una evoluzione – di Alvaro Ricotti

Ho letto con estremo interesse la storia di Claudio Cereda, anzi dovrei dire i capitoli che compongono la sua storia, dalla ditta di scarpe dei suoi alla speranza che il corona virus ci faccia riflettere sul nostro passato.

Una cosa devo dire innanzitutto, è che lo ringrazio, lo ringrazio di avermi trasmesso quella strana felicità prodotta dalla nostalgia. Lo ringrazio di avermi dato la possibilità, attraverso il suo racconto, di ripercorrere con ordine cronologico il mio passato, la mia storia, che sfasata di qualche anno mostra molte analogie con la sua.

Sono del cinquanta e la mia infanzia lo passata spesso a casa dei nonni, il mio era ciabattino e lavorava in casa, gli attrezzi, le forme gli odori di cui racconta me li sono visti ripassare davanti agli occhi della memoria che si sono riaperti alla lettura delle sue parole.

Mi sono diplomato al Molinari, lì ho conosciuto molti amici che abbiamo in comune, e da lì è iniziata la mia adesione a quell’organizzazione di cui lui è stato un dirigente di tutto rispetto. Io, invece sono sempre rimasto, per mia volontà,  un semplice militante di base.

A ventidue anni avevo già una figlia e tra lo studio all’università e il lavoro non potevo  assumermi incarichi anche incarichi politici. Ma nel suo racconto mi sono avvicinato alla comprensione della disintegrazione di AO e della sinistra rivoluzionaria in generale.

Lui l’hai vissuta dall’interno e hai potuto cogliere quelle dinamiche di scontri politici e personali  che a noi militanti di base erano precluse alla conoscenza e lasciate solamente all’intuizione. Pensate, che nel  gennaio del ’76, dopo averlo rimandato il più possibile, sono partito per il servizio militare nonostante avessi una figlia di quasi quattro anni e per questo avrei potuto chiedere di essere esonerato.

Mi dicevo che un militante rivoluzionario non poteva sottrarsi in un momento così delicato di fare lavoro politico e di controllo all’interno delle forze armate. All’epoca si viveva come se la rivoluzione potesse scoppiare da un giorno all’altro così pure come tentativi eversivi golpisti. Poi tutto ciò, per fortuna non si è avverato ed è andato come è andato.

Senza alcun riferimento, senza indicazioni, nella mia solitudine mi sono lanciato nel lavoro e, lasciato l’insegnamento in una scuola professionale, mi sono lanciato nella libera imprenditoria. Producevo in un capannone a Rozzano componenti per altoparlanti, dai coni in cellulosa agli avvolgimenti da inserire nei magneti ai così detti centratori … è durata poco, solo cinque o sei anni.

Nell’ 83 ho fondato con mio cugino un’agenzia di fotogiornalismo “Fotogramma” che lavora tutt’ora. Ma il tarlo del perché non mi ha mai abbandonato, perché era successo quello che era successo, quali le cause? L’errore era stato nella prassi, nell’interpretazione della realtà storica o conflitti personalistici?

Avendo una cultura di base di tipo scientifico ho cercato nella storia della scienza del ‘900 le risposte e mi sono avvicinato a testi e ad autori che avevo solo sentito nominare. Il Circolo di Vienna, prima e il Circolo di Berlino dopo, con i suoi protagonisti, le loro storie, mi hanno disvelato un mondo, anzi un modo di guardare il mondo. Nel racconto di Cereda, in quello che ho percepito come un’ansia alla comprensione delle cose, mi ci sono ritrovato. Non al suo livello; mi mancano le basi matematiche e scientifiche sufficienti, ma negli aspetti generali, diciamo più filosofici, di metodo più che di sostanza, ho percorso la sua stessa strada.

E così sono andato alla ricerca prevalentemente di vecchi testi di Carnap, come ‘I fondamenti filosofici della fisica’ o ‘La filosofia della scienza’, di Schlick come ‘L’essenza della verità secondo la logica moderna’, di Reichenbach con ‘La nascita della filosofia scientifica’.

Poi dato che da un autore si rimanda ad un altro fino ad arrivare da una parte a Poicarè con ‘La scienza e l’ipotesi’ e ‘Il valore della scienza’ e dall’altra a Schrodinger con ‘L’immagine del mondo’ e Monod con il suo ‘Il caso e la necessità’ o Feynman con ‘Il senso delle cose’ e ‘Qed’ e molti altri come Geymonat e Preti. Queste letture fatte per passione e per non rimbambire davanti alla tv mi hanno aiutato a ripercorrere l’evoluzione del pensiero marxiano e marxista, storicizzarla  e considerare quanto poco scientifici siamo stati noi negli anni ’70, ma anche quanto poco scientifici lo furono, nell’ elaborazione teorica, le generazioni che al pensiero di Marx si rifacevano e ci hanno preceduto sin dai primi del ‘900.

Arrivo fino a pensare che dal punto di vista scientifico sia molto carente anche tutto l’elaborato teorico del pensiero marxiano. Mi sembra che un certo ripensamento, in questo senso, Cereda lo abbia percorso; l’ho notato in certe considerazioni che, ripensando alle vicende che politicamente lo hanno coinvolto, ha esplicitato citando alcuni passi critici tratti dai Quaderni di Gramsci.

E’ questo che gli chiedo, essendo un uomo dalle notevoli capacità intellettuali: perchè non ha approfondito le cause dirette, non solo le contingenze storiche, del fallimento della visione rivoluzionaria della nostra generazione?

Non solo nella prassi, ma, a parer mio, nei limiti ideologici stava la miseria politica di quelli che come noi si chiamano sessantottini. Io non ho nè le capacità culturali nè linguistiche, ma lui, esperto giornalista e studioso, ha tutto per poterlo fare. Un saluto affettuoso, tra una caseoula una frittata di zucchine, pensi a chi ha bisogno ancora della sua intelligenza. 

Mi rendo conto che queste mie ultime parole potrebbero sembrare una presa per il culo, ma è esattamente quello che penso e non ho trovato altri termini per esprimerlo.


In origine, questo non era un articolo, ma una lettera rivolta direttamente a me e a cui ho risposto come segue. Di comune accordo abbiamo deciso di inserirla tra i contributi di chi ricorda gli anni dal 68 alla fine degli anni 70. I riferimenti alla mia autobiografia riguardano i capitoli 2 (il calzaturificio), 11 (l'UNiversità e la scienza), 12 (volevamo cambiare il mondo), 15 (il quotidiano), 16 (la parabola di AO), 17 (la scienza e la sua filosofia). (Claudio Cereda)


la mia risposta

Caro Alvaro non ci conosciamo direttamente, ma mi ha fatto un immenso piacere scoprire una persona che ha fatto un percorso, in particolare sul versante culturale, molto simile al mio. Rispetto alla tua vita la principale differenza è che non ho provato a fare l'imprenditore. Sono sempre stato un pessimo imprenditore di me stesso, figuriamoci quali sfracelli avrei fatto con il mercato. In questo assomiglio a mio padre la cui storia apre la mia autobiografia.

È difficile rispondere alla domanda che fai alla fine, anche perché la mia formazione di partenza da ITIS fa sì che io sia una persona estremamente pratica e abituata a non farla tanto lunga sulle cose.

Quando dopo le elezioni del 76 ho incominciato a interrogarmi sulle ragioni per cui era andata in quel modo mi sono accorto che aldilà del grande volontarismo che ci animava eravamo portatori di una visione estremamente semplificata e rozza della realtà italiana e per di più in quel momento mi sono accorto di quanto i nostri gruppi dirigenti fossero schiavi di miserie personali e di ideologia. 

Ho dato un colpo netto, ho rinunciato al giornaslismo e ho scelto di fare altro conservando la passione genuina per la politica nel senso nobile del termine, ma mi sono occupato di educazione alla razionalità come ti renderai conto leggendo gli articoli della mia biografia che riguardano la scuola e che sono quattro.