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Big Science, Big Data: fantascienza e Medio Evo convivono — 10 commenti

  1. La critica sull’uso delle macchine, e in tal caso di macchine che puntano ad emulare l’intelligenza è assai antica e da solo il tema richiederebbe interi libri. Solo pochissime cose: nessun ricercatore, salvo pochi che la comunità considera matti, pensa che si arrivi mai a macchine con una intelligenza superiore alla nostra, semplicemente perché il problema è mal posto. Ancora oggi la definizione di intelligenza tra gli esperti di intelligenza artificiale (AI) è incerta. Si riesce a delimitare ambiti di studio molto specifici, in cui il primo scopo è imitare i meccanismi logici (gioco degli scacchi) o deduttivi (sistemi esperti). Il secondo ambito, molto recente, che si manifesta con sistemi capaci di interpretare il linguaggio naturale (Siri di iPhone) emula la capacità umana di classificare. I metodi di “deep learning” altro non sono in fondo che dei sofisticati e potenti algoritmi di classificazione, che affiancatii ai modelli grammaticali e sintattici ideati tra i primi da Chomsy, cercano di risolvere il problema della traduzione. Ma siamo ben lontani da saper risolvere le ambiguità della frase “Le guardie a cavallo della Regina” e produrre la traduzione corretta (oggi Google offre “horse of the Queen's Guards”, migliora ma non ci siamo ancora).
    L’obiettivo neanche sottaciuto è piuttosto quello di ampliare le funzioni collaborative estendendole e inglobando macchine di AI nelle reti di relazioni umane.
     

  2. Per Giulio Toffoli
    Caro Toffoli, nel ringraziarti per l'impegno che hai messo nel commentare la mia nota, rilevo qui poche cose, infatti rispondere a tutte le tue osservazioni sarebbe assai lungo. Oltre a ciò, condivido alcune osservazioni di Angelo Ricotta e di Cristina Fischer. Inutile quindi ripetere. Il punto sui convegni scientifici colossali rivela una probabile scarsa conoscenza di come questi si svolgono, in nessun modo comparabili a concerti rock, partite di calcio o altro. Raccogliere circa 3.000 persone richiede non solo una organizzazione sofisticata, ma una articolazione degli incontri scientifici su cosiddette sessioni parallele, in modo che ciascuno partecipi alle presentazioni delle ricerche che più raccolgono il suo interesse e in cui possa offrire i maggiori contributi in termini di discussioni. Ma questa osservazione in realtà è lo spunto per chiarire e forse risolvere il dilemma che delinei in riferimento alla enorme dimensione dei dati e al necessario ricorso alla intelligenza artificiale. Qui c'è un grande malinteso nelle tue osservazioni. La sfida dei big data non la affronterà mai un singolo ricercatore, ma, come proprio testimoniato dalle conferenze scientifiche, viene risolta dal lavoro collettivo. E' proprio nella big science che si attua al meglio la collaborazione tra persone e gruppi di ricerca. Siamo di fronte a una estensione sempre maggiore e a una pratica sempre più ampia di lavoro coordinato in reti di ricercatori e gruppi. E' questo il modo con cui l'umanità degli scienziati può far fronte alla sempre più accelerata crescita della complessità. Ma è anche questo il modo con cui tutta l'umanità potrà far fronte in modo collaborativo alla crescita della complessità del mondo.
    Questo mio ragionamento dovrebbe anche chiarire dove e come mi colloco oggi nello schieramento politico (nelle tue osservazione sembra adombrarsi una critica a un ex-sinistro, confuso tra positivismo e idealismo, scientismo e naturalismo). Premesso che odio ogni etichetta, riscontro, come ho chiarito in altri interventi, la scomparsa delle classi sociali e l'aggregarsi dei conflitti attorni a interessi e non più attorno a valori, rimasti marginali presso élite politiche. La visione a volte quasi mistica del potere della rete (intesa come Internet) da parte dei 5 stelle rivela la forte volontà di superare le forme aggregative tradizionali dei partiti politici. Il lavoro collaborativo in rete dei giovani scienziati fornisce un esempio in cui lavorare “in rete” (intesa come rete di relazioni) sia l’unica via per risolvere la complessità. Credo sia evidente la distanza abissale tra la rete “a 5 Stelle” e la “rete del lavoro scientifico”, quantomeno per livelli di approfondimento, capacità di contribuire, discutere apertamente nel rispetto reciproco totale.
    Invitare a riflettere su queste ultime cose è la vera ragione che mi ha spinto a scrivere la nota che ha sicuramente una funzione di provocazione, in cui ricorro a figure retoriche iperboliche. Ma il fatto che anche tu adotti la metafora medievale delle Cattedrali per descrivere i luoghi di creazione della scienza, mi fa sospettare che forse tanto iperboliche le mie osservazioni non siano state.

  3. Ho inserito su Poliscritture FB un lungo commento all'articolo ma, non capisco perchè, non riesco a copiare qui il mio commento.
    — è questo? (Claudio Cereda) —
    Credo che l’articolo di Marini tratti anche di un problema di *quantità*: quantità di dati da elaborare e quantità di popolazione al mondo con i conseguenti problemi di governance. (Anche Fagan con il tema-complessità vi si riferisce.) Marini considera il rischio di scacco nell’elaborazione dei dati: “Siamo vicini al ginocchio della curva, il momento in cui la crescita del volume di dati esploderà. E la mente umana non è pronta e non lo sarà mai. Solo potenti metodi di calcolo potranno analizzare e interpretare questi dati.” Contemporaneamente incoraggia i giovani a fare parte dell’élite scientifica, che sarà anche collegata all’amministrazione economico/politica del mondo.
    I nuovi intellettuali infatti saranno scienziati, non i letterati e i filosofi del ‘900. D’altra parte è giusto che questi ultimi, che hanno riconosciuto il legame tra potere e sapere a proposito di loro stessi, avvertano i nuovi scienziati che il sapere non è mai neutro, dati gli interessi economici e politici coinvolti.
    Marini, se non sbaglio, è un professore, così possiamo capire quali obiettivi e traguardi si propongano agli studenti nelle facoltà scientifiche.

    Due punti mi interessa notare nel testo di Toffoli su quello di Marini. Il primo riguarda il delirio di onnipotenza: “Non si tratta come vorrebbe Marini di una narrazione di futuro grandiosa, ma piuttosto di un delirio di onnipotenza destinato con grande probabilità a concludersi con una matura presa d’atto che le nostre potenzialità conoscitive e biologiche sono certo grandi, molto grandi, ma non infinite. L’onniscienza non è un attributo divino, ma neppure umano.”
    Io mi chiedo, invece, se non si pone qui il problema del *senso* della conoscenza, anche di quella scientifica. Infatti Marini fa balenare alla lontana, in modo leggero ma suggestivo, anche un piano metafisico degli studi scientifici: “Le ricerche in corso al CERN cercano di spiegare la natura della materia, le ricerche degli astrofisici cercano di spiegare la natura e la storia del cosmo, le ricerche sugli esopianeti cercano di scoprire se altre vite possono esistere nel cosmo o se ci siano pianeti simili alla terra e abitabili. I due filoni di ricerca, materia e cosmo, si intrecciano fornendo risultati ed ipotesi le une alle altre.”
    Forse si può pensare che non sia solo una suggestione, ma il riconoscimento che alcuni o molti studenti e studiosi possono già avere una appartenenza religiosa.
    Un secondo punto che mi interessa notare del testo di Toffoli, riguarda il rapporto tra la conoscenza scientifica e quella sociale e politica. Il Tonto, verso la fine, dichiara che la conoscenza non può abdicare “alla sua funzione principale che dovrebbe essere non solo di scrutare la volta del cielo, ma anche le viscere della società, perché è lì che oggi è imprescindibile volgere il nostro sguardo. Nessuno può distogliere la vista da quella realtà, pena la negazione della sua primaria condizione di essere umano”. E continua poi centrando il conflitto tra Galilei e la chiesa sul mistero della transustanziazione, come se, anche per allora, il legame tra visibile e invisibile fosse da intendere solo in termini materiali.
    Credo che, rispetto all’ampio quadro conoscitivo (e persino metafisico) proposto da Marini ai giovani intellettuali scienziati, il richiamo -per altro molto importante- alla collocazione sociale in cui si svolge il lavoro scientifico (“siamo tutti parte del mondo delle merci che ci avvolgono e ci condizionano, quale che sia la nostra realtà nella gerarchia sociale, castale o nella collocazione spaziale”) non possa costituire una diversa piattaforma contrapposta.

    Più interessante invece il paradosso conoscitivo centrato da Toffoli: “non siamo e non saremo mai” dice il Tonto “in grado di analizzare quei dati che andiamo raccogliendo ma saremmo, si presume, in grado di creare strutture cognitive che faranno ciò che noi non abbiamo la capacità di fare. Ti rendi conto del paradosso? Demandiamo alla macchina quella funzione creativa che non ci è più data, schiacciati come siamo da fiumi di dati. Si presuppone insomma che la mente umana abbia la capacità di generare una intelligenza superiore alla nostra che ci supplisca e ci sostituisca in uno sforzo di onniscienza che non ci è dato”.
    Qui direi che il Tonto (ma non c’è netta differenza di posizioni nel dialogo) tonto non lo sia affatto.

  4. Per Giulio Toffoli.
    Condivido diverse cose di quello che lei scrive ma non il suo pessimismo nei riguardi della scienza e della tecnologia.
    1. Big data? Ma si tratta poi davvero di Big Science …
    2.  Speculazione scientifica pura e nell’ombra i vari dottor Stranamore
    "scientista positivista rivisto in salsa XXI secolo"? Questa affermazione più che caratterizzare Marini caratterizza invece il suo rapporto con la scienza. Scientista è positivista sono termini spregiativi che in genere utilizzano  i religiosi, o i credenti in qualche filosofia irrazionalistica, contro la scienza che secondo essi è colpevole d'impicciarsi troppo di affari che riguardano solo le loro divinità. Per me queste definizioni non hanno alcun senso.
    Non tutta la "scienza di base" ha bisogno di enormi tecnologie. Ci sono moltissimi settori  oltre la fisica delle particelle e l'astrofisica (ma per alcuni aspetti anche in questi) in cui tale tipo di ricerca ha bisogno essenzialmente di carta e penna e di una biblioteca.
    Comunque non ci trovo nulla di male nel fatto che la scienza di base, per definizione una scienza che non ha finalità immediatamente applicative, promuova lo sviluppo di tecnologie e di imprese. Non vedo perché in tal modo essa diventi impura. C'è una differenza oggettiva, che tutti gli addetti alla ricerca conoscono, fra scienza di base e applicata, tant'è vero che quando si stilano i progetti per la richiesta di fondi occorre specificare le finalità della ricerca e se scrivi che la tua ricerca intende "chiarire i meccanismi della turbolenza" invece che "si tratta di costruire una nuova potente arma" i finanziatori capiscono bene che la prima è di base e la seconda è applicata e in genere scelgono la seconda. Per fortuna le università e gli istituti di ricerca sono pieni di ricercatori molto curiosi che magari rinunciano ad un finanziamento più lucroso pur di perseguire le proprie aspirazioni conoscitive. Siccome un certo numero di costoro ha anche preso il premio Nobel la ricerca di base ha ancora un futuro. Che poi la scienza di base abbia prodotto a distanza ricadute pratiche ciò non inficia il principio. Quando Einstein dedusse la relazione massa-energia non pensava certo alla bomba nucleare, ma stava rifondando la meccanica galileiana sulla base delle sue contraddizioni con la teoria elettromagnetica.
    3.  Progresso tecnologico rettilineo e Medioevo
    Tutta la storia dei big data mi sembra molto montata, anche da Marini, come ho scritto nel mio intervento precedente. Non c'è niente di strano in tutta questa faccenda. La tecnologia oggi permette la creazione, archiviazione e manipolazione di quantità molto più grandi di dati rispetto al passato. E allora? Le limitate capacità della mente umana non c'entrano nulla. Già all'epoca di Aristotele nessun singolo poteva padroneggiare la quantità di dati in circolazione, perciò esistevano le specializzazioni e le biblioteche. Google, Amazon, Facebook ci usano? Per me no. Anzi sono delle grandi opportunità date a persone che ora possono proiettarsi sulla scena mondiale mentre in passato ciò era riservato solo a delle élite.
    4. Convegni scientifici spettacolari e miliardi di dollari investiti in pura ricerca?
    Gli investimenti per la scienza sono piccole percentuali dei PIL. Non c'è nessun fine recondito in questi finanziamenti. Qualunque governante del mondo capisce che la scienza è un'attività che dà prestigio alla nazione e le sue ricadute sulla cultura e le applicazioni sono sempre positive.
    5. Mente umana e Intelligenza artificiale
    Ho già detto qualcosa al punto 3. Ma che c'è di strano nell'intelligenza artificiale? Negli anni '50 già la si sperimentava al M.I.T. soprattutto nella forma hardware (cito solo Marvin Minsky). Poi si è passati al software. Già da molti anni esistono algoritmi basati sul cosiddetto concetto di "intelligenza artificiale". Versioni più o meno raffinate di essa sono utilizzate addirittura nella maggior parte dei giochi, ad esempio The Witcher, tanto per citarne uno. Programmini didattici come Derive sono in grado di eseguire calcoli simbolici che sono al di là della portata di un laureato in Matematica, e comunque molto più velocemente. Già da un bel pezzo la mente umana non è in grado di competere con certi programmi su specifici compiti, ma tutto questo non riguarda la creatività. La confusione sta qui. L’uomo ha sempre costruito strumenti che amplificassero certe sue capacità. Nell’epoca preistorica scoprì la clava per picchiare più forte, la ruota per andare più veloce, molto più in là il trattore per scavare più efficientemente. Quindi è passato ai calcolatori per i calcoli numerici e infine al calcolo simbolico e a programmi che cercano di simulare il funzionamento della mente umana (AI, fuzzy logic). Ma tutte queste macchine non sono creative, non sono intelligenti nel senso in cui lo è la mente umana. Lo diventeranno? Io non lo so. Per ora non sono le macchine a riflettere sui misteri dell’universo ma persone che si servono di esse.
    6. Futurismi e deliri d’onnipotenza
    Ha fatto male a cestinare il libro di Martin Rees perché dice cose sensate e che sono già allo studio. Invece è proprio la metafisica di Kubrik che non ha molto significato nonostante il grande impatto emotivo del film.
    “miliardi di anni, di milioni di anni luce” sono invece concetti molto importanti. Un tempo, sulla base della cronologia biblica, si stimava l’età della terra in 4000 anni. La scienza ha dimostrato che invece è di 4,5 miliardi di anni e che quella dell’universo è di circa 13,8 miliardi di anni e che c’è una connessione fra queste date: il big bang, l’evoluzione stellare, le leggi della fisica. Le sembra poco? E le sembra che ci sia in questo un basso fine di lucro?
    Sul DNA ho letto il bellissimo e onesto resoconto di Watson “La doppia elica trent’anni dopo”. Anche qui che c’è di strano? La scienza è un’attività umana intrisa di emozionalità e di “difetti” tipici della natura umana. Paradossalmente però le emozioni e i “difetti” (desiderio di far carriera, di conquistare una bella ragazza, di arrivare primo) forniscono ulteriori motivazioni ad ottenere grandi risultati. Ma la scoperta in sé del DNA è un meraviglioso risultato di una scienza pura perseguita ai fini di capire in che consiste la vita (What is life-Erwin Schrödinger-1944).
    Sulle basi biologiche del concetto di razza è sicuro che non esistono? Solo perché lo dice Cavalli-Sforza? E se le dicessi che il metodo da egli utilizzato può essere fallace come alcuni sostengono? Ci sono differenze razziali evidenti ma non ci sono spiegazioni alternative convincenti di questo fatto se si sta alla teoria di Cavalli-Sforza per cui i genomi da egli utilizzati non hanno rivelato alcuna differenza. E se non avesse usato quelli giusti? E se la sua metodologia non fosse sufficientemente sensibile? La scienza è anche questo. Ha l’obbligo di porsi domande scomode senza soggiacere a ideologie di nessun tipo e senza tema di essere accusata di pensieri proibiti. La scienza deve essere totalmente libera di indagare qualsiasi cosa.
    Ho già detto nel mio precedente intervento che gli scienziati partecipano alla vita delle comunità in cui vivono come tutti gli altri, non sono esseri speciali né si sentono speciali.
    Sulle idee di Pietro Redondi su Galileo non posso dire nulla visto che non l’ho letto. Per quel che ne so però la condanna fu inflitta per la sua aderenza al sistema Copernicano.
    Gli scienziati attuali sono figli di Galileo e le assicuro che condividono con lui l’interesse per “la dialettica fra i due Libri”.
     

  5. Per Marini.
    "Sono pronto a parlare di ciò con qualunque giovane precario o disoccupato.
    Equivale a un sano sberlone per tornare con i piedi per terra."
    Però lo faccia davvero e poi mi dica.

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