La rappresentanza di classe e la cultura di governo
Il ministro Elsa Fornero che segue la partita del welfare e delle pensioni è intervenuta ieri con una intervista sul Corriere della Sera e si beccata a stretto giro di posta una replica durissima da parte di Susanna Camusso segretario generale della CGIL.. Ne riporto ampi stralci. Le interviste sono di Enrico Marro
Il ministro Fornero dice in buona sostanza quanto questo governo sostiene da quando esiste:
- la situazione era ed è gravissima ed esigeva interventi drastici;
- quanto siamo riusciti a mettere nella manovra tiene conto del fatto che questo governo si regge sul consenso di terzo polo, PD e PDL e dunque la sua azione necessita di mediazioni,
- intendiamo portare avanti nei prossimi mesi quanto avremmo voluto fare subito e che non siamo riusciti a fare,
- gli interventi dovranno riguardare un riequilibrio tra chi è tutelato e chi nel mondo della deregulation e del precariato non ha tutele.
Si tratta delle cose che hanno dato a questo governo un grosso consenso di opinione pur in una prospettiva che comportava lacrime e sangue.
Dice Elisa Fornero:
Ministro, non ha usato la mano troppo pesante? Non poteva fare una riforma un po' più graduale?
«Noi, col decreto "salva Italia" ci siamo trovati in emergenza. Nei decenni passati erano state fatte riforme tutto sommato buone, ma è come se le avessimo accantonate proprio perché eccessivamente graduali. Questa volta la riforma non poteva che essere forte. La priorità è stata quella di mandare un segnale deciso all'Europa sulla nostra capacità di riequilibrare il sistema secondo equità intergenerazionale».
Lei aveva promesso equità anche sul fronte dei privilegi. Che cosa è riuscita a fare?
«Intanto siamo intervenuti sui regimi speciali (elettrici, telefonici, trasporti, dirigenti d'azienda, ndr), attraverso un contributo di solidarietà. Inoltre, per i lavoratori autonomi, che godevano di pensioni generose in rapporto ai contributi versati, abbiamo previsto un aumento graduale degli stessi fino al 24%. Infine c'è l'inasprimento del contributo di solidarietà sulle pensioni sopra i 200 mila euro, che io avrei voluto più alto del 15%».
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Entro giugno, se non saranno le stesse casse ad autoriformarsi?
«Il termine iniziale era il 31 marzo. E francamente ci sembrava più che sufficiente, visto quello che abbiamo fatto in 20 giorni sul sistema che riguarda tutti gli italiani. Alla fine hanno invece ottenuto tre mesi in più. Ma insomma…»
Teme che facciano ostruzionismo?
«Lo dice lei. Sappiamo che tutti o quasi questi regimi non sono sostenibili nel lungo periodo. Prima o poi non avranno i soldi per pagare le pensioni. Senza interventi, come immagina che finirà?».
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Alla Camera il governo ha accolto un ordine del giorno che chiede di togliere la penalizzazione (1-2%) per chi ha cominciato a lavorare giovanissimo e va in pensione dopo 42 anni. La correzione finirà nel decreto milleproroghe?
«Posso dire che secondo me un briciolo di penalizzazione deve restare, perché è la logica del contributivo. Se vai in pensione prima di 62 anni ci vuole un minimo di disincentivo, perché non dobbiamo venir meno al principio che la pensione si commisura alla speranza di vita».
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Lei crede che le imprese terranno le persone fino a 70 anni?
«Qui tocchiamo una anomalia del nostro sistema. La previdenza è stata troppo spesso un ammortizzatore sociale, per cui tutte le riorganizzazioni d'impresa sfociano in prepensionamenti. Accade perché se guardiamo alla curva delle retribuzioni, lo stipendio sale con l'anzianità mentre in altri Paesi cresce con la produttività e quindi fino all'età della maturità professionale ma poi scende nella fase finale, perché il lavoratore anziano è di regola meno produttivo. Da noi non è così e questo fa sì che le aziende risolvano il problema mandando i dipendenti più anziani e costosi in prepensionamento. Anche i lavoratori hanno la loro convenienza con la pensione anticipata. E lo Stato copre questo patto implicito tra aziende e lavoratori anziani a scapito dei giovani. Se vogliamo fare la riforma del ciclo di vita, è proprio per rompere questo patto: non ce lo possiamo più permettere».
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Sicuramente, tra queste, c'è quella giovanile, come ci ha ricordato ieri l'Istat: il 40% dei disoccupati ha meno di 30 anni e chi lavora, ha quasi sempre contratti precari.
«Giovani e donne sono i più penalizzati perché la via italiana alla flessibilità ha riguardato solo loro, risparmiando i lavoratori più anziani e garantiti. Sono rimasta molto colpita nel sentire i pensionati che si lamentano perché devono mantenere anche i nipoti. Questo è un ciclo perverso. Non è possibile che la pensione di un nonno debba mantenere dei giovani né che questi si adagino su una prospettiva di vita bassa».
Come se ne esce?
«Penso che un ciclo di vita che funzioni è quello che permetta ai giovani di entrare nel mercato del lavoro con un contratto vero, non precario. Ma un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma, io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto».
I sindacati non ci stanno a toccare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
«Sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: "Non voglio vincere contro mia figlia". Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte».
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Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, dice che una manovra come la vostra poteva farla anche suo zio che non sa nulla di economia.
«Lascio a Bonanni il suo giudizio. Vorrei invitarlo a discutere delle cose che stanno in questa manovra e penso di avere la presunzione di poterlo convincere che l'equità c'è, magari non quanto lui vuole, e il rigore c'è, e non ne potevamo fare a meno, pena la messa a rischio dei risparmi degli italiani e il non pagamento delle tredicesime».
Ha avuto tempo di occuparsi anche della sicurezza del lavoro? In Italia ci sono ancora troppe morti bianche.
«Non ci può essere tolleranza soprattutto in una fase di crisi dove magari qualcuno può pensare che è meglio un lavoro anche non sicuro che niente. Agli ispettori del ministero ho detto che devono andare nelle imprese come amici e collaboratori ma anche con intransigenza piena».
Le sue lacrime sulla perequazione delle pensioni hanno fatto discutere.
«È stata una commozione dovuta alla tensione. Può sembrare che io sia una donna dura, ma non è così. È successo che quando dovevo dire la parola sacrifici mi si è soffocata in gola, anche perché in quel momento ho pensato ai miei genitori, che di sacrifici ne hanno fatto molti».
Susanna Camusso ha replicato a stretto giro dichiarandosi totalmente indisponibile, assumendo la linea classica da contrasto di classe e fingendo di ignorare che le vecchie argomentazioni sindacali sui conti in ordine e sulla necessità di prendere i soldi dai grandi patrimoni hanno tutto il sapore della pura propaganda.
- I prelievi vanno fatti dai grandi patrimoni
- Il ministro viene esplicitamente accusato di voler demolire lo stato sociale e di voler aprire ai gruppi assicurativi privati
- Il sistema pensionistico era già in sicurezza
- La riforma del sistema spetta alla politica e non a questi unti dal signore
- La precarietà c'è dove non si applica l'articolo 18 cioè nella piccola impresa
Dice Susanna Camusso
Il governo dice che la manovra ha salvato l'Italia da una situazione dove erano a rischio i risparmi e le tredicesime. È d'accordo?
«Vedo che si autoattribuiscono il ruolo di salvatori della Patria. La realtà è che la situazione era ed è grave, ma la ricetta giusta non è quella di Monti».
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Lei al posto di Monti che avrebbe fatto?
«Lo abbiamo detto molte volte. Avremmo introdotto forme serie di prelievo sulle grandi ricchezze e non misure così leggere che rasentano la trasparenza. Avremmo messo un sano tetto alle retribuzioni più alte e alla pluralità di incarichi pubblici e cumuli multipli tra stipendi e pensioni d'oro. E avremmo fatto cose più incisive sull'evasione, solo per fare qualche esempio».
La riforma delle pensioni è pesante. Ma nell'opinione pubblica c'è anche la consapevolezza che è la conseguenza degli errori del passato. Non crede che nel '95 fu uno sbaglio, anche del sindacato, escludere dal contributivo i lavoratori con più di 18 anni di servizio?
«La Cgil già allora pensava che il contributivo pro quota potesse essere una soluzione e Sergio Cofferati lo disse pubblicamente. Oggi comunque tra i lavoratori e i pensionati che frequento io non c'è nessuno che trovi la riforma Fornero ragionevole. C'è una straordinaria sottovalutazione e una supponenza impressionante da parte del governo nel non capire le conseguenze di questa riforma, che rappresenta un intervento brutale sui prossimi 6-7 anni per tante persone che non potranno accedere alla pensione e non avranno un sussidio. C'è un livello di aggressione nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici che, fatto da una donna, stupisce molto».
… «Nella riforma c'è una norma programmatica che affida a una commissione di studiare la possibilità che i lavoratori spostino una parte dei contributi previdenziali dal sistema pubblico alle assicurazioni private. Questa è una riforma per smontare il pilastro delle pensioni pubbliche. Quindi Fornero non tiri in ballo a sproposito Lama, perché lei ha fatto esattamente una riforma contro i suoi figli, anzi i suoi nipoti».
Mettere in sicurezza finanziaria le pensioni è un modo per garantire il pagamento delle stesse alle prossime generazioni.
«No, no, il sistema era già in sicurezza».
Non può negare che finora chi è andato col retributivo spesso ha ricevuto un regalo rispetto ai contributi versati.
«Guardi che il fondo lavoratori dipendenti è in attivo mentre le gestioni in passivo sono pagate coi contributi dei parasubordinati. Ha idea invece di che dramma sociale creerà questa riforma per i lavoratori dipendenti e i precari, determinando insicurezza e paure? Che senso ha tutto questo? Quello di regalare il sistema alle assicurazioni?».
Sta dicendo che Fornero lavora per le assicurazioni private?
«Se guardo la manovra, sì. Ma un governo di tecnici non può pensare di trasformare il Welfare senza discuterne con nessuno».
Quasi quasi era meglio Berlusconi?
«No, perché se siamo arrivati a questo punto è per colpa dei suoi governi. Ma ciò non significa che questo esecutivo possa fare qualsiasi cosa. Quando sento dire che bisogna riformare il ciclo della vita…, ma chi sono gli unti del signore pure loro?».
Meglio andare alle elezioni anticipate?
«Questo governo è nato per affrontare un'emergenza. Trovo che ci sia un tratto autoritario nel voler dire che sarà il grande riformatore del Paese, perché questo spetta alla politica».
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Dopo le pensioni, tocca al mercato del lavoro. Fornero propone il contratto unico per i giovani, senza le tutele al 100% dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
«Sarebbe un nuovo apartheid, a danno dei giovani. Se facciamo un'analisi della realtà, vediamo che la precarietà c'è soprattutto dove non si applica l'articolo 18, nelle piccole aziende. Quindi tutta questa discussione è fondata su un presupposto falso. Vogliamo combattere la precarietà? Si rialzi l'obbligo scolastico, si punti sull'apprendistato e si cancellino le 52 forme contrattuali atipiche».
Insomma per la Cgil l'articolo 18 resta un totem, come dice Fornero. Ammetterà almeno che bisogna superare il dualismo del mercato del lavoro tra garantiti e precari.
«Non è un totem, ma una norma di civiltà. Vogliamo superare il dualismo? Lancio una sfida: facciamo costare il lavoro precario di più di quello a tempo indeterminato e scommettiamo che nessuno più dirà che il problema è l'articolo 18?».
Fornero dice che le donne non devono rivendicare compensazioni ma parità, anche nei lavori domestici. È d'accordo?
«Fornero dovrebbe intanto ripristinare la legge contro le dimissioni in bianco e farne una sulla paternità obbligatoria. Sarebbero passi in avanti concreti verso la parità».
Io non so come finirà questa partita; siamo ad una svolta negli assetti politici e istituzionali di questo paese e la strada è molto stretta perché c'è bisogno di fare ma le forze politiche, come hanno già osservato molti osservatori, non sono esattamente entusiaste e cavalcano la discussione sul carattere equo/iniquo della manovra.
La sinistra sociale fa volare gli stracci e si dimostra insoddisfatta: la Cisl e la Uil perchè si sono trovate spiazzate da anni di flirt senza esiti con i ministri berlusconiani, la Cgil perché non capisce il nocciolo della questione occupazionale in questo paese e si incarognisce nella difesa dei diritti acquisiti.
Finge di non sapere che la situazione di crisi occupazionale, la precarietà, la mancanza di tutele sono l'altra faccia di uno stato sociale che ha garantito i garantiti, ha speso al di sopra delle proprie possibilità e non appare disposta ad un patto tra generazioni che salvi l'Italia e faccia spazio ai giovani. La citazione della Fornero da Luciano Lama è il nocciolo della questione e lo si può constatare in ogni famiglia in cui vivano lavoratori garantiti e giovani che hanno scelto di nuotare in mare aperto.
A proposito di articolo 18 mi pare risibile la argomentazione di chi dice "dov'è il problema visto che la stragrande maggioranza della nostra impresa è fatta di aziende medie e piccole cui non si applica lo statuto dei lavoratori"?
Fingono di non sapere che:
- il sistema imprenditoriale italiano ha nella microstruttura un vantaggio in termini di dinamicità e capacità di adattarsi rapidamente, ma ha anche il limite di non raggiungere la dimensione ottimale per muoversi sui mercati esteri
- molte aziende bloccano volontariamente il loro sviluppo per non raggiungere la soglia dell'articolo 18 perché ciò determinerebbe una rigidità nella gestione del personale che non sarebbero in grado di reggere
- molte aziende, raggiunta la soglia dell'articolo 18 si scindono in microimprese preferendo la rinuncia a fare massa critica ai rischi di gestione rigida nell'utilizzo del personale.
E taccio sul pubblico impiego dove la difesa della rigidità è la contropartita dei bassi salari e della mancanza di prospettive di carriera. Una domanda a Bonanni, quello che ha paragonato Monti a suo zio, quello che non capisce niente: ci sarà qualche responsabilità sindacale in tutto ciò?