Destra, sinistra, modo di produzione – Giovanni Cominelli
L’articolo di sabato 1 agosto sui partiti e il modo di produzione, che aveva al centro il concetto marxiano di “coscienza enorme”, ha acceso tra alcuni lettori una discussione/contestazione “filosofica” e persino “filologica” più ampia sui fondamenti della politica e della distinzione – ancora utile o ormai disutile? – tra destra e sinistra. Poiché i lettori hanno, a volte, ragione, ho ritenuto utile precisare meglio alcuni temi.
Intanto, sul ricorso a Marx. L’opinione di chi scrive è che il materialismo storico fornisca un approccio analitico tuttora valido. Nell’ambiente dei credenti (Sant'Alessandro.org), lettori di questo giornale, il termine “materialismo” viene talora associato ad una metafisica atea e materialistica. In realtà, il “materialismo storico” afferma semplicemente che la forza propulsiva e generativa della civilizzazione umana è l’intreccio tra forze produttive e rapporti di produzione: “Il modo di produzione della vita condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita”.
Depurato dalle superfetazioni successive del Diamat – il materialismo dialettico sovietico, cui il gesuita Gustavo A. Wetter dedicò un acuto libro con lo stesso titolo, pubblicato da Einaudi (vale a dire dal PCI) nel 1947 – e dall’antropologia metafisica marxiana, aggiornato con le più raffinate metodologie della “storia profonda” e della “longue durée”, il materialismo storico resta un prisma fondamentale per leggere il presente.
Il concetto di “coscienza enorme”, con il quale Marx interpreta il suo tempo e il futuro del capitalismo e, più in generale, quello della civilizzazione umana, appare in uno dei sette quaderni manoscritti del 1857/58, pubblicati postumi a Mosca nel 1939-41 con il titolo “Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie”.
Il lemma “Bewusstsein” – l’essere consapevole – non indica soltanto una dimensione gnoseologica – una dilatazione delle capacità conoscitive e delle conoscenze fattuali – ma descrive la nuova struttura ontologica determinata dall’applicazione massiccia delle scienze e della tecnologia alla produzione. La “coscienza enorme” è, in effetti, un salto ontologico dell’individuo e della civiltà umana.
Probabilmente Marx userebbe oggi i termini che sono stati usati dopo di lui da Nietzsche, da Teilhard de Chardin e, in anni recenti, dai transumanisti, quali Ray Kurxweil: Super-uomo, Noosfera, Singularity… Poteva forse meglio usare i lemmi “Verstand” o “Geist”, ma si sarebbe trattato di espressioni troppo hegeliane per i gusti del grande Karl.
Quale che sia l’espressione più congrua per nominare ciò che, oggi, l’intreccio tra forze produttive e rapporti di produzione sta generando, è certo che da questa “coscienza enorme” si deve partire per comprendere le persone, la società, la civilizzazione e, dunque, la politica mondiale e nazionale, e, dunque, anche la possibile distinzione tra destra e sinistra.
Secondo Marx, l’intreccio capitalistico di forze produttive e rapporti di produzione era destinato all’implosione per due ragioni:
- perché il capitalismo era roso nel suo nòcciolo dall’inesorabile caduta tendenziale del saggio di profitto;
- perché il proletariato, soggettivamente organizzato come Movimento operaio, grazie alle categorie immarcescibili del socialismo scientifico, avrebbe sopraffatto con la forza politico-statale i proprietari privati dei mezzi di produzione, avrebbe socializzato/statalizzato le forze produttive, avrebbe dato un enorme impulso al loro sviluppo.
Nella competizione per la generazione della “coscienza enorme”, il Movimento operaio mondiale, organizzato nelle Internazionali, avrebbe sopraffatto la borghesia capitalistica e costruito la civiltà a venire. Il socialismo sarebbe stato solo una fase di transizione intermedia verso il comunismo, verso la società del “a ciascuno secondo i suoi bisogni”, la società dell’umanesimo plenario, la Terza Età dello Spirito di Gioachino da Fiore. L’intreccio marxiano di metafisica messianica di origine ebraica e di ottimismo antropologico di origine pelagiana, evoluzionista e positivista non è bastato. Tanto che qualcuno ha cominciato a pensare che il modo di produzione capitalistico avesse… i secoli contati.
Secondo la Scuola di Francoforte e secondo gli operaisti alla Mario Tronti o alla Toni Negri – si veda il libro Empire – il capitalismo ha talmente inglobato le forze produttive da abolire la contraddizione con i rapporti di produzione e da neutralizzare lo stesso proletariato e il suo Movimento operaio, politico e sindacale.
Se un soggetto alternativo alla borghesia capitalistica può nascere, esso può sorgere solo nelle periferie sociali, dagli slums delle megalopoli del Terzo mondo e, qui in Occidente, dalla nuova classe operaia, razza “pagana” non controllabile dalla Chiesa dei partiti e dei sindacati operai.
Insomma: gli “ultimi” del Vangelo trasformati nel nuovo soggetto politico rivoluzionario. E’ ciò che ha fatto, infine, la teologia della liberazione. Da queste teorie sono nati l’insurrezionalismo, il guerrilismo, il partito armato.
Secondo i riformisti socialdemocratici, invece, tanto valeva, di fronte all’“eternità del capitalismo”, scendere a patti con il Capitale; se non era possibile il controllo politico pubblico della produzione della ricchezza, si poteva/doveva trattare duramente circa la distribuzione della ricchezza. E’ stato il modello socialdemocratico del secondo dopoguerra. Il fatto è che il modo di produzione capitalistico, nonostante crisi, catastrofi belliche, disastri ambientali ha tenuto in mano la barra dello sviluppo. Lo segnala da ultimo un libro di Rainer Zitelmann.
Il sapere scientifico e tecnologico è divenuto la forza produttiva principale e appare saldamente sotto il controllo delle multinazionali della conoscenza e dell’Infosfera, da Google, ad Amazon, a Facebook….
Già nel 1995 il Rapporto europeo di Edith Cresson, intitolato “Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva.”, aveva richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica, della politica e dei governi sui “tre choc” cui stavamo andando incontro: la società dell’informazione, lo sviluppo della civiltà scientifica e tecnologica, la globalizzazione.
Oggi, è evidente che l’economia della conoscenza cammina sulle gambe dell’ingegneria genetica – fino alla creazione dell’uomo in laboratorio – dell’Intelligenza artificiale, della Robotica, delle bio-nanotecnologie.
Che cosa c’entra tutto ciò con la politica divisa in destra e sinistra? E’ evidente che la posta in gioco della politica diviene “la coscienza enorme” o “la Noosfera” o la potenziale “Singularity”… Cioè il futuro della civiltà umana, cioè l’umanità degli uomini.
Ha ancora senso, di fronte a tali scenari, il costituirsi della politica in destra e sinistra? La risposta sta nella storia, giacché il contenuto noetico di questi concetti è dato dall’itinerario che li ha costituiti. Da quanto è nato il concetto di sinistra – dovuto alla casuale e storica collocazione a sinistra nell’emiciclo parlamentare inglese dell’ala liberal-progressista borghese Whig – esso ha sempre avuto come contenuto l’idea di progresso – il progresso come fine, scrisse Comte – di promozione della filosofia, della scienza, dell’innovazione tecnologica e di relazioni sociali fondate sulla dignità umana e sulla libertà.
Si potrebbe dire: promozione delle forze produttive contro i rapporti sociali di produzione che le contenevano, le bloccavano, le scoraggiavano. Sinistra come liberazione. Alle spalle stavano le idee di liberazione/redenzione umana e di universalismo, che il Cristianesimo ha immesso nella storia, con il passaggio dal Dio etnico ebraico al Dio di tutti.
Si può discutere con Feuerbach se sia stata la nuova antropologia filosofica ellenistica a generare la nuova teologia o viceversa, in ogni caso è di lì che parte l’idea della redimibilità umana e della storia aperta, anticiclica. La storia umana è pensata come la storia dell’ominizzazione della natura e dell’umanità stessa, sottratta alla lotta animale tra gli uomini.
L’uomo è pensato come processo infinito di autorealizzazione, di fioritura umana, di eudaimonia. In Teilhard de Chardin non è l’ultimo stadio: oltre la Noosfera si accede ad una sfera più grande, che ricomprende la prima: è la Cristo-sfera. Questa antropologia e filosofia della storia di origine cristiana hanno registrato significative oscillazioni “eretiche” tra pelagianesimo, gnosticismo cataro e messianismo.
La sinistra, per parte sua, è stata messianica e pelagiana; quella bolscevica anche catara. La destra, viceversa, si è sempre qualificata per la conservazione dei rapporti sociali esistenti, sia quando era Nobiltà e Clero sia quando, da un certo punto storico in avanti, divenne la Borghesia, già vittoriosa contro il modo di produzione feudale, che difendeva come eterni i rapporti sociali di produzione capitalistici contro il nuovo arrivato, il proletariato e il Movimento operaio.
La descrizione di una Destra e di una Sinistra storiche, con ruoli stabili garantiti in commedia, risponde alla realtà attuale delle due? Non pare più! La ragione è che la Politica ha perso la rappresentanza delle forze produttive e dei rapporti di produzione e si è attestata sulla distribuzione nazionale/territoriale delle risorse, che gli Stati e i governi nazionali riescono a contrattare con le potenze economiche globali e nazionali.
Se il compound dell’economia della conoscenza è fatto di Ingegneria genetica, Intelligenza artificiale, Robotica, Bio-nanotecnologie, Infosfera e Globalizzazione, qual è l’economia politica della destra e della sinistra e quali i percorsi possibili dell’ominizzazione?
Destra e sinistra hanno abbandonato il conflitto storico sul modo di produzione, ripiegando sulla distribuzione in economia e sull’etica in ominizzazione. Si tratta di un abbandono del campo per impotenza. Confliggono, in economia, sui destinatari sociali della distribuzione; in etica, tra l’affermazione dei valori tradizionali – Dio, Patria, Famiglia – e valori globalistici.
E la sinistra e il capitalismo? L’idea di cambiarlo per via politico-statale è fallito. Tuttavia, il modo di produzione capitalistico non è l’ultimo grido della storia umana. Ma, come per i passaggi precedenti dei modi di produzione, ciò che genera il cambiamento dei rapporti di produzione è la potenza dell’innovazione tecnologica e delle forze produttive emergenti, la cui vittoria sui vecchi rapporti di produzione che le bloccano può essere accelerata dall’assunzione di una rappresentanza culturale e politica riflessiva delle nuove forze produttive.
E’ così, d’altronde, che la borghesia ha sconfitto le forze feudali: con la scienza, con la tecnologia, con la filosofia. Al momento esistono forze sociali crescenti nel compound sopra citato. Forse la sinistra dovrebbe incominciare a parlare con loro.