1963/1964: un anno di passaggio
Anno di passaggio da tre punti di vista: professionale, cultural-religioso, politico. Sul versante della autonomia mi ero comperato, con i proventi di una borsa di studio, la Lambretta 125, quasi subito truccata a 150. Iniziavo anche a dare le prime lezioni private a studenti dell'Hens delle prime classi.
A scuola si approfondiva la scelta dell'elettrotecnica; aspettavamo i due pomeriggi in cui si sarebbe fatto laboratorio di misure per unire teoria ed applicazione; carini i laboratori di costruzioni elettromeccaniche in cui si iniziava la progettazione e realizzazione di macchine elettriche, quelle che studiavamo sull'Olivieri e Ravelli.
Sempre sul versante della "cultura tecnologica a 360°" del perito ci fu anche l'esperienza del laboratorio di macchine utensili.
La classe era divisa in due gruppi e alternativamente si lavorava al tornio o sulle macchine speciali (fresatrici, piallatrici, trapani). Ricordo di aver visto la prima macchina a controllo numerico che lavorava con nastro perforato (1964) e di essermi stupito nel vedere un tornio con mandrino revolver che fabbricava bulloni con una serie di passaggi predeterminati in sequenza a partire da un'unica barra cilindrica d'acciaio: la testa e il corpo, il filetto, la svasatura, il taglio con caduta del pezzo e inizio del successivo.
Ad ogni colpo dato alla ruota di comando il portautensili ruotava ed iniziava una nuova operazione e naturalmente, attraverso connessioni meccaniche si poteva rendere automatica, dopo aver fissato i tempi di lavorazione, anche questa operazione. Erano i primi elementi della automazione, ancora rigidamente senza elettronica.
C'è un episodio che serve a spiegare bene che tipo di personaggio stessi diventando. Non ero ribelle, ma intransigente sì. Facevamo un corso di macchine idrauliche e termodinamica con il solito docente in prestito: era un fisico, ricercatore del neonato gruppo di Fisica dei Solidi che insegnava per integrare l'assegno di ricerca (cognome Oggioni). Persona molto simpatica e alla mano, ma aveva un difetto: appena entrato in classe si metteva davanti ai banchi, apriva il giornale (Il Giorno) e per 5/10 minuti si dedicava alla lettura.
Io stavo al primo banco e la cosa mi dava istintivamente fastidio; così una mattina con un accendino diedi fuoco, da sotto, al giornale aperto davanti alla mia faccia. Come si sa, se si accende della carta da sotto viene una bella fiammata; il professore capì che avevamo sbagliato entrambi e aumentò la stima reciproca. Il contrario di ciò che mi accadde l'anno dopo (come vedremo). Il professor Oggioni fu il primo fisico conosciuto che faceva il fisico. Esisteva gente che nella vita faceva lo scienziato. La cosa mi piacque.
In quarta ebbi il primo contatto con la matematica seria (dopo che già in terza avevamo fatto l'essenziale di numeri complessi e analitica): l'analisi matematica. Il professore era Bellia, un catanese con un accento fortissimo che sarebbe poi rimasto all'Hensemberger per tutta la sua vita. Il corso finiva in quarta e, senza grandi approfondimenti ma badando al significato di derivata ed integrale, appresi alcune tecniche che, unite alla padronanza dei numeri complessi mi consentirono una certa autonomia nello studio delle correnti alternate e dei sistemi trifasi. Fu una piacevole sorpresa scoprire che, appresi i fondamenti, si poteva fare da sè realizzando in maniera elegante risultati applicabili alle materie di indirizzo senza dover usare le semplificazioni concettuali dell'Olivieri e Ravelli. Mi è rimasta in memoria la lezione dedicata alla definizione di limite: voi non sareste mai in grado di capirla, perciò ve la detto e voi imparatela a memoria. Non so dirvi se avesse ragione; noi periti eravamo un po' rozzi e amanti del lato pratico delle cose, ma a Fisica l'impatto con gli aspetti teoretici dell'analisi fu drammatico e da docente di liceo mi impegnai a fondo perché le difficoltà concettuali non fossero eluse.
Nel corso della IV e della V abbiamo fatto diverse visite a grandi aziende del territorio.
- Alla CGS di Monza si fabbricavano ancora gli stumenti di precisione con cassetta in legno; gli stessi che usavamo nel laboratorio di misure. Vedemmo la catena per la produzione dei contatori a disco (strumenti elettrici di precisione e produzione dei contatori a disco per la fatturazione dell'energia elettrica)
- Alla Ercole Marelli di Sesto ci fu il contatto con la grande industria elettromeccanica: grandi motori e alternatori per le centrali. In quegli anni venivano realizzati i primi turboalternatori con dei rotori lunghi 7-8 metri che dovevano fare 3'000 giri al minuto. Scoprimmo le limitazioni nel diametro (non più di 1 m) per gli effetti di piegatura al centro e il rischio che il rotore, ad alta velocità si sradicasse dai cuscinetti. Scoprimmo che uno dei problemi, nella lunghezza (potenza) del rotore era quello della tenuta dell'isolamento dei conduttori alla temperatura di funzionamento (intorno agli 80-90°).
- Alla Magrini di Bergamo vedemmo gli interruttori di potenza per le centrali e la sala prove.
- Alla Philips di Monza visitammo la catena di montaggio per la produzione manuale dei tubi a valvola. C'erano dei grandi banchi circolari con le operaie tutte in camice bianco che, in ambiente protetto, montavano a mano i diversi componenti della valvola (catodo, griglie, anodo). Lo stesso carosello aveva fiamme a gas e quando il lavoro era finito si montava il bulbo in vetro, si faceva il vuoto e poi il bulbo veniva tappato a caldo. Fu il primo ambiente pulito che vidi nell'industria e mi tornò in mente anni dopo quando alla SGS (ora ST Microelectronics) mi capitò di entrare nei reparti di produzione delle fette di silicio dove non può entrare neanche un granello di polvere.
E' impressionante come di queste cose, nonostante l'alternanza scuola lavoro, oggi se ne facciano meno di allora tra prolematiche di sicurezza, scuola di massa e abbassamento della qualità sia degli studenti sia della offerta formativa.
Sul piano culturale e religioso mi occupai di costituire un significativo gruppo di GS interno alla scuola (amici che rivedo ancora con piacere e che hanno preso strade molto diverse) e intanto approfondivo alcune tematiche legate alla fase conclusiva del Concilio Vaticano II, leggevo le encicliche che ci aveva lasciato papa Giovanni (ormai morto) e trovavo un po' esitante e non comunicativo il suo successore Montini. Nel mio processo di crescita culturale cominciavo ad avere l'impressione che la politica culturale di GS fosse un po' chiusa sul versante sociale.
La domenica mattina i giessini andavano a messa alle 10:30 nella chiesa di San Pietro Martire a metà di via Carlo Alberto. Da questo appuntamento, nell'anno successivo, ne seguì un altro; finita la messa, con alcuni amici ci spostavamo in via Dante al circolo la Brianza a frequentare le riunioni della federazione giovanile socialista. Iniziò così il mio spostamento a sinistra.
Per qualche mese, all'inizio del 64, cercando di imitare mio padre, che era stato fascista e conservava un rapporto di adesione al fascismo nella sua versione sociale e repubblicana, mi misi a leggere il Secolo d'Italia comperato all'edicola al semaforo di via Prina con via Manara dove c'era un edicolante fascista che mi guardava con simpatia. Leggevo anche, episodicamente, La Discussione (il settimanale della DC). Erano i primi passi, ancora confusi verso la passione politica. Nell'estate del 1963 ci fu la morte di papa Giovanni e in quella del 1964 quella di Togliatti. Fui molto impressionato dalla partecipazione popolare ai funerali di cui lessi le cronache su Il Giorno ai giardinetti della Villa Reale.
4 – continua