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Michele Randazzo – il dirigente buono (Giovanna Moruzzi) — 1 commento

  1. DUE BRANI DAL MIO "NARRATORIO" INEDITO E IN LAVORAZIONE

     

    È l’ora del materialismo scientifico. Tenete presente che fino ad allora aveva sempre guardato le faccende politiche con disinteresse. O con la coda dell’occhio, quasi pezzo di un paesaggio in ombra. Non diciamo che le ombre non vanno a un certo punto diradate. Per quel che è possibile. Ma che fa in fondo la Compagnia in cui è entrato? Dopo la sfuriata in cui tutti hanno parlato di rivoluzione, s’è organizzata per imporre all’attenzione degli elettori tre sui dirigenti abbastanza in vista. Tutto qua. C’è da entusiasmarsi? Qualcuno già li chiama le tre volpi. Sono lì. Si aggirano solenni e seri nel salone fra i partecipanti al congresso. Quello che gira pavoneggiandosi di più è il primo delle tre volpi. Ha sul capo un cappuccio medioevale, come quelli che usano a Granada durante la processione della settimana santa. Sopra sta scritto: io sono il capo. Poi si fanno notare anche altri dirigenti. Sono quelli fuori dal giro delle tre volpi. Ma anche loro, sulla fronte però, portano scritto: io desidero essere il capo. E attorno a loro tanti giovani che discutono in modi accaniti, ma superficiali. Un’accolita di ambiziosi e confusionari, pensa deluso Unio. Vorrebbe rimproverarli. E sa anche che dovrebbe rimproverare se stesso. Ma ora sul palco è salito un dirigente di secondo piano, un bonaccione accomodante e cauto. Presiederà il congresso. Ma subito è in difficoltà. Deve difendersi da un’accusa infamante: si sarebbe appropriato del danaro della Compagnia. Tutti sanno che è una falsità. Ma a muovere l’accusa contro di lui, sono dirigenti ben più potenti di lui, coalizzatisi per liquidarlo. E nessuno nella Compagnia osa fiatare. Unio vorrebbe gridare: Perché vi mettete tanto facilmente dalla parte delle tre volpi, che è dopotutto solo una fazione della Compagnia e nemmeno ascoltate più le ragioni degli oppositori? Ma è troppo tardi. I giochi sono stati fatti. E lui con la sua preparazione politica da apprendista non conta proprio nulla.

     

    Unio va a un congresso della Compagnia. S’aggira in quella folla solo per cercare Michele, il dirigente buono, meridionale come lui, un siciliano. Non c’è. Allora prova a cercarlo nella trattoria dove, ai vecchi tempi, quando le riunioni si prolungavano, tutti andavano a mangiare un panino o un piatto veloce. Qui compagni che si salutano, si scambiano battute, si baciano sulle guance con la compagna appena riconosciuta. Come allora. Lì Michele dev’esserci per forza. C’è. Unio lo capisce appena adocchia un tizio che, pur voltandogli le spalle, ha la corporatura massiccia di Michele. Sta discutendo seduto a un tavolo con altri. Unio s’avvicina, lo saluta, si siede con loro. Si stanno ripetendo che l’Organizzazione, invece di consolidarsi in vero partito, va sfaldandosi in fazioni contrapposte. Michele è di quella più moderata e conciliante. Ma è ormai lo stesso una fazione, vorrebbe dirgli Unio. Da tempo aveva temuto lo sfascio. Tace però. Michele gli resta simpatico. Ha qualcosa di diverso dai dirigenti di spicco. E’ una volpe meno volpe? Come quelle del Sud? Come Unio? O un animale politico non solo volpe? Nella trattoria c’è animazione. Quasi allegria. Ma ad un tratto Unio sussulta e si fa vigile. Nel tavolo accanto qualcuno riferisce di una nuova bega scoppiata nella Compagnia. Un vecchio compagno se l’è presa coi dirigenti, che una volta l’avevano accusato per la “faccenda di Trieste” (1) e ora, invece, fanno a gara per dimostrarsi a favore delle “nazionalità” e delle “piccole patrie”.

    Nota (1)

    http://it.wikipedia.org/wiki/Questione_triestina

    Nel frattempo continuavano scontri e disordini a Trieste:

    • l’8 marzo 1952 una bomba uccise alcuni manifestanti di un corteo di italiani;

    • nell’agosto-settembre 1953 il governo italiano inviò truppe lungo il confine con la Jugoslavia;

    • nel novembre del 1953 in occasione di altri scontri con le truppe Angloamericane si registrarono ulteriori vittime (Pierino Addobbati, Erminio Bassa, Leonardo Manzi, Saverio Montano, Francesco Paglia e Antonio Zavadil), che ricevettero in seguito la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:

    « …Animato da profonda passione e spirito patriottico partecipava ad una manifestazione per il ricongiungimento di Trieste al Territorio nazionale, perdendo la vita in violenti scontri di piazza. Nobile esempio di elette virtù civiche e amor patrio, spinti sino all’estremo sacrificio. … »

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