non conosci Papicha – Roberto Ceriani
Sono ragazze sui 20 anni. Quella con i capelli lunghi rossi, liberi sulle spalle, ne dimostra un paio di più di quella più piccola, magra, con i capelli neri raccolti e annodati sopra la testa. Sono molto belle. Si ammirano fra di loro. Parlano guardandosi negli occhi. Si amano.
Sono sedute proprio davanti a me, a parte una fila libera per il distanziamento Covid. Siamo al cinema all’aperto nel cortile di Palazzo Reale. Qui passeggiava il Re quelle rare volte che veniva a Milano. Arrivava alla Stazione Centrale e veniva accolto nella zona reale della stazione, oggi diremmo “sala VIP”, che oggi è usata per le feste durante la Settimana della Moda. Per macabra ironia la sala si trova vicino al famigerato binario da cui partivano le deportazioni per i lager.
Le ragazze aspettano abbracciate l’inizio del film. Sono arrivate a piedi da una strana piazza Duomo che, timidamente, cerca di tornare alla normalità dopo la tragedia Covid. Un po’ distanziate fra loro riappaiono coraggiose famiglie con mascherine e piccoli gruppi di turisti che si fanno selfie con lo sfondo bianco della Cattedrale. L’ambiente è a metà strada fra l’urbano e la serata balneare.
Questa sera nel cortile del Re proiettano un bellissimo film algerino, “Non conosci Papicha”, sottotitolato, in cui si parla una strana lingua un po’ araba e un po’ francese.
E’ la storia di un gruppo di ragazze di Algeri che, nei maledetti anni ’90, tentavano di esplorare percorsi di sopravvivenza umana, mentre la città era teatro di decine di attentati e sanguinose vendette operate da ignoranti integralisti musulmani che volevano piegare la società alle loro ossessioni fintamente religiose.
A quel tempo le due ragazze di fronte a me non erano ancora nate. Mi sforzo di immaginare cosa possano capire di questo film, di quel periodo terribile, ma capisco subito quanto la mia domanda sia fuori luogo. Mezzo secolo mi divide da loro e un’eternità mi divide dai loro pensieri.
Il film riporta la mia mente al 1972, quando giravo l’Algeria in autostop e i camionisti mi portavano nelle loro case. Mi facevano dormire sul tappeto; non era morbido, ma era sempre meglio del pavimento nudo di una notte passata in galera. Le famiglie mi spiegavano cosa avevano fatto 10 anni prima, durante la Guerra di Liberazione dai francesi. Sui banconi dei negozi c’erano scatole per raccogliere fondi per sostenere la guerra in Vietnam. Sulle scatole erano incollate bandiere algerine e vietnamite e una scritta del tipo “Sosteniamo la lotta dei vietnamiti contro gli americani che stanno facendo quello che abbiamo fatto noi lottando contro i francesi”.
Le ragazze protagoniste del film, ventenni negli anni ’90, hanno sentito sicuramente queste storie dai loro genitori. Invece le ragazze sedute di fronte a me non le hanno neppure imparate a scuola. Cosa potranno capire delle scene di violenza che appaiono sullo schermo? Accidenti, sto ricascando nelle domande inutili…
In quegli anni il fondamentalismo islamico uccideva in tutta l’Algeria; il terrore era la regola di vita in un territorio immenso. Negli stessi anni il Ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer aveva sottoscritto un accordo con i Ministri dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Spagna, Francia, Marocco, Algeria, Libia, Egitto, Israele, ecc.). L’accordo prevedeva contatti culturali per mettere in comune i curriculi scolastici delle scuole superiori e cercare di armonizzarli fra di loro. Io fui incaricato di lavorare sui curriculi di Fisica e avevo già avuto visto e biglietto per Algeri, dove si doveva tenere la prima riunione internazionale, annullata pochi giorni prima della data stabilita a causa delle minacce terroristiche. Il progetto naufragò.
Il fondamentalismo islamico aveva vinto con il terrore anche questa piccola battaglia culturale; volevano appiattire la società al loro modello di uniformità forzata, in nome di un ideale in cui avevano bisogno di credere. Nel frattempo da noi qualche cosa di simile a un “fondamentalismo di sinistra” riuscì a fare fuori Berlinguer; volevano appiattire la scuola al loro modello di uniformità forzata, in nome di un ideale in cui forse credevano veramente.
Mentre penso a queste vecchie storie vedo le ragazze di fronte a me che si stringono forte durante le scene di violenza e ogni tanto si scambiano baci affettuosi, quasi per farsi coraggio l’una con l’altra. Quando il film arriva alla fine si vede, nella fase post-terroristica, qualche tentativo degli algerini di ritornare alla normalità. Dopo aver pagato un prezzo esagerato finalmente riprendono a vivere dando nuovo valore alle piccole cose quotidiane e guardando con fatica a un futuro molto incerto.
Riaccese le luci si vedono a fatica le stelle nel cielo. Gli spettatori si alzano e si avviano verso l’uscita. Il cortile di Palazzo Reale si svuota lentamente.
Si cammina cercando di mantenere le distanze e quasi tutti indossano la mascherina. Invece le due ragazze camminano senza mascherina, sempre abbracciate, baciandosi fra una parola e l’altra. Mi domando cosa avrei pensato se avessi visto la stessa scena 15 o 20 anni fa. Come avrebbe reagito la gente qui presente? Poi mi domando per quale ragione mi faccio queste domande.
Penso che forse è normale che un vecchietto cerchi di capire la realtà usando la Storia, ma anche che è normale, forse giusto, che due giovani ragazze vivano la loro storia e, proprio grazie alla loro storia, facciano la loro parte per costruire la Storia. Buona serata, ragazze!