Michele Randazzo – il dirigente buono (Giovanna Moruzzi)
Michele Randazzo nasce il 3 dicembre 1936 in un piccolo paese nel cuore della Sicilia (Mussomeli, CL) dove frequenta la scuola elementare: è terzo di 5 figli. Dell’ambiente paesano ricorderà sempre il calore delle serate intorno ai braceri ascoltando i racconti degli anziani, il lavoro di sgusciare le mandorle, affidato ai bambini e il profumo del pane fresco con i fichi maturi che suo zio gli dava al mattino presto quando andavano in campagna. Della scuola ricorderà il freddo (con i geloni delle mani ) e le bacchettate del maestro.
Suo padre (ragazzo del ’99) oltre che nella prima, combatte anche nella seconda guerra mondiale e, capitano della compagnia Costiera di Modica (RG), viene fatto prigioniero degli inglesi e sottoposto ad una dura prigionia in Africa che gli mina gravemente la salute.
Torna dopo la fine della guerra, trasferisce la famiglia a Caltanissetta dove ricopre l’incarico di direttore dell’Ufficio delle Imposte dirette.
Michele frequenta il liceo scientifico. Studente brillante, soprattutto in matematica, dopo la maturità si iscrive al Politecnico di Milano, dove, in anni in cui la goliardia era ancora imperante, approda alla Casa dello Studente di Viale Romagna. Il suo corso di studi, rallentato dalla militanza politica, si conclude nel 1970, con la laurea in ingegneria chimica. Nello stesso anno sposa Giovanna Moruzzi, con la quale ha due figli : Luca (1971) e Lisa (1976).
Nei primi anni ’60 si mantiene facendo il correttore di bozze all’Unità e milita nel PCI di Sesto S.Giovanni aderendo alla corrente di Ingrao; si occupa degli eventi culturali della cittadina e della rivista Città di Sesto ottenendo la collaborazione puntuale di Davide Lajolo direttore dell'edizione milanese dell'Unità.
Nel 1966, insieme ad un gruppo di militanti della sinistra del partito, esce dal PCI formando il gruppo FalceMartello. Nel 1967 questo gruppo si scinde e una parte, alla quale appartiene Michele, forma il circolo “il Manifesto” che nel 1968 si trasforma in Avanguardia Operaia.
L’omonimo organo di stampa vede Michele come caporedattore. Egli vive la politica come imperativo morale, come attività che permea ogni istante della vita, convinto che il cambiamento del mondo sia possibile e sia vicino. Si occupa di tutti i periodici dell’organizzazione (Avanguardia operaia mensile, quindicinale e settimanale e Politica comunista ), fino all’uscita del numero di prova del Quotidiano dei Lavoratori (“Bandiera Rossa” – luglio 1974).
Il periodo del quindicinale, poi settimanale, è molto impegnativo come potete leggere nel ricordo di Peppino d'Alfonso, senza fax e senza internet, la tipografia a Genova, composizione a piombo, stampa in rotativa, correzione delle bozze, preparazione dei pacchetti di giornali da spedire nelle varie città dalla stazione di porta Principe e infine, dopo due giorni di lavoro frenetico, rientro a Milano in macchina con i pacchi per le diverse zone.
Con lui collaborano Peppino D’Alfonso e Aurelio Cipriani (Cippino). Forte la determinazione a superare le carenze oggettive con un impegno al limite delle proprie forze, sorretto dalla convinzione di stare contribuendo alla costruzione di un mondo più giusto.
Fa parte degli organismi direttivi di Avanguardia Operaia di Milano. Partecipa a infiniti “intergruppi” e manifestazioni di piazza, lacerato dalla preoccupazione di avere a casa un bimbo piccolo. Si occupa, tra le altre cose, della scuola quadri (seminario sull’imperialismo), disponibile a tenere gruppi di studio anche a casa sua la domenica mattina. Nel 1971 è responsabile della zona “Milano est”; nel 1972, al cinema Fiume nel popolare quartiere di S. Zeno a Verona, rappresenta la direzione di Avanguardia operaia in occasione della fusione con “Unità proletaria”; nel 1974, quando Ao diventa organizzazione nazionale, è eletto nel comitato centrale. Dal 1970 al 1976 è funzionario dell’organizzazione.
Primavera 1977: Al quinto congresso di Avanguardia operaia, dopo duri e dolorosi scontri politici interni, si schiera con la minoranza guidata dall'ex segretario Aurelio Campi. Successivamente cessa la militanza attiva.
Si trasferisce a Trento con la famiglia nell’autunno del 1977, dove, dopo diverse occupazioni dirige una scuola professionale. Affetto da lunga e sofferta malattia muore nel giugno del 1998.
DUE BRANI DAL MIO "NARRATORIO" INEDITO E IN LAVORAZIONE
È l’ora del materialismo scientifico. Tenete presente che fino ad allora aveva sempre guardato le faccende politiche con disinteresse. O con la coda dell’occhio, quasi pezzo di un paesaggio in ombra. Non diciamo che le ombre non vanno a un certo punto diradate. Per quel che è possibile. Ma che fa in fondo la Compagnia in cui è entrato? Dopo la sfuriata in cui tutti hanno parlato di rivoluzione, s’è organizzata per imporre all’attenzione degli elettori tre sui dirigenti abbastanza in vista. Tutto qua. C’è da entusiasmarsi? Qualcuno già li chiama le tre volpi. Sono lì. Si aggirano solenni e seri nel salone fra i partecipanti al congresso. Quello che gira pavoneggiandosi di più è il primo delle tre volpi. Ha sul capo un cappuccio medioevale, come quelli che usano a Granada durante la processione della settimana santa. Sopra sta scritto: io sono il capo. Poi si fanno notare anche altri dirigenti. Sono quelli fuori dal giro delle tre volpi. Ma anche loro, sulla fronte però, portano scritto: io desidero essere il capo. E attorno a loro tanti giovani che discutono in modi accaniti, ma superficiali. Un’accolita di ambiziosi e confusionari, pensa deluso Unio. Vorrebbe rimproverarli. E sa anche che dovrebbe rimproverare se stesso. Ma ora sul palco è salito un dirigente di secondo piano, un bonaccione accomodante e cauto. Presiederà il congresso. Ma subito è in difficoltà. Deve difendersi da un’accusa infamante: si sarebbe appropriato del danaro della Compagnia. Tutti sanno che è una falsità. Ma a muovere l’accusa contro di lui, sono dirigenti ben più potenti di lui, coalizzatisi per liquidarlo. E nessuno nella Compagnia osa fiatare. Unio vorrebbe gridare: Perché vi mettete tanto facilmente dalla parte delle tre volpi, che è dopotutto solo una fazione della Compagnia e nemmeno ascoltate più le ragioni degli oppositori? Ma è troppo tardi. I giochi sono stati fatti. E lui con la sua preparazione politica da apprendista non conta proprio nulla.
Unio va a un congresso della Compagnia. S’aggira in quella folla solo per cercare Michele, il dirigente buono, meridionale come lui, un siciliano. Non c’è. Allora prova a cercarlo nella trattoria dove, ai vecchi tempi, quando le riunioni si prolungavano, tutti andavano a mangiare un panino o un piatto veloce. Qui compagni che si salutano, si scambiano battute, si baciano sulle guance con la compagna appena riconosciuta. Come allora. Lì Michele dev’esserci per forza. C’è. Unio lo capisce appena adocchia un tizio che, pur voltandogli le spalle, ha la corporatura massiccia di Michele. Sta discutendo seduto a un tavolo con altri. Unio s’avvicina, lo saluta, si siede con loro. Si stanno ripetendo che l’Organizzazione, invece di consolidarsi in vero partito, va sfaldandosi in fazioni contrapposte. Michele è di quella più moderata e conciliante. Ma è ormai lo stesso una fazione, vorrebbe dirgli Unio. Da tempo aveva temuto lo sfascio. Tace però. Michele gli resta simpatico. Ha qualcosa di diverso dai dirigenti di spicco. E’ una volpe meno volpe? Come quelle del Sud? Come Unio? O un animale politico non solo volpe? Nella trattoria c’è animazione. Quasi allegria. Ma ad un tratto Unio sussulta e si fa vigile. Nel tavolo accanto qualcuno riferisce di una nuova bega scoppiata nella Compagnia. Un vecchio compagno se l’è presa coi dirigenti, che una volta l’avevano accusato per la “faccenda di Trieste” (1) e ora, invece, fanno a gara per dimostrarsi a favore delle “nazionalità” e delle “piccole patrie”.
Nota (1)
http://it.wikipedia.org/wiki/Questione_triestina
Nel frattempo continuavano scontri e disordini a Trieste:
• l’8 marzo 1952 una bomba uccise alcuni manifestanti di un corteo di italiani;
• nell’agosto-settembre 1953 il governo italiano inviò truppe lungo il confine con la Jugoslavia;
• nel novembre del 1953 in occasione di altri scontri con le truppe Angloamericane si registrarono ulteriori vittime (Pierino Addobbati, Erminio Bassa, Leonardo Manzi, Saverio Montano, Francesco Paglia e Antonio Zavadil), che ricevettero in seguito la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
« …Animato da profonda passione e spirito patriottico partecipava ad una manifestazione per il ricongiungimento di Trieste al Territorio nazionale, perdendo la vita in violenti scontri di piazza. Nobile esempio di elette virtù civiche e amor patrio, spinti sino all’estremo sacrificio. … »