La trilogia della guerra fascista: Roberto Rossellini
La nave bianca (1941), Un pilota ritorna (1942), e L'uomo dalla croce (1943) segnano, non solo l'esordio cinematografico di Rossellini, ma anche la nascita del cinema neorealista.
La nave bianca, secondo me è il migliore e tra l'altro non sarebbe pienamente di Rossellini. Sia alla regia, sia alla sceneggiatura ha lavorato anche Francesco De Robertis un alto ufficiale della Marina, già addetto alla filmografia di propaganda, impegnato anche successivamente nella filmografia della RSI e poi confluito, dopo la liberazione nel cinema neorealista. Le opinioni circa il contributo di Rossellini sono controverse tra i diversi storici del cinema.
La sceneggiatura de La nave bianca descrive i preparativi per una missione e poi una battaglia navale con ferimento di un marinaio, il passaggio sulla nave ospedale e il successivo trasferimento all'ospedale militare di Taranto dove avverrà l'incontro con l'innamorata (una madrina di guerra – infermiera).
La vicenda in sè è inessenziale, ma mi hanno colpito il rigore documentaristico e la totale assenza di approccio propagandistico che, invece, mi aspettavo per un film girato nel 41 quando il regime, ma anche la Regia Marina, avevano il problema di giustificare la guerra e di gonfiare il proprio ruolo.
Vediamo come funziona l'arsenale di Taranto, come è organizzata una nave da guerra, cosa succede durante una battaglia, come funziona i servomeccanismi di caricamento dei grandi cannoni di marina, cosa si riesce a fare in infermeria mentre intorno scoppiano le bombe.
Non so se la marina fosse diversa dalle restanti forze armate, ma ho visto assenza di retorica e una grande efficienza sia organizzativa, sia tecnologica.
Il mio voto 8
Un pilota ritorna è più film che documentario e c'è anche un protagonista professionista (Massimo Girotti nella parte del tenente Rossati). Gli aviatori, nell'epica guerresca, sono sempre un mondo a sè, con uno stile di vita un po' guascone e l'immancabile giubbotto. Si sentono sempre al di sopra delle misere cose del mondo.
Nel film sono comunque interessanti le riprese in volo, le battaglie aeree e i movimenti coordinati della squadriglia.
La squadriglia di Massimo Girotti parte da un aeroporto pugliese e va a bombardare la Grecia; ci si sofferma sul volo, sulle dinamiche interpersonali, ma non c'è mai una riflessione su cosa accada a quelle bombe che si vedono uscire dalla carlinga, al massimo c'è la ripresa del botto come si vede dall'alto.
Massimo Girotti viene abbattuto e finisce prigioniero degli Inglesi con la prospettiva di una lunga prigionia in India. La detenzione e la interazione con la popolazione che ha catturato uno di quelli che gli sganciavano le bombe sulla testa sono descritte in maniera molto civile, di nuovo nel rispetto del codice cavalleresco. C'è anche un medico italiano, una figlia (immancabile innamoramento) e una amputazione di gamba del primo pilota, in condizioni critiche, per bloccare una cancrena.
Alla fine il tenente Rossati scappa, ruba un aereo inglese e se ne ritorna in Puglia. Prosit.
Il mio voto: 6
Il terzo film di Rossellini, L'uomo dalla croce a detta di molti sembrerebbe ispirato alla storia di un cappellano militare vero Padre Reginaldo Giuliani, ardito, medaglia d'argento nella I guerra mondiale, legionario di Fiume, partecipante alla marcia su Roma, fascistissimo, morto nella guerra di Etiopia cui partecipava da volontario come cappellano delle camicie nere (medaglia d'oro al valor militare). E' stata una bella scoperta sapere a chi è intitolata la via della biblioteca civica di Monza. Questa la motivazione della medagli d'oro: "Durante lungo accanito combattimento in campo aperto sostenuto contro forze soverchianti, si prodigava nell’assistenza dei feriti e nel ricupero dei caduti. Di fronte all’incalzare del nemico alimentava con la parola e con l’esempio l’ardore delle Camicie Nere gridando: "Dobbiamo vincere, il Duce vuole così ". Chinato su di un caduto mentre ne assicurava l’anima a Dio, veniva gravemente ferito. Raccolte le sue ultime forze partecipava ancora con eroico ardimento all’azione per impedire al nemico di gettarsi sui moribondi, alto agitando un piccolo Crocifisso di legno. Un colpo di scimitarra, da barbara mano vibrato, troncava la sua terrestre esistenza, chiudendo la vita di un apostolo, dando inizio a quella di un Martire. Mai Beles, 21 gennaio 1936".
In effetti, nel film di Rossellini, c'è tanto Dio lo vuole. Il protagonista, per quanto mi sono documentato, non ha però le caratteristiche umane di Giuliani; è un uomo mite con l'aria da intellettuale molto poco fascista.
Siamo nell'estate del 42 in Russia (le riprese sono in provincia di Viterbo) e un reparto di carristi, cui è aggregato il cappellano Alberto Tavazzi si sposta per partecipare alla conquista di un villaggio. Tavazzi rimane ad assistere un carrista che si è procurato una probabile lesione della base cranica battendo la testa dentro il suo carro e viene catturato dai russi che lo portano nel villaggio che sarà attaccato agli italiani.
La sceneggiatura è deboluccia: Tavazzi si prodiga per assistere donne e bambini e ha come alter ego dei tremendi commissari politici bolscevichi (quando lo catturano e gli trovano un crocefisso e uno sgherro che sembra uscito da un romanzo d'appendice dell'800 lo definisce un amuleto). Tavazzi farà l'ostetrico, si butterà in mezzo alle bombe d'artiglieria degli italiani per prendere l'acqua perché la madre vuole battezzare il bambino e avrà costantemente un atteggiamento compassionevole non solo verso la popolazione e i propri compagni ma anche verso i soldati nemici.
E' la tesi del film, espressa nell'ultimo fotogramma, non so quanto caro a Rossellini e che riportiamo qui a lato. Come si vede non si scherza, ero già stato allertato da altre recensioni, ed ero pronto.
La visione del film mi ha però riconciliato. La componente ideologica che c'è ed è pesante è sempre sovrapposta ad un approccio neorealista (la vita dei carristi, le diverse fasi della battaglia, le riprese all'interno dell'isba in cui si trova Tavazzi). Rossellini lavorando tra Ladispoli e le campagne viterbesi è riuscito a ricostruire molto bene le scene di guerra e il funzionamento del nostro esercito (dopo la marina e l'aviazione).
Certo i nostri sono bravi e organizzati mentre i soldati dell'armata rossa appaiono eroici ma sfigati. Gli Italiani hanno i camion, i carri armati, l'artiglieria, le comunicazioni radio, mentre i rossi sono tutto volontarismo e viaggiano con i muli. Da noi ci sono gli ufficiali e da loro i commissari politici.
Verrebbe da sorridere se non fosse che eravamo nella terra del barbaro nemico insieme ai nazisti che avevano già sterminato gli ebrei durante la avanzata con gli Einsatzgruppen che si dedicavano all'annientamento di ebrei, zingari e commissari politici mediante fucilazioni di massa. Verrebbe ancora da sorridere al pensiero che il film, iniziato nel 42, uscì quando il nostro esercito era già stato annientato dal freddo e dal barbaro nemico nell'inverno 42/43.
Invece l'eroico Tavazzi, permeato da spirito cristiano di conversione si fa ammazzare nel tentativo di salvare il capo dei senza dio. Un'ultima notazione: i carri armati italiani fanno un po' ridere per dimensione e calibro dei cannoni. Non ci sono state solo le scarpe di cartone.
Il mio voto: 8 nonostante il ciarpame ideologico più clericale che fascista.