disavventure sanitarie
Ho rinunciato da tempo alla grande politica e me ne occupo solo a partire dalle cose concrete, quelle in cui si hanno dei riscontri diretti di quanto si afferma o si propone, quella che non si fa a colpi di convegni o di studi di fattbilità Per via di una repentina trombosi alla gamba destra mi sono imbattuto in una serie di piccole avventure sanitarie che vi voglio raccontare.
La prima parte riguarda la gestione della medicina specialistica, quella parte della medicina di secondo livello che è stata eccessivamente pompata a danno della medicina di base. Prima di prendere qualunque decisione in ambito diagnostico o terapeutico bisogna aver fatto l'esame e così, a fianco di ogni ospedale pubblico o privato, sono nati gli ambulatori della medicina specialistica distinti dai reparti.
Gli ambulatori sono quasi sempre collocati in lunghi corridoi, di solito nei sotterranei, in cui tante persone vanno e vengono, in cui nessuno sa niente e dunque è inutile domandare, in cui gli specialisti arrivano costantemente in ritardo perché hanno avuto qualcos'altro da fare in reparto, in cui ci sono sedie di risulta o scomodissime panchine sulle quali il paziente, che non deve essere impaziente, attende attende attende. Deve rimanere anche con le orecchie ritte perché non sa da quale delle tre o quattro porte sbucherà una infermiera a dire un nome e se lui non sente il suo turno salta.
Con la necessità di ridurre i tempi di degenza dopo gli interventi chirurgici, gli ambulatori sono anche diventati il luogo di controllo a tre giorni e a sette giorni dopo l'intervento (stato della ferita, medicazione, eliminazione dei punti esterni). Mi è capitato di essere visitato direttamente dagli infermieri e ho dovuto insistere per poter vedere il chirurgo a cui volevo esternare delle incongruenze nel decorso post operatorio di un intervento di recidiva di ernia inguinale che poi si sono rivelate tali. Avevano reciso qualche vaso di troppo e così e così adesso i miei due gemelli tipici della condizione maschile (l'Ernesto e l'Evaristo) sono asimmetrici. L'Ernesto è grande come un nocciolo di ciliegia mentre l'Evaristo sembra una albicocca. Qualcun altro sarebbe partito con una richiesta di risarcimento, ma non è nel mio stile.
l'avventura al CUP
Inutile cercare in rete le fotografie degli ambulatori sotterranei, troverete solo foto di politici e dirigenti che tagliano i nastri quando arrivano nuovi macchinari, la realtà quotidiana è brutta e non si mostra. Questi ambulatori con la nascita degli ospedali di territorio si sono duplicati, al loro fianco sono sorti quelli presso le ASL e così, sin dalla fine degli anni 70, sono nati i CUP centri unici di prenotazione. Il software per gestire i CUP è stato uno degli ultimi lavori che ho fatto quando mi occupavo di informatica sanitaria intorno al 90/91.
Lo scopo era duplice: ottimizzare l'offerta in ambito specialistico per superare gli eccessi di duplicazione, in particolare negli ambiti super specialistici, dare al cittadino-paziente la possibilità di prenotare le prestazioni senza impazzire nella rincorsa delle diverse sedi possibili: due obiettivi encomiabili.
Se vivessimo in un mondo trasparente, in un mondo in cui le prestazioni erogate sono visibili pubblicamente non ci sarebbero problemi perché il cittadino scrive da qualche parte sulla rete quello di cui ha bisogno e gli vengono visualizzate le diverse possibilità in termini di luoghi e di date a seconda del grado di urgenza indicato sulla ricetta e che sarà stato stabilito dal medico di base firmatario della richiesta di prestazione. Sarà il cittadino a scegliere, in base a diverse possibilità e, se il cittadino non lo sa fare da solo, andrà in farmacia oppure lo farà il medico di base in sua presenza.
In un mondo basato sulla competizione tra pubblico e privato, la presenza di strutture private convenzionate dovrebbe essere un elemento che migliora l'offerta e che induce il settore pubblico a competere sui fronti della accoglienza, della qualità scientifica del servizio offerto, della qualità relazionale del medesimo, della efficienza, della comodità di accesso ai referti, della comodità nel pagare i ticket quando dovuti.
In un sistema del genere sarebbero abolite le signorine del telefono quelle con cui sei costretto a interfacciarti e che hanno lo stesso livello di autonomia di una macchina, ovvero autonomia pari a zero. Invece sei costretto a fare un numero di telefono, ad attendere dai 15 ai 20 minuti per non perdere la priorità acquisita mentre in sottofondo ti vengono raccontate dalle 10 alle 15 volte di fila le medesime informazioni circa la modalità di disdetta, la penale in caso in cui non ci si presenti e così via.
Il CUP qui a Siena è organizzato su base provinciale nonostante l'ASL sia stata recentemente unificata su un area molto più vasta che raggruppa tre province: quella di Arezzo, quella di Grosseto e quella di Siena. Si tratta di tre province a bassa densità abitativa, con un territorio molto vasto e che confina con altre regioni come la Romagna, l'Umbria e il Lazio. Nonostante ciò, quello che fa fede per il CUP è però la provincia e dunque, in questo sistema super irrazionale, se ti capita di risiedere al confine tra due province o addirittura su un confine regionale mal teneincolga, come è accaduto anche nei tempi delle misure di distanziamento sociale particolarmente rigide quando dovevi fare 20 km per andare in farmacia perché quella più vicina a 3 km era fuori comune o addirittura fuori regione (e una mia amica troppo razionale si è beccata 400 euro di multa).
Devi prenotare una prestazione (magari urgente) come è accaduto a me. Chiami il CUP, aspetti i canonici 20 minuti e finalmente cessa la musica e senti un buongiorno mi dica. Dai tutte le tue informazioni e dall'altra parte ti viene fatta una proposta di data e luogo. Il mio esame riguarda una patologia in fase acuta per cui la prima norma sarebbe il riposo assoluto ma, per rispettare l'urgenza, ti viene proposto di recarti, nella stessa giornata, in un ospedale che si trova a 85 km da casa tua.
Lo fai presente, spieghi dove abiti e che in un raggio di una quarantina di chilometri (non 4 km, lo dico per i lombardi) ci sono altre strutture specialistiche ospedaliere sia in ambito provinciale sia fuori dall'ambito provinciale, ma la risposta della signorina dotata di autonomia pari a zero è Prendere o lasciare. Non sono ammesse soluzioni alternative, se prendi, prendi mentre, se lasci, la tua decisione sarà comunicata a un ente superiore del quale non potrai conoscere nemmeno il numero di telefono perché saranno loro, se lo riterranno opportuno a richiamarti (e sino ad ora non lo hanno fatto).
Non ci vuole una grande intelligenza per capire, anche da quello che segue, che c'è un problema di interfaccia tra struttura e utenza. L'interfaccia, termine che viene dalla elettronica digitale, altro non è che la porta di comunicazione tra chi sta dentro e chi sta fuori ed ha la stessa importanza del dentro perché se comunichi male, se organizzi male, sprechi denaro e risorse e dai un pessimo servizio.
l'avventura al Pronto Soccorso
Nello stesso giorno in cui sono stato svillaneggiato dal CUP sono stato invitato da più parti (ognuno ha i suoi amici) a recarmi direttamente in pronto soccorso. Ma quella mattina tra trasferimento per andare dal medico di base (a 30 km mica dietro casa), accesso alla farmacia per ritirare i medicinali di primo intervento legati alla terapia, ritorno a casa telefonate al CUP, ricerca di qualcuno che mi potesse accompagnare si sono fatte le 13:30 e così sono arrivato al pronto soccorso di Siena intorno alle 14:15 con la mia bella impegnativa che richiedeva un eco color doppler agli arti inferiori con codice di priorità massimo.
Lì ho scoperto due cose:
- la prima è che per l'eco color doppler, a detta del Pronto Soccorso, non è prevista la prestazione urgente e mi sono detto: ma come mai sulla mia ricetta è barrata la massima urgenza, come mai il CUP mi ha chiesto il codice di urgenza?
- la seconda è che presso l'ospedale di Siena questo esame si fa nel reparto di flebologia il lunedì entro le 13 e il venerdì mattina ma che, per accedere, è necessario il passaggio attraverso il pronto soccorso
Prima domanda: a cosa serve il CUP? Seconda domanda: perché tutte le politiche sanitarie insistono per invitare i cittadini a non intasare i pronti i pronto soccorsi se puoi quando hai un problema l'unico modo per risolverlo è andare in pronto soccorso?
Visto che la mia sintomatologia era comparsa il venerdì pomeriggio avrei probabilmente potuto andarci sia sabato sia domenica e non l'ho fatto perché agisco in base al principio che il tuo l'interlocutore corretto è il medico di base. Così tra ghiaccio, calza elastica e gel anti-infiammatorio ho atteso il lunedì mattina e sono andato dal mio medico, che c'era e si sbatteva a fare il medico, l'infermiere, l'addetto alle pulizie e alla sanificazione tra un paziente e il successivo.
Dopodiché: è vero che i pronto soccorsi sono intasati di richieste tra le più bizzarre, che le infermiere addette al triage tutte le mattine debbono farsi delle grandi bevute di camomilla ed esercizi di training autogeno perché nei pronti soccorsi se ne vedono di tutti i colori. Ecco qualcosa che ho visto nelle quasi tre ore in cui attendevo il mio referto:
- un signore che si presenta e dice di avere un dolore alla spalla che persiste da sei mesi (da sei mesi non da stamattina)
- un signore che cerca la tessera sanitaria della suocera che si era presentata due giorni prima e che non si trova più,
- una signora abbastanza giovane e notevolmente obesa con problemi misti di tipo dermatologico e vascolare che ha difficoltà a camminare. A guardarla si trova in quello stato da almeno quattrro mesi; avrebbe bisogno di un ricovero in una struttura specialistica di quelli prolungati oltre che di un profondo cambiamento negli stili di vita, ma chiede aiuto al proimto soccorso
- un signore si presenta, imbeccato da un reparto, dicendo di far verificare al pronto soccorso se ci sono le condizioni che consentano di spedirlo in reparto dove verrà ricoverato
Insomma, con linguaggio un po' milanese, il Pronto Soccorso assomiglia alla fiera degli Obei Obei.
Alla visita scopri che, come aveva già premesso l'infermiera del triage, di fare l'esame oggi non se ne parla, perché bisognava arrivare entro le 13, ti cambiano la terapia e ti dicono che il foglio di dimissione vale come ricetta. Sì, vale come ricetta, ma vale come una ricetta bianca, ovvero tu vai in farmacia e dovresti pagare i tuoi €140 di farmaci perché nessuno ha prodotto la ricetta elettronica che avrebbero potuto fare e allegare al foglio di dimissione.
Ho chiamato con Whatsapp il mio medico di base, gli ho madato il referto e lui mi ha mandato la ricetta elettronica nel giro di un minuto con un sms (sempre a proposito di interfacce che funzionano).
Per fortuna ce l'ho fatta ad acquisire i nuovi farmaci e, il giorno dopo, essendo passato dal PS, ho potuto finalmente prenotare l'esame, non al CUP ma direttamente in reparto, e il Doppler lo farò domani (risposta al quarto squillo, personale gentilissimo, sempre a proposito di interfacce).
la medicina di territorio
Prendendo spunto dalla ricetta elettronica del medico di base vengo alle cose che funzionano. a che potrebbero funzionare meglio. La recente pandemia e tutto quanto è avvenuto in Lombardia, in particolare in provincia di Bergamo, ci ha fatto vedere che l'aver continuato a spingere sulla medicina specialistica trasformando i medici di base in piccoli burocrati incaricati di compilare le ricette, è stata la più grande stupidaggine fatta dal nostro sistema sanitario nazionale.
Si è spinto per fare in modo che esistesse l'ambulatorio medico praticamente dovunque e che, nelle province a bassa densità di popolazione, uno stesso medico venisse ad operare su 7, 8 o anche 10 postazioni di erogazione del servizio (naturalmente una o due volte la settimana).
Sono ambulatori che si possono chiamare tali solo se in precedenza si è fumato una canna, niente armadio dei medicinali, nessuna strumentazione nemmeno quelle per gli interventi di primo livello, un lettino visite dove di solito si appoggiano le borse.
Quando ero bambino si andava di rado dal dottore ma quando ci si andava ti visitava (cavo orale, polmoni, pressione, postura,…), discuteva della terapia, ci aggiungeva qualche farmaco gratis proveniente dagli avanzi dei pazienti o dai saggi prova delle aziende farmaceutiche. Se qualche anziano aveva problemi di prostata gli ficcava il dito nel culo senza bisogno di mandarlo a scatola chiusa dall'urologo, se c'era bisogno faceva l'elettrocardiogramma, se c'era una piccola cisti sebacea o un'unghia incarnita interveniva e se c'erano lievi ferite da suturare le suturava.
La deresponsabilizzazione del medico di base è giunta al punto che persino la proposta di effettuazione di molti esami complessi gli è stata tolta dalle mani (per evitare gli sprechi !): ti deve mandare dallo specialista (passo 1) che, se lo riterrà opportuno, farà la richiesta (passo 2 e ticket) cui seguirà l'esame (passo 3 e altro ticket). Lo specialista non ti conosce, ti parla per 5 minuti, ma ne sa certamente di più del tuo medico che ti conosce da 20 anni !
Durante la pandemia i medici di base, per mancanza di coordinamento e di DPI, non potevano fare quasi nulla e i Covid positivi o sospetti tali, ancora in grado di respirare , venivano lasciati a casa da soli in attesa del peggioramento, mentre il tuo medico, quello in grado di fare la valutazione di insieme, lo potevi sentire solo per telefono.
Chiudo con due proposte:
- per la medicina specialistica occorre fare in modo che i direttori generali, i super-manager non si occupino solamente dei risparmi, dei bilanci da far quadrare, dei servizi e delle strutture da fondere, dei tagli per ottimizzare, ma si occupino di più di democrazia nella erogazione dei servizi, creino degli uffici in grado di intervenire tempestivamente sulle storture (non mi interessano le class action ma la soddisfazione degli utenti), di servizi a garanzia della qualità.
Uno stimolo importante può venire dalla apertura maggiore ai privati convenzionati. Basta visitare un centro prelievi ospedaliero e un centro privato per osservare la differenza nel rapporto con i clienti: pazienti molto pazienti nel primo caso, utenti da conservare nel secondo. Grandi sale d'attesa con oltre duecento persone in attesa delle chiamate più diverse, servizi igienici nello stato che potete immaginare nel primo caso, pulizia, poltroncine e aria condizionata nel secondo.
- la medicina specialistica deve puntare alla superspecializzazione con strutture di eccellenza e tutto il resto (o quasi tutto) va trasferito alla medicina del territorio. Tra i medici degli animali (i veterinari) questa è già la norma. Gli ambulatori veterinari hanno mini sale operatorie, raggi X, ecografi, endoscopi, monitor, anestesia gassosa, macchina per gli esami ematochimici di routine e con quello fanno un mix di medicina di base e specialistica di primo livello. Per le cose ad alta specializzaziione si rivolgono a strutture mono-specialistiche (ortopedia, oculistica, endoscopia chirurgica, …). Perché non si trasferisce un modello simile basato su pool di medici di base alla medicina umana? Si avrebbe risparmio di costi, crescita della professionalità e miglior rapporto con l'utenza.
Due righe per spiegare l'immagine con l'assessore regionale alla Sanità Saccardi e il Presidente della III commissione (sanità) Scaramelli. Erano della componente riformista del PD e sono passati (tra i pochi ex renziani) ad Italia Viva. Mi aspetterei da loro e dall'intero PD un po' più di attenzione ai temi della innovazione tecnico-tecnologica e relazionale. Alle scorse regionali fecero il pieno di preferenze (lei a Firenze e lui a Siena). Non ho visto in questi quattro anni lo stesso dinamismo nella capacità di progettare il futuro. Hanno gestito, in nome della efficienza e dei risparmi la formazione delle mega ASL, ma perché l'efficienza si sposi con l'efficacia bisogna occuparsi di interfacce e di diritti dell'utenza. La speranza è l'ultima a morire.