non vedono l’ora – di Antonio J. Mariani

Persuaso come sono che, quando si attende, si scaricano le pile della motivazione e dell’energia, mi preoccupa il fatto che si stia passando da un lungo periodo di attesa (tra le quattro mura) ad un periodo d’aspettativa che potrebbe durare ancor più a lungo.

Per cui, dopo aver proposto alcune ipotesi per fare in modo che la qualità trovi il più possibile ospitalità nel nostro operare quotidiano, ora provo a fare qualche considerazione sul fatto che pare non si veda l’ora di ripristinare nelle città l’andazzo di prima.

Prendiamo Milano. Siamo sicuri che non ci sia di meglio che rivedere individui, che in pochi minuti si fanno gente, riversarsi in Alzaia Naviglio Grande? Davvero questa è una rappresentazione che concorre a far grande Milano?

Ci ho abitato sui Navigli: dall’abbaino vedevo Vicolo delle Lavandaie (già senza più lavandaie), da dove partiva una lunga sequenza di atelier di pittori. Ci si trasferiva lì per via degli affitti a basso prezzo e nelle osterie bastava aver davanti un bicchiere di anonimo frizzantino per stare lì l’intero pomeriggio a leggere Sartre o ad aspettare Godot.

Poi, alla sera ci si trasferiva al Jamaica in via Brera, dove, in un clima irripetibile, vedevi passarti davanti il fior fiore della cultura non solo nazionale. Tutto sotto gli occhi di mamma Lina e di suo figlio Elio (che raccolse i suggerimenti di Arrigo Cipriani e Gualtiero Marchesi per offrire il meglio del meglio a prezzi abbordabili).

Tra quelle piastrelle bianche, tra l’altro, c’era modo d’incontrare le modelle della vicina Accademia. E manco ci si rendeva conto di essere dentro la storia: il concerto dei Beatles al Vigorelli, quello dei Rolling Stones al Palalido, quello di Ray Charles al Piccolo e quello di Jimi Hendrix al Piper di viale Alemagna (da me mancato per un soffio quella sera del ’68). Milan l'è on gran Milan già da allora, fidatevi!

Ora in tanti si augurano l’assembramento di prima: un vero luna park. E così pure in città d’arte e borghi incantevoli di cui l’Italia è piena. Per non parlare di Venezia, dove Hugo Pratt farebbe fatica a far bighellonare Corto Maltese lungo le Calle per andare, tra n’ombra de vin, incontro all’improvvisazione.

Si è fatto di tutto perché dalle vie e dalle piazze venissero espulsi i residenti, gli artigiani e le molteplici attività tipiche, per sostituirli con pizzerie al taglio, birrerie e bistrot, che hanno fatto lievitare i valori immobiliari e snaturato totalmente il contesto. Ma, davvero vogliamo riandare nella direzione di tanti Disneyland sparse per la penisola? Lo spazio pubblico “è un’esigenza dell’anima” (diceva Simone Weil), nel quale le persone s’incontrano sentendosi cittadini e non solo consumatori.