, Tonino Loris Parolo (che essendo reggiano lo frequentava regolarmente e ha fatto da regia ai funerali), Roberto Ognibene (reggiano), Piero Bertolazzi, Raffaele Fiore e Francesco Piccioni, che insieme a Seghetti, hanno portato la bara al crematorio (gli unici ad avere ancora un fisico all'altezza).
Intorno alla bara l'hanno fatta da padroni due personaggi fuori registro: l'ex capo di Potere Operaio Oreste Scalzone e Sante Notarnicola (bandito politicizzato della banda Cavallero). Scalzone ha fischiato e poi intonato l'Internazionale, Notarnicola in una immagine di fronte alla bara ha le mani giunte come se stesse pregando (si veda la foto). E' stata una Internazionale triste, cantata male, da persone che non ne ricordavano più nemmeno le parole, ma volevano rompere la solitudine. Anche a me capita di cantare l'Internazionale Compagni avanti, il gran Partito noi siamo dei lavoratori. Rosso un fiore in petto c'è fiorito una fede ci è nata in cuor. Noi non siamo più nell'officina, entro terra, dai campi, al mar la plebe sempre all'opra china Senza ideale in cui sperar. Su lottiamo, l'ideale, rosso al fine sarà, l'Internazionale futura umanità… E poi mi sento triste e mi interrogo sugli errori, tanti, e sulle speranze, altrettante. Forse la prima scelta dovrebbe essere quella di dire, molto semplicemente, Il comunismo è finito e, in tutte le sue versioni, è stato, come minimo, una tragedia.
Come scriveva Carlo Parietti ieri su Facebook la Internazionale cantata dai terroristi fa venire in mente il video agghiacciante in cui viene letta la sentenza di condanna a morte di Roberto Peci. Scrive Carlo: L'Internazionale risuonava anche nel video dell'uccisione del fratello di Peci. Un ragazzo più che incolpevole assolutamente estraneo alle br, alla lotta armata, ma "giustiziato" per colpire il fratello. In quel video le br fecero dell'Internazionale la colonna sonora di una spietata nefandezza, umanamente disgustosa e politicamente distruttiva; un uso efficacemente simbolico del loro attacco alla democrazia e in particolare alla sinistra e ai lavoratori. Chissà se ci ha pensato chi l'ha cantata ieri e chi ha magari sentito poi una romantica empatia? Io odio e ho sempre odiato le br e chi le affianca. Molto meglio essere nel loro mirino piuttosto che averli a fianco. Condivido.
La tragedia che si stava compiendo l'ho percepita la prima volta nell'inverno del 76 quando alla radio, alle sei del mattino, ascoltai la notizia della sparatoria in cui morì Walter Alasia. L'avevo visto a scuola sino a due anni prima passare da Gioventù Aclista, a Lotta Continua e poi, quando io ormai stavo al Quotidiano dei Lavoratori, alla lotta armata. Walter, prima di cadere colpito a morte, uccise due funzionari di polizia: uno era un attivista del costituendo sindacato di polizia, l'altro era il papà di un compagno di AO. Il terrorismo nasceva dall'interno della sinistra rivoluzionaria, altro che provocatori infiltrati, come diceva il PCI.
Tutto attraverso piccoli passi: la illegalità, le piccole violenze, l'antifascismo militante, le armi improprie, poi quelle da fuoco, la propaganda armata, le gambizzazioni, i rapimenti, le rapine, …, colpirne uno per educarne cento, eliminare Moro, non l'uomo Moro, ma il nemico Moro. Insieme a lui muoiono gli sgherri che lo accompagnano … Alcuni di quelli che stavano al funerale, incluso Gallinari, pensavano di non essere stati dei terroristi (lo ha ripetuto nuovamente Loris Parolo nella orazione funebre) e dicevano e dicono che non ce l'avevano con la persona ma con il simbolo, in nome di un altro simbolo, quello che non muore mai. Purtroppo una certa sinistra, dall'aspetto sinistro, ha la memoria corta. Inizia dicendo che quello non fu terrorismo, ma lotta armata. Poi spiega che il progetto rivoluzionario venne sconfitto perché la situazione era cambiata. Poi ricorda che la rivoluzione è un fiore che non muore mai.
Nella parte finale del filmato che ho linkato si arriva alla conclusione In base al processo proletario cui sei stato sottoposto, in base agli elementi emersi durante l'interrogatorio, in base all'analisi di questi elementi fatta, le Brigate Rosse concludono il processo a Roberto Peci condannandolo a morte per tradimento. Sulle note dell'Internazionale seguono le immagini in cui Peci si passa le mani sulla testa e si dispera. Poi di lì a qualche giorno Peci venne massacrato. Le prime agenzie di stampa dicevano che, al funerale di Regio, fosse presente anche Senzani, il capo degli sgherri che uccisero Peci. Poi la notizia non l'ho vista confermata dalle agenzie. Meno male; ha avuto il pudore di starsene in disparte.
Non ci siamo e non va bene che il Manifesto per la penna di Mario Gamba la metta quasi sul genere letterario: Facce segnate dal tempo e da delusioni cocenti? Se si vuole, sì. Ma dove non si trovano in giro per le città? Per un amore perduto, per un flirt finito male. E la rivoluzione è un amore grande, un flirt potentissimo. Sempre a cercare, noi, che finisca meglio. Ci risiamo con il fiore che non muore mai?
Per chi voglia un po' capire, un po' soffrire segnalo la recensione de Il Sol dell'Avvenire, il film documentario in cui i protagonisti del Gruppo dell'Appartamento, descrivono il loro passaggio dalla FGCI di Reggio Emilia alla rottura rivoluzionaria.