vai tranquillo – la maschera non serve
Questa volta non c’è stata fatalità. I 5 morti di Casteldaccia che sono scesi in un cunicolo fognario senza DPI (dispositivi di protezione individuale) non dovevano esserci. I 5, tra cui il titolare della ditta, facevano parte di una impresa che si occupa professionalmente di lavori di quel tipo.
La normativa su questo argomento è fin troppa e se avete tempo e voglia di leggere vi allego questo documento dell’ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) sulle norme da tenere quando si opera in ambiente confinato
Come per tutti i documenti di prevenzione e sicurezza, ciò che si prevede è molto di più di quanto si possa fare come extrema ratio, bisogna verificare, bisogna ventilare, bisogna avere con sè un rivelatore di gas e poi in situazioni particolari, quando ciò che si doveva fare non è stato fatto, si usano le maschere.
Non occorre essere nè un chimico, nè un medico del lavoro, per sapere che dai liquami, per effetto della fermentazione batterica, si sviluppano gas tossici o velenosi per la respirazione quali il metano, l’anidride solforosa, l’ossido di carbonio, il biossido di carbonio e l’idrogeno solforato (acido solfidrico), quello che quando eravamo ragazzi si usava a carnevale nelle fialette puzzolenti.
Ho fatto una rapida ricerca in rete e ho trovato una maschera poco ingobrante con cappuccio in silicone certificata per l’uso in incidenti che coinvolgono sostanze chimiche COSTO 156 € (la vedete in apertura dell’articolo).
La cappa è dotata di filtro antigas SR 294 ABE2 e filtro antiparticolato SR 510 P3 e fornisce protezione contro tutti i tipi di particelle e i seguenti tipi di gas:
• A2, gas e vapori organici, come i solventi, con punti di ebollizione superiori a +65 ºC;
• B2, gas e vapori inorganici, come cloro, idrogeno solforato e acido cianidrico;
• E2, gas e vapori acidi come l’anidride solforosa e l’acido fluoridrico.
Probabilmente quella prevista dalle norme è migliore, magari costa anche di più ma intanto con questa ne uscivi. Leggetevelo il documento dell’ISPESL per vedere tutte le cose che bisognerebbe fare quando si opera in ambienti confinati e potenzialmente pericolosi.
Il problema è tutto qui: a me non serve, dà fastidio, non c’è pericolo, vai tranquillo, succederà a qualcun altro, insieme a quel che capita con la solidarietà umana: quello sta male e io scendo a salvarlo, ma neanche in questo caso metto la maschera.
Scrive l’ISPESL: Alcuni ambienti confinati sono facilmente identificabili come tali, in quanto la limitazione legata alle aperture di accesso e alla ventilazione sono ben evidenti e/o la presenza di agenti chimici pericolosi è nota. Fra essi si possono citare: serbatoi di stoccaggio, silos, recipienti di reazione, fogne, fosse biologiche…
E poi cita la necessità di indossare i DPI di autorespirazione (con bombola), di prevedere che chi scende sia assicurato e possa venir recuperato dall’esterno, … Ad un certo punto si esemplifica con gli incidenti possibili e uno di questi descrive una situazione analoga accaduta a Roma: Lavori di manutenzione del canale fognario senza l’utilizzo di adeguati DPI e senza aver portato con sé la strumentazione che avrebbe consentito di effettuare la misurazione in continuo, necessaria in tali ambienti.
Il documento è del 2009, il testo di riferimento e il DLGSL 81 è del 2008 e si tratta di normativa che integra e migliora la mitica 626 del 1994. Ne ho contezza per tutti gli adempimenti che ho messo in atto, prima come responsabile della sicurezza al Liceo Classico, in un edificio storico del 700 con un impianto elettrico da paura e poi come Dirigente Scolastico (datore di lavoro, con gli studenti che sono assimilati a dipendenti).
Per un po’ di dati potete leggere l’articolo Morire sul posto di Lavoro pubblicato il 20 aprile.