Buio a mezzogiorno – di Arthur Koestler (recensione)
Quando ho recensito il caso Toulaev di Victor Serge mi sono reso conto, sia dai riferimenti nella introduzione, sia dai commenti degli amici, che non avevo mai letto l'altro libro di riferimento, scritto nello stesso periodo (1938/1939) e riferito ai grandi processi del 37-38, "Buio a Mezzogiorno".
Anche Koestler (Budapest 1905 – Londra 1983), come Serge, è un militante comunista, ma nel suo caso si tratta di un comunista prevalentemente vissuto al di qua del confine con l'est. Koestler è ungherese (viene dalla capitale dell'impero asburgico), proviene da una famiglia ebraica, studia a Vienna e dunque scrive in tedesco ( anche perché, sul piano profeessionale ha lungamente operato in Germania) e sino alla fine, cerca suo malgrado, di di essere fedele al punto di vista di Mosca.
La sua storia di scrittore inizia da giovanissimo, con il racconto della sua esperienza in Palestina a lavorare in un Kibbutz ("La schiuma della terra") stretto tra le ostilità degli Inglesi e degli Arabi. Dopo il periodo palestinese riesce a farsi assumere da grandi gruppi editoriali tedeschi e in quegli anni (anche dopo l'adesione al partito comunista tedesco) continuerà a lavorare per il partito, in incognito, con la indicazione di apparire come un giornalista liberal che però, quando può, difende gli interessi dell'URSS. Lo farà in Germania, poi in Spagna e infine in Francia.
La sua rottura con il comunismo e la denuncia dei crimini dello stalinismo avviene solo nel 1938 perché, nonostante viva a contatto con i problemi del totalitarismo staliniano, mette sempre al primo posto la resistenza al nazismo e la necessità che le forze antinaziste rimangano unite. Tutto ciò nonostante tocchi con mano, sin dal primo viaggio in URSS pensato come propagandistico, le condizioni di vita della popolazione russa, lo strangolamento dei kulachi, la persecuzione, di qua e di là del confine sovietico degli oppositori. Buona parte del materiale documentario del romanzo gli viene da una testimone diretta (di carceri e inchieste) che aveva conosciuto nel corso del viaggio in URSS Eva Weissberg e che è stata liberata grazie a pressioni internazionali mentre il marito Alex era stato consegnato alla Gestapo.
Buio a mezzogiorno, insieme ad altri due romanzi dello stesso periodo, I Gladiatori e Arrivo e Partenza ha come tema centrale il rifiuto del principio secondo cui "il fine giustifica i mezzi": il partito è infallibile in quanto avanguardia del proletariato e il proletariato era l'incarnazione del processo storico verso il progresso. Per una ampia biografia su Koestler potete leggere il sito della storica Valentina Piattelli.
Il romanzo, in cui qualcuno ha individiato elementi legati al processo a Bucharin per via della confessionefinale, racconta il processo ad un ex commissario del popolo, Nicola Salmanovič Rubashov, l'ultimo sopravvissuto, oltre a Stalin, della foto di gruppo della vecchia guardia che fino a poco prima stava in tutti gli uffici pubblici (e anche alla Lubjanka), che ora non c'è più perché la vecchia guardia, le teste numerate della fotografia, non c'è più.
Ci sono elementi di similitudine con quanto già scritto da Serge (le celle, i corridoi, gli interrogatori notturni, le figure degli inquisitori, il sotterraneo delle esecuzioni) ma questa volta (a differenza del caso Toulaev) c'è una unica vicenda e un racconto in cui, man mano che procedono gli interrogatori ci sono i salti indietro che ci descrivono la vita e il ruolo di Rubashov che negli anni 30, per conto della Internazionale si dedicava agli interventi di raddrizzamento ed espulsione di militanti delle cellule all'estero (in Germania in pieno nazismo e poi in Belgio).
Rubashov è sereno ma fermissimo; non sono ammessi dissensi, chi dissente è fuori, come capita ai membri della cellula degli scaricatori di un porto del Belgio che avevano organizzato il boicottaggio delle merci dedicate ai nazifascisti e che, la sera prima dello sbarco, apprendono che stanno arrivando dalla patria del socialismo cinque cargo neri, ciascuno con il nome di un grande capo della Rivoluzione e con la bandiera rossa bella in vista. Sono carichi di petrolio da instradare poi, via terra, verso l'Italia di Mussolini, impegnata nella aggressione all'Etiopia e soggetta all'embargo da parte della Società delle Nazioni,
Questo è lo scambio finale con Riccardo, il militante tedesco che ha osato non distribuire il materiale propagandistico giunto da Mosca e sostituirlo con cose scritte sul posto, perché più aderenti alla realtà.
«Il Partito non può mai sbagliare» disse allora Rubasciov. «Tu ed io possiamo commettere degli errori, ma non il Partito. Il Partito, compagno, è piú di te, di me e di mille altri come te e come me. Il Partito è l’incarnazione dell’idea rivoluzionaria nella Storia. La Storia non conosce né scrupoli né esitazioni. Scorre, inerte e infallibile, verso la sua meta. Ad ogni curva del suo corso lascia il fango che porta con sé e i cadaveri degli affogati. La Storia sa dove va. Non commette errori. Colui che non ha una fede assoluta nella Storia non è nelle file del Partito.»
«Hai impedito la diffusione del nostro materiale; hai soppresso la voce del Partito. Hai distribuito volantini ogni parola dei quali era pericolosa e falsa. Hai scritto: “I resti del movimento rivoluzionario debbono unirsi e tutte le forze ostili alla tirannide formare un blocco; dobbiamo porre fine alle nostre vecchie lotte interne e cominciare di nuovo la lotta comune”. Questo è un errore. Il Partito non deve allearsi ai moderati. Sono essi che in perfetta buona fede hanno innumerevoli volte tradito il movimento, e lo faranno ancora alla prossima occasione, e poi ancora alla prossima. Chi scende a un compromesso con essi uccide la rivoluzione. Hai scritto: “Quando la casa brucia, tutti devono contribuire a soffocare l’incendio; se continuiamo a discutere sulle teorie, l’incendio ci ridurrà tutti in cenere”. Altro errore. Noi combattiamo il fuoco con l’acqua; gli altri con l’olio. Pertanto dobbiamo prima decidere quale è il sistema giusto, se l’acqua o l’olio, prima di unire le brigate dei pompieri.
Quando Rubasciov torna in Russia dopo due anni di carcere in Germania trova che molti degli uomini barbuti della fotografia non esistevano più e che i loro nomi non potevano nemmeno essere pronunciati e per questa ragione rimane solo 15 giorni prima di essere inviato in Belgio sui sua richiesta dove gestirà la ribellione dei portuali.
Un’immagine gli comparve alla mente, una grande fotografia in una cornice di legno: i delegati al primo Congresso del Partito. Erano seduti attorno a una grande tavola, chi con i gomiti puntati sopra, altri con le mani sulle ginocchia; seri e barbuti tutti guardavano fisso verso l’obiettivo. Sopra ogni testa si vedeva un piccolo cerchio, che racchiudeva un numero corrispondente a un nome stampato ai piedi della fotografia. Tutti erano solenni, solo il vecchio che presiedeva aveva un’espressione scaltra e divertita negli occhi obliqui da tartaro. Rubasciov era il secondo alla sua destra, col pince-nez sul naso. Il N. 1 era seduto all’altro capo della tavola, in fondo, massiccio e quadrato. Sembrava la riunione del Consiglio municipale di una cittadina di provincia, e preparavano invece la piú grande rivoluzione della Storia. Erano a quel tempo un pugno d’uomini di una specie interamente nuova: filosofi militanti. Conoscevano tutti le prigioni delle città europee come i viaggiatori di commercio conoscono gli alberghi delle loro “piazze”. Sognavano la conquista del potere per abolire il potere; di governare sul popolo per svezzarlo dall’abitudine di essere governato. Tutti i loro pensieri si trasformavano in fatti e tutti i loro sogni divenivano realtà. Dove erano? I loro cervelli, che avevano cambiato il corso del mondo, avevano ricevuto ognuno una scarica di piombo. Chi nella fronte, chi nella nuca. Solo due o tre s’erano salvati, erano spersi per il mondo, logori, finiti. E lui; e il N. 1.
Nonostante ciò Rubashov va in Belgio a gestire la espulsione degli scaricatori, fa espellere i capi della sezione e denuncia il loro leader Nano Loewy come agente provocatore ed è nel periodo belga che Rubashov entra in contatto con labbro leporino il figlio di un diplomatico che sarà utilizzato per imbastire le accuse contro di lui.
In epoca staliniana le eliminazioni seguono due strade:
- la pratica amministrativa (storicamente ampiamente utlizzata contro i tecnici e gli agronomi) in cui il partito decide che non ci sia interesse ad arrivare al processo e si viene eliminati direttamente su indicazione degli inquirenti (è quanto accade ad un vecchi amico di Rubashov, Bogrov per una questione relativa al tonnellaggio dei sottomarini).
- il processo pubblico che viene istruito utilizzando chiamate di correità, confessioni, raccolte di documentazione mentre il potenziale imputato è in libertà, si perfeziona con l'arresto e gli interrogatori notturni che hanno la funzione di portare l'imputato allo sfinimento sino a fargli ammettere qualsiasi cosa pur di riposare e che ha come livello massimo di perfezione la ammissione, da parte dell'imputato delle verità più assurde sino al pentimento finale e alla richiesta di espiazione (inclusa la morte) in nome del socialismo.
Rubasciov è un dirigente rivoluzionario e dunque la sua pratica viene affidata ad un amico della prima ora, il giudice Ivanov che si trova ad interagire con un sottoposto della generazione successiva Gletkin, un fanatico convinto che l'imputato vada spezzato distruggendolo. Anche Ivanov, dopo che è riuscito a convincere Rubashov della sua colpevolezza, finirà eliminato per via amministrativa e la pratica passerà all'esperto in confessioni e connessioni in cui da un pelo si costruisce una pelliccia: Rubashov ha ammesso di avere sbagliato convinto dai ragionamenti di Ivanov e Gletkin farà il resto.
Rubashov, reso dubbioso dalle cose che ha visto, ha dei dubbi sull'Io e sul Noi. La dottrina rivoluzionaria si basa sulla divisione aritmetica: l'individuo è il frutto della divisione "una moltitudine di un milione divisa per un milione" ed è su questi temi che viene convinto da UIvanov, ma alla fine, nella sua cella, dopo che il processo si è concluso con la condanna alla fucilazione Rubashov continua ad interrogarsi.
“Per che cosa muori tu, in realtà?”, non trovava alcuna risposta. C’era un errore nel sistema; forse consisteva nel precetto, ch’egli aveva considerato finora incontestabile, in nome del quale aveva sacrificato gli altri ed ora egli stesso veniva sacrificato: nel precetto, che il fine giustifica i mezzi. Era questa frase che aveva ucciso la grande fraternità della Rivoluzione e gettato tutti allo sbaraglio. Che cosa aveva scritto egli una volta nel suo diario? “Abbiamo gettato a mare tutte le convenzioni, la nostra sola guida è quella della logica conseguente; navighiamo senza zavorra etica.”
Forse la radice del male era tutta qui. Forse non s’addiceva all’umanità navigare senza zavorra. E forse la ragione soltanto era una bussola difettosa, che faceva seguire una rotta cosí tortuosa da fare sparire nella nebbia il punto d’approdo. Forse ora veniva il tempo della grande tenebra.
Forse piú tardi, molto piú tardi, il nuovo movimento sarebbe sorto… con nuove bandiere, con un nuovo spirito, conscio e della fatalità economica e del “senso oceanico”. Forse i membri del nuovo partito avrebbero portato tonache fratesche e predicato che solo la purità dei mezzi può giustificare il fine. Forse avrebbero insegnato ch’è fallace il detto secondo cui un uomo è il prodotto di un milione diviso per un milione e avrebbero introdotto una nuova specie di aritmetica basata sulla moltiplicazione, in modo da formare con un milione di individui una nuova entità che, non piú massa amorfa, sviluppasse una coscienza e un’individualità propria, con una “sensazione oceanica” accresciuta di un milione di volte, in uno spazio illimitato e tuttavia contenuto in se stesso.
Potrei riempirvi di altre decine di citazioni. Il processo razionale che porta Rubashov ad accettare la sua colpevolezza è complesso.Il moderno Prometeo si è annullato nel Partito, ha ammesso di essere al servizio della storia e null'altro conta. I comportamenti delle teste numerate mandate alla fucilazione dal numero 1 sono stati tra loro diversi: c'è chi ha confessato e chiesto la grazia, c'è chi ha ammesso la organizzazione di una opposizione ed è andato con dignità nel corridoio delle cantine della Lubjanka, chi come Zinov'ev è crollato psicologicamente e ha dovuto essere sorretto dai carcerieri. Una tragedia raccontata con grande attenzione all'uomo e alla storia, i due corni del dilemma.
Arthur Koestler
Buio a Mezzogiorno