competenze, astrazione, cultura tecnica e scientifica
Con la riforma del sistema di istruzione alcune grandi questioni sul core business della istruzione tecnica e di quella liceale meritano di essere affrontate in maniera aperta.
Intendo farlo con spirito di servizio a favore di entrambi i sistemi evidenziando valori e limiti di entrambe perché il liceo ha bisogno di piegarsi alla cultura del saper fare e l’istituto tecnico, se non vuole morire di obsolescenza precoce, deve ritrovare nella scienza, nella riflessione sui linguaggi e nella storia delle fondamenta per gettare in modo solido le basi del suo saper fare.Non è una operazione semplice: sostengo che il difetto stia largamente nella cultura del corpo docente (della media e della superiore) che per primo non è convinto della pari dignità dei due sistemi ed è poco propenso a lasciarsi contaminare. Poiché ho studiato all’ITIS, ho insegnato quasi tutta la vita nei licei e sono tornato all’ITIS a fare il DS, ritengo di avere sistematizzato qualche porzione di verità di tipo esperienziale.
tempo scuola, studio domestico e ricerca
Il tempo scuola va ridotto. Secondo me 30 ore settimanali sono ancora troppe per la scuola secondaria superiore e, dovendo arrivare a 30-32, mi piacerebbe che fossero di più le ore del biennio (dove c’è ancora un ruolo importante del docente che ti deve insegnare a studiare) rispetto a quelle del triennio dove mi piacerebbe che i docenti fossero maestri di suggestioni, di bibliografie, dei tutor di processi di ricerca.
O la scuola riesce a far amare il gusto di studiare (maneggiare libri, scrivere relazioni, usare la rete come strumento di ricerca, usare le mani insieme alla testa) o fallisce. Quasi tutte queste cose, secondo me si devono fare principalmente a casa propria, o magari anche a scuola per sfruttarne gli impianti e le strutture, ma al di fuori delle ore di lezione. Da questo punto di vista c’è un aspetto della cultura fondativa del liceo classico che andrebbe trasportata in tutta la scuola superiore. Riabituarsi a pensare: questo è il punto.
Dunque 5 ore di mattina per 6 giorni sono tante (troppe). Però mi piacerebbe una scuola con un ritorno pomeridiano da dedicare ad attività esclusivamente di ricerca-approfondimento; una scuola meno vincolata alle classi e all’orario in cui una quota dell’organico sia a disposizione degli studenti e della loro attività progettuale, con una incidenza oraria via via crescente, sino ad occupare la metà del tempo scuola nell’ultimo anno.
Nei tecnici ci sarà più attività da svolgere direttamente in laboratorio, nei licei più attività legata allo scrivere ma ci devono essere libertà e autoprogettazione.
il biennio
Nel biennio c’è un’area comune che, lo si voglia o no, viene gestita in maniera abbastanza diversa tra tecnici e liceali. C’è una diversità in quello che concretamente si insegna, c’è una diversità nel livello della richiesta, c’è una diversità negli obiettivi che si ripercuote poi negli strumenti e nei criteri di valutazione.
Esemplifico con la questione degli stili comportamentali, degli aspetti di natura affettiva nei confronti dello studio e delle singole discipline, del metodo di studio e della personalizzazione degli obiettivi. Nei tecnici lavorare sugli stili comportamentali è la norma e si diventa di bocca buona; nel liceo si è più inflessibili (o ti pieghi o ti spezzo).
Quando insegnavo al Liceo ero strabiliato dalla quantità di compiti (spesso ripetitivi) che vedevo assegnare dai colleghi (anche di area scientifica, ma soprattutto di Lettere e Inglese). I miei studenti all’inizio credevano che il professor Cereda non dà i compiti per domani, poi pian piano comprendevano che il compito era lavorare su quanto si era fatto in classe (rivedere, approfondire, giocare, sfidarsi, …). Poi sono arrivato all’ITIS e sono rimasto strabiliato nello scoprire (intervistando i bravissimi) che è normale e generalizzato il non studiare.
Bisogna rompere questa spirale infernale che produce due effetti:
- in ambito liceale spreca risorse perché espelle da 4 a 6 studenti per classe; non li si motiva, la pedagogia della costrizione non funziona e si finisce affermando che hanno sbagliato scuola; il che è forse vero per 1 di quei 6, ma per gli altri 5 è la scuola ad aver fallito eppure si pensa che vada bene così
- in ambito tecnico crea di anno in anno le nomee sulle scuole che girano tra gli studenti e che costituiscono poi le vere motivazioni alle scelte: vado lì perché non c’è da studiare, vado lì perché la scuola è comoda, …Il biennio si trasforma in parcheggio per l’assolvimento dell’obbligo e nel triennio si deve ricominciare perché le conoscenze e competenze basilari e propedeutiche spesso non ci sono.
il triennio
Il nuovo Liceo Scientifico nelle due opzioni (con e senza latino) muove qualche passo significativo nella direzione della modernità e personalmente penso che sarebbe stato più corretto attivare due opzioni entrambe senza latino (con più scienza o con una seconda lingua comunitaria). Lasciatemelo dire papale papale: non è vero che senza latino non c’è cultura; non è vero che senza il latino non si impara a strutturare la conoscenza; non è vero che senza il latino non si hanno radici.
E’ stata fatta una scelta di tipo nominalistico (scienze applicate) pensando che con un nome si potesse risolvere il doppio problema del destino delle due sperimentazioni Brocca (negli ITI) e PNI (nei licei) e quello del rapporto con la Istruzione Tecnica.
Soluzione nominalistica perché le scienze applicate sono cose come la teoria dei sistemi, le biotecnologie, le nanonotecnologie, la fisica del plasma, la bioingegneria, … e di queste cose, come è ovvio, non si tratta al liceo. La vera scelta fatta è stata quella di dare un maggior peso alle scienze biologiche (e alla chimica per effetto trascinamento) riconoscendo che la biologia oggi gioca il ruolo che nella prima metà del 900 fu della fisica.
E’ una scelta importante che spero non si immiserisca nei compromessi legati alla costituzione delle cattedre, che non diventi un insegnamento di aspetti specialistici della biochimica, che faccia fare un salto alla cultura dei nostri giovani in senso evoluzionistico.
La seconda scelta ha riguardato la eliminazione di ogni forma di compresenza nel momento in cui si parla di didattica laboratoriale. Era inevitabile per ragioni di bilancio e non significa necessariamente fine della pratica di laboratorio. Nella attivazione delle scienze applicate sono stati giustamente privilegiati gli ex licei scientifici tecnologici che stanno largamente negli ITI e dunque dispongono di laboratori e di Aiutanti Tecnici (e non necessariamente per le sole discipline scientifiche ma anche nel settore applicativo e tecnico).
teoria e pratica
In proposito ci sono due questioni aperte:
- bisogna capire che la sperimentazione scientifica è nemica della campanella e dunque se si vuole salvaguardare l’idea di un tempo scuola decente bisogna che la scuola educhi alla sperimentazione ma che essa si compia anche con tempi e modalità esterne al tempo scuola
- bisogna che il ministero accetti l’idea di reinvestire da subito una quota dei tagli in personale in una disponibilità all’organico funzionale dando i poteri di scelta-gestione ai dirigenti e responsabilizzandoli rispetto ai risultati. I tecnici del ministero che supportano il ministro sono attesi alla prova.
Per quanto riguarda i Tecnici dell’indirizzo tecnologico ben vengano la riduzione oraria da 36 a 32 ore, ben vengano i risparmi (non la eliminazione) sul terreno delle compresenze con una chiara indicazione a che gli ingegneri stiano di più a contatto con macchine ed impianti.
Mi auguro che ci si orienti, per quanto riguarda le classi di concorso, a quanto già fatto per i meccanici: una unica classe per 3 o 4 insegnamenti che garantisca una maggiore condivisione del progetto educativo, una maggiore interscambiabilità, la crescita di una cultura per competenze, che non può crescere se non si superano i compartimenti stagni delle discipline specialistiche.
gli investimenti e la alternanza
Last but not least il problema degli investimenti in impianti e attrezzature. Par di capire che non se ne parlerà più perché le vacche grasse sono morte tutte e ci sono rimasti Tremonti sul piano intellettuale e Ghedini su quello fisico.
E’ giusto che non se ne parli se non si dà autonomia amministrativa alle scuole (condizione per poter ragionare di risultati). Posso incominciare a vendere servizi e prodotti quando non c’è didattica? Posso pensare di far funzionare le macchine 36 ore la settimana per 280 giorni o devo rassegnarmi a macchine che pago agli stessi prezzi delle aziende (e alle medesime condizioni contrattuali) ma che poi funzionano 15-20 ore la settimana per 28-30 settimane?
Bisogna andare in sinergia con le imprese ma la sinergia non vuol dire che facciamo un po’ di alternanza scuola lavoro e il problema si risolve. Fare sistematicamente della alternanza è un grande risultato e mi auguro che si inizi a pensarla e praticarla su 4° e 5° anno quando, sarà anche faticosa ma, ha senso rispetto al progetto formativo e alle convenienze aziendali.
Le scuole saranno in grado di avere rapporti bilaterali con il mondo imprenditoriale (docenze che entrano e formazione e servizi che escono)? Il mondo delle imprese è fatto di gente pratica che ragiona su budget e convenienze in cui la lungimiranza si deve sposare con la convenienza.
la didattica per competenze
Chiudo ritornando ad un tema di carattere unitario tra i due sistemi liceale e tecnico: quello della didattica per competenze. Le mani e il cervello possono attivarsi nel percorso scolastico se si realizzano alcune condizioni legate al modo di fare scuola.
- si abbattono i compartimenti stagni e i docenti accettano di collaborare tra loro e farsi contaminare reciprocamente;
- si fa strada nella didattica l’idea di mettere al centro lo studente, il suo processo di apprendimento, la sua autonomia (passioni, inclinazioni, attitudini) e dunque si dà sempre meno peso al programma e sempre di più agli obiettivi;
- si incomincia a fare un uso sistematico delle nuove tecnologie non solo in chiave strumentale ma come nuovi modi di organizzare la conoscenza e il suo utilizzo;
- si incomincia a praticare qualche forma di flessibilità organizzativa nell’impianto della scuola.
Chissà quanto tempo ci vorrà a praticare l’idea morattiana dell’insegnamento in Inglese di una disciplina non linguistica? Chi decide? Chi lo fa? Quale graduatorie? Quali titoli? Quali corsi di aggiornamento? Con quale compresenza? E intanto il fiume scorre.