Eroi un c***o (corno) – di Giovanni Gallo
Il 21 febbraio a Codogno ci fu il primo caso di Corona-Virus accertato. E a Vimercate che succedeva?
Polmoniti strane iniziavano ad arrivare, principalmente di persone giovani di venti e trent’anni. Il primo allarme fu per una donna che arrivava in Pronto Soccorso per tutt’altro motivo e venne ricoverata in reparto intensivo, dicendo, cosi ridendo, che suo figlio era stato in Cina.
Apriti cielo! Il mondo iniziò a capovolgersi completamente. Si ascoltavano i telegiornali che ridicolizzavano quasi il Virus, mentre in ospedale le cose iniziavano a farsi serie. Principalmente per gli operatori sanitari che non avevano DPI (dispositivi di protezione individuale) a disposizione, se non le mascherine, e non sapevano come comportarsi.
La protezione civile iniziava a dettare numeri su morti e ricoverati e si capiva che qualcosa non quadrava nel sentire i professori in televisione che tranquillizzavano la gente. Attualmente vengono dati numeri in Lombardia elevati, ma, nella realtà del Vimercatese i malati positivi sono molto pochi.
In tutto ciò qualcosa non tornava. Era una cosa grave? Era una pandemia? Bisognava stare attenti alle persone che avevamo di fianco? Come dovevamo proteggerci in ospedale? Come si curava la malattia? Le domande erano milioni. Le paure altrettanto.
Io e mia moglie siamo infermieri, abbiamo preso subito una decisione drastica. Affidare nostra figlia di 3 anni ai nonni per evitare che potesse fare da vettore e fargli passare brutti momenti. Ci dedichiamo completamente al lavoro, turni su turni, vedendoci ben poco.
A inizio marzo le difficoltà respiratorie iniziavano ad essere tantissime, tanto che abbiamo dovuto riorganizzare completamente tutto il Pronto Soccorso, posizionando una tenda Pre-Triage per fare filtro e destinare tutti gli spazi interni per i soli malati COVID. Ora sapevamo a cosa stavamo andando incontro: all’inizio della pandemia. Le tende per ospitare i malati bisognosi di ricovero ed ossigenoterapia si sono quadruplicate.
Nelle sale interne del pronto soccorso avevamo fino a 25 caschi scafandri CPAP operativi che, fischiando a più non posso, fornivano più ossigeno possibile alle persone per migliorare i parametri del respiro, perché di curare il Virus non c’era verso: ti entrava fino alle profondità del polmone. Si poteva solo supportare i polmoni con ventilazioni non invasive cercando di sostenere l’organismo che doveva combattere questo dannato Virus.
E i dati cosa dicevano? Due cose da far accapponare la pelle: La mortalità dei pazienti in Rianimazione, i malati che venivano ventilati in modo invasivo, andava dal 30% al 70% e l’età media che colpiva malamente era 57 anni.
Esiste nella storia della medicina qualcosa di così pericoloso? No. Questo è quello che abbiamo affrontato. In prima linea. Rischiando il contagio giornalmente, assistendo a scene drammatiche quotidianamente. Il flusso di gente che veniva a Vimercate dovete immaginarlo disegnando un cerchio con al centro Trezzo sull'Adda, arrivando come raggio a Ponte San Pietro, Dalmine, Caravaggio.
Qualcuno nel dramma che vivevamo mi ha detto: “se hai scelto questo lavoro hai grosse possibilità di lasciarci la vita”. Come per un poliziotto, che rischia la vita nell’esercizio della sua professione. Ho riflettuto molto su questa cosa nelle mie sere e notti tempestose a casa.
Quando ho deciso di fare l’infermiere non avrei mai immaginato di essere testimone di una tragedia mondiale. Non era possibile questo. Il conforto di mia moglie è stato fondamentale. Bisogna non essere soli, mai. Bisognava reagire, alzare la testa per affrontare la situazione, non per dare la vita per il mio lavoro, ma per vivere la mia vita con la consapevolezza di quello che stavo vivendo e avevo davanti.
La mia vita è stata completamente stravolta da questo avvenimento. Decisioni che prima avevano un peso pazzesco ora sono tutte in secondo, terzo piano.
Ho visto miei colleghi donare l’anima per quello che stavano facendo. Usando però le dovute precauzioni e dispositivi consegnateci da un capo che è stato sempre in prima linea insieme a noi.
Non allo sbaraglio, “donando la propria vita per la pandemia”, ma con la testa e a volte con il cuore. Ho visto gente dare tutto, proprio tutto, rimanendo delle volte come ultime persone ad assistere all’ultimo respiro di chiunque non riusciva a reagire contro questo dannato VIRUS.
Con orgoglio usciamo da questo momento, tutti con drammi psicologici alle spalle, non come eroi ma come professionisti che meritano il dovuto rispetto. Gli eroi sono e saranno tutte quelle persone che erano lontane dai loro cari e non riuscivano a reagire alla malattia.
Come non ringraziare la Curva Davide Pieri di Monza che per tutto marzo ha consegnato pranzo e cena per tutti noi, per rendere il fine turno un momento di svago e ritrovo con i colleghi dopo una giornata pesantissima. La Solidarietà cosiddetta non dovuta, ma donata da chi meno te lo aspetti, dagli Ultras “Brutti e Cattivi”.
Ora forse si respira…almeno nella mia realtà, a Vimercate, sembra andare tutto per il meglio…Ora abbiamo mezzi a disposizione per combatterlo.
Speriamo che sia servita come lezione anche allo Stato per aiutare un Sistema Sanitario bisognoso più che mai di personale sanitario e presidi idonei…