Romanzo di una strage: Marco Tullio Giordana
Romanzo di una strage (2012), come tutte le cose che hanno a che fare con la Strage di Piazza Fontana, ha suscitato, accanto ai consensi per il valore del film, un coro di polemiche. Era inevitabile.
Dopo averlo visto, ed aver constatato che mi era piaciuto, anche sul piano dei messaggi, mi sono andato a leggere le voci critiche. La principale è dovuta alla scelta di sostenere l'ipotesi delle due borse (e relative bombe): una bomba dimostrativa anarchica di basso impatto che avrebbe dovuto esplodere di notte e una bomba stragista fascista ad alto potenziale che fece la strage. Chisse ne frega. Il film si lascia guardare con piacere e insegna molte cose a chi si è dimenticato o non ha mai saputo.
Viviamo in un paese in cui una recente inchiesta sugli studenti delle scuole milanesi ha evidenziato che la maggioranza è convinta che la strage di piazza Fontana sia stata opera delle Brigate Rosse mentre una minoranza la addebita alla mafia. Giordana apre il film con Franco Freda che va in un negozio di elettromeccanica padovano ed ordina i timer.
Si tratta di un film e non di un documentario e il titolo è emblematico.
Partiamo allora dalla ignoranza diffusa e vediamo quante cose saltano fuori da questo film.
- I fascisti di Padova e Treviso (capeggiati da Freda e Ventura) sono i responsabili delle bombe del 12 dicembre (di aprile alla Fiera ma anche di quelle sui treni ad agosto di cui furono indiziati gli anarchici) e agiscono in combutta con i servizi segreti tramite l'agente Guido Giannettini che, a sua volta, gode di coperture ancora più in alto.
- Poi ci sono gli altri fascisti di Avanguardia Nazionale (Stefano delle Chiaie), quelli che tramano in rapporto con un pezzo della DC e dei servizi come Juno Valerio Borghese (il principe nero) che vorrebbero una svolta a destra ma disprezzano i "macellai". Borghese in uno scontro verbale molto acceso dà del macellaio a Delle Chiaie.
- Il mondo politico è quanto mai vario: c'è un Saragat (che noi odiavamo) autoritario e un po' folle, c'è Rumor presidente del Consiglio perennemente esitante e doroteo, ci sono spinte autoritarie all'interno del governo (il ministro dell'interno Restivo) e c'è Moro razionale, tormentato e desideroso di capire senza dare spazio a spinte autoritarie. E' il Moro che, dopo il 68, era stato messo in crisi dalla vastità della contestazione ed era alla ricerca di una strategia politica di apertura a sinistra. Dice il film che Moro ha capito e che, di fronte alla destabilizzazione in atto, decide di scegliere quello che per lui è il male minore (non occuparsene direttamente).
- Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Savino) oltre che come patriarca degli anarchici del Circolo Ponte della Ghisolfa emerge in tutta la sua umanità, in famiglia come in questura. Si sottolinea l'esistenza di un rapporto di reciproca stima nei confronti di Mario Calabresi e la stima rimane anche nella fase calda dell'interrogatorio che si conclude con il "volo dal III piano". Come è morto Pinelli le inchieste non l'hanno chiarito, ma è stato acclarato in maniera definitiva che non ci sono stati colpi di karatè (come sostenne a suo tempo la campagna della sinistra rivoluzionaria) da parte di Calabresi e che non si è trattato nè di un omicidio (come sostenne la sinistra rivoluzionaria) nè di un suicidio come raccontarono alcuni degli alti gradi della questura (Guida, Allegra). La scena in cui il cronista dell'Unità Palumbo sputtana la versione del questore Guida secondo cui Pinelli si lancia verso la finestra e un agente tenta di fermarlo, ma gli resta in mano la scarpa, è un piccolo capolavoro
- Licia Pinelli, moglie orgogliosa di tanto marito; affettuosa e dura quando in tribunale afferma (contro la tesi di un Pinelli massacrato di botte) che le escoriazioni alle gambe il suo Pino se le era fatte giocando con le bambine e che "io, non ho paura di dire la verità"
- Il commissario Luigi Calabresi emerge per quello che molto probabilmente era: un funzionario di polizia scrupoloso e di altra scuola rispetto al questore Guida o al capo della politica Antonino Allegra. Calabresi non è disponibile ai pastrocchi, non ama l'estremismo di sinistra, ma è una persona pulita. Di fronte al tritacarne delle operazioni losche che la "strage di stato" sta svelando medita le dimissioni dopo che ha scoperto che la "bomba Valpreda" a base di gelignite non poteva fare quel botto, dopo che ha scoperto l'esistenza dei depositi di armi ed esplosivi di Gladio, dopo che il capo degli Affari Riservati gli propone una promozione che assomiglia ad una fuga.
- Gemma Capra (Laura Chiatti) che svolge il ruolo di specchio su cui Calabresi può riversare inquietudini e insoddisfazioni. Segnalo la dichiarazione di Mario Calabresi (il primogenito, oggi direttore de La Stampa, a proposito della scena finale sul cambio di cravatta. Dice che, a detta della madre, Calabresi sarebbe rientrato in casa a cambiare la cravatta rosa con una bianca perché la cravatta doveva "essere bianca come la mia coscienza". Nel film Gemma Capra dice invece, dopo il cambio, "sono entrambe orrende".
- Freda e Ventura alle prese prima con il giudice Calogero e poi con il giudice Spitz sono descritti come li abbiamo conosciuti negli anni 70: un po' "ciula" Ventura, freddo, strafottente e nazista Freda. Sono loro i responsabili della strage, ma non sono più imputabili perché prosciolti in appello.
Dopo essermi visto il film per la II volta mi sono accorto di avere le idee confuse su molti elementi di dettaglio (i tanti processi, le tante verità) di questi anni. Sul sito del Corriere è disponibile questo riepilogo dettagliato e vi renderete conto che era impossibile fare un film che non facesse delle scelte e Giordana ha fatto quelle giuste.
Il mio voto: 9