la morte di Sandro
Ieri mattina 3 ottobre 2022 verso le 10 mi ha chiamato mia nipote Hannika per avvertire che l'avevano chiamata dalla Casa di Riposo dicendo che Sandro aveva avuto una crisi respiratoria e che lo stavano portando in ospedale in ambulanza. Lei stava andando in ospedale ma neanche un'ora dopo mi ha richiamato per dire che era morto in ambulanza e che i tentativi di rianimarlo non avevano avuto esito. Al di là della botta, attesa ma dura, ho cercato di calmarla facendole presente che era meglio così piuttosto che vederlo morire imbottito di morfina dopo un mese di sofferenza.
C'era un cancro in fase terminale scoperto di recente grazie ai marker eseguiti per indagare le ragioni del rapidissimo dimagrimento; Hannika lo temeva, il dimagrimento era stato troppo rapido per essere addebitato solo alla vita e alla alimentazione più regolare della RSA in un diabetico goloso quale lui era (perché quando era entrato era sovrapeso). Quei marker indicavano la quasi sicura presenza di un cancro al pancreas mentre c'erano anche i segni di una perdita continua di sangue in ambito addominale.
Con la morte di Sandro finisce anche un pezzo della mia vita fatta di una infanzia e una adolescenza che ci videro sempre insieme, i primi due di una lunga serie (visto che siamo in cinque), ma lui si chiamava Allessandro come il nonno cav. Alessandro Cereda ed era stato chiamato così perché veniva visto un po' come il capostipite (il primogenito dell'unico figlio maschio), e ad un certo punto della sua vita iniziò a farsi chiamare con il nome completo e non più Sandro, quasi a rimarcare questo aspetto.
Nella immagine qui sotto ci siamo Sandro (con la nonna Elisa) e io in braccio al nonno e tutta la famiglia allargata con papà, mamma, le due zie sposate Locati e Beretta (con mariti, figli e figlie) e anche fratelli e sorelle della nonna Elisa (Viganò). Siamo nel cortile di cemento della fabbrica con sullo sfondo uno degli ingressi e la foto è del 1948.
Il nostro stare insieme è stato marcato da alcuni momenti particolari:
- la mia scelta di seguirlo in Collegio a Varazze perché, dopo una polmonite, risultava debole ed era meglio che svernasse al mare e io non volevo che rimanesse solo e chiesi di seguirlo (così lì ho fatto dalla quinta elementare alla III media)
- le prime differenziazioni in età adolescenziale con lui radicato a Villasanta, all'oratorio o con gli amici dei bar, e io trasmigrato a Monza in Gioventù Studentesca
- poi i miei primi movimenti politici mentre lui preferiva il teatro (lì ha conosciuto le due sorelle Cirinnà, prima Antonella e poi Giovanna che ha sposato) e in quegli anni le strade si sono separate quando lui, partito per iscriversi a ingegneria, tornò a casa dal Politecnico dicendo che aveva cambiato idea e aveva scelto architettura. Sembra banale da dirsi ma su questi aspetti lui per l'arte, l'urbanistica e la comunicazione grafica, io per le scienze dure, sono emerse poi differenze di carattere e di modo di intendere la vita, lui più sul laissez faire io più sullo strutturato. Come erano diversi i libri che leggevamo in quegli anni…
- Dopo la laurea ha per un po' lavorato al Collettivo di Architettura di Milano e poi è andato a Genova al seguiito di Renzo Piano; quindi ha lavorato al Comune di Genova e poi alla Lega delle Cooperative (Abit Coop) di cui è stato vicepresidente regionale (presidente comunista e vicepresidente socialista)
- Alla fine degli anni 90 la figlia maggiore Ilaria è morta in un incidente stradale mentre veniva a Firenze per una mostra d'arte e per Sandro quella è stata la svolta che ne ha segnato tutti gli anni successivi. Scarso interesse verso il lavoro e chiusura progressiva in sè; è stata una forma di nevrosi progressiva cui riusciva a temperare le forme più acute la moglie Giovanna.
- Si è lasciato andare progressivamente sul piano professionale e su quello fisico (il fumo, gli stravizi alimentari) sino alla comparsa del diabete (di cui si disinteressava) e dei primi segni di deterioramento cognitivo (già molto evidenti negli ultimi mesi della vita di Giovanna). Dopo la morte di Giovanna, la situazione è precipitata (anche sul piano economico) e sono stati mesi difficili sino alla scelta divenuta improcastinabile di collocarlo in una casa di riposo che ne garantisse un miglior controllo comportamentale e sanitario.
Torniamo così a questi giorni e alla prima parte dell'articolo. Dopo i risultati dei marker si decise che bisognava fare un ricovero per accertare e valutare il probabile cancro in un paziente diabetico da anni, in decadimento psichico, peggiorato dopo la morte di Giovanna, recentemente cateterizzato per problemi alla prostata che avevano determinato un blocco renale e che, dopo il catetere a permanenza, era stato messo in carozzina senza alcun tentativo decente di mobilizzarlo.
Così mia nipote Hannika, la secondogenita, si è organizzata e l'ha portato, nello scorso fine settimana, al PS dell'Ospedale di Savona. L'ospedale, giudicata la situazione come non acuta, ne ha rifiutato il ricovero, hanno fatto una eco addominale, una radiografia del torace e qualche esame ematochimico e mia nipote la sera stessa l'ha riportato a Genova in RSA.
Il messaggio era: se volete farlo soffrire portatelo in ospedale per TAC e chemio, ma finché sta bene meglio lasciarlo morire in pace perché in RSA si sta meglio che in ospedale. C'era del vero in questo ragionamento, ma mentre scrivo non so nemmeno se chi l'ha visitato ha avuto il coraggio di mettere per iscritto la diagnosi.
Quella sera al telefono, con mia nipote, abbiamo convenuto che in queste occasioni bisognerebbe avere il coraggio di fare i terroni (mi scusino i meridionali), fare la sceneggiata, gridare, sdraiarsi sul pavimento, dire che non si hanno nemmeno i soldi per piangere oltre che per pagare l'ambulanza per il ritorno (il che era anche vero). Ma brianzoli e liguri non hanno l'imprinting per queste cose.
Dopo la morte di Giovanna, per mia nipote disoccupata e con una figlia a carico, è stato un calvario e ho cercato di intervenire con qualche misura di sollievo di tipo economico, ma con tutti i limiti dei 400 km di distanza (loro in Liguria e io nella Toscana meridionale) in un contesto in cui si trattava di interagire con una struttura pubblica compartimentata in cui nessuno si fa mai carico del problema nella sua interezza, in cui devi fare il certificato, portare il certificato che non va mai bene perché manca quell'altra cosa, in cui per seguire tempi e regole della burocrazia devi prendere ore e giorni di permessi.
Sandro era in una casa di riposo privata da circa un anno perché la situazione a casa era fuori controllo (con le badanti che costavano più di quanto Hannika riuscisse a guadagnare senza garantire un controllo adeguato su dieta e terapia). Niente RSA con convenzione regionale, niente assegno di accompagnamento, niente invalidità civile nonostante le pratiche fossero incardinate da tempo. La risposta sistematica era …. è in lista d'attesa e noi pensavamo che sarebbe morto prima che lor signori si scomodassero.
La foto di apertura è di circa 2 mesi, quando lo portammo a fare una RMN alla prostata e che non venne fatta perché non stava fermo e avrebbe dovuto essere sedato; nel frattempo il dimagrimento era ulteriormente aumentato. Domanda: uno così lo rimbalzi? Sei tranquillo?
Ho taciuto sino ad ora ma ora ne parlo e parlererò perché l'esperienza con le strutture socio assistenziali di Regione Liguria è stata allucinante. Per dirne solo una, qualche tempo fa, quando stava ancora a casa, dopo un ricovero ospedaliero per crisi glicemica dovuta al diabete scompensato, quando i parametri glicemici si sono stabilizzati, è stato dimesso dall'ospedale (nonostante l'Halzehimer e 77 anni) senza avvertirci e mia nipote che aveva chiamato l'ospedale sentendosi dire "ma suo padre lko abbiamo dimesso" disperata l'ha trovato che camminava lungo l'Aurelia da Voltri verso Cogoleto con il suo fagottino dei vestiti.
E intanto continua il dibattito sul reddito di cittadinanza perché si tratta di una misura di tipo sociale verso chi si trova in difficoltà… Tra i miei amici ci sono tanti politici; prendetene spunto per fare qualcosa perché vi assicuro che, in questi contesti, non si sa cosa fare, cosa dire, come comportarsi. Tutti hanno la loro verità, le loro regole, i loro tempi e, alla fine, il loro disinteresse. Manca sempre uno che si faccia carico del problema nella sua interezza. Non aggiungo altro.
L'articolo viene collocato nella sezione racconti della mia autobiografia – buona lettura