a proposito di Dannati della Terra – di Antonello Mennucci
Ieri ho scritto che le ultime vicende di Silvia Romano avevano creato dentro di me un po' di confusione. Oggi ci torno sopra, ma intanto si è fatto vivo un nuovo collaboratore Antonello Mennucci, noto a chi frequenta San Galgano (vedi biografia in coda al pezzo). Antonello la prende giustamente da lontano. (C.C)
Intanto non sono confuso e molte delle cose che citi dipendono dai punti di vista. Se la questione terrorismo la guardiamo da qui e, limitandoci all'oggi, non possiamo che provare repulsione, conservando l'immagine di stragi atroci, brutali e pure basate su metodi inumani e primitivi. Non dimentichiamoci che conserviamo ancora nel DNA il retaggio di guerre cavalleresche che, ammesso e non concesso che siano mai esistite, sono ormai estinte da tempo immemorabile (in realtà praticate quasi esclusivamente da minoranze elitarie).
Se invece ci spostassimo dall'altra parte non potremmo scrollarci di dosso il ruolo svolto per centinaia di anni dall'occidente, con campagne altrettanto orribili e brutali, costellate da episodi vergognosi, i cui esiti pesano ancora oggi e ancora oggi rinnovate. Il loro motore è sempre stato uno: lo sfruttamento. Dunque è facile comprendere che dall'altro lato della barricata i combattenti, gli insorgenti, per la precisione, siano visti come eroi per un riscatto al quale non resta altra opzione che la guerra. E quale guerra quando ci si oppone a eserciti dotati di superiorità indiscutibile? La possibilità, ancora da tempo immemorabile, è sola una. Da noi, quando la si vuole nobilitare, la si chiama guerriglia, fatta di colpi di mano, imboscate e attentati, sì attentati.
Nel caso specifico ci si è spinti oltre stabilendo una strategia che vuole terrorizzare il nemico tramite la così detta guerra psicologica concretizzata in uccisioni di particolare efferatezza. Orribile certamente, ma comprensibile quando i competitori sono militarmente superiori. Occorre, in questi casi, trovare anche un collante identitario che permetta di unire oltre le differenze contingenti, dotando combattenti e popolazione di una parvenza di superiorità culturale rispetto alla "civiltà" alla quale ci si oppone: niente di meglio della religione, che puntualmente e quale che sia, si presta a ogni genere di distorsione.
In questo frangente poi si presenta l'occidente come un mondo corrotto e decadente, fino nella morale e nei costumi individuali, a fronte di un Islam puro e dai costumi intatti e rispettosi, prima di tutto per quanto concerne le donne. Si descrive inoltre l'occidente come un mondo di vigliacchi imbelli, dediti più che altro a indegne gozzoviglie e dunque facile a sconfiggere da parte di popoli abituati a vita assai più dura e assuefatti a orrori prodotti non soltanto da loro.
Facile comprendere che una guerra combattuta prevalentemente in casa propria si decida di esportarla in casa degli altri, anche tra la popolazione civile, che ha sempre vissuto queste questioni in maniera distante e sostanzialmente indifferente.
Spesso però a fronte di ciò e della condivisione dell'orrore si ottiene un effetto di ritorno caratterizzato da odio crescente e da un senso di repulsione, cosa, quest'ultima, che provo anch'io anche in considerazione del DNA di cui sopra.
Nel caso specifico si aggiunge un'altra questione che si oppone immediatamente alla comprensione degli antefatti e alla conseguente compassione e simpatia che dovrebbe derivarne: la questione dell'alternativa proposta dagli sfruttati e oggi puri. Un'alternativa per noi inaccettabile, basata su un'arretratezza culturale da nol superata da tempo, che si porta dietro la questione femminile. Mi soffermo su questa.
Chi di noi sarebbe disposto a riportare la donna alla totale sottomissione e alla mortificazione delle proprie fattezze? Io no, e lo dico senza alcuna incertezza. Mi sorprendo anche che la cultura di sinistra, dalla quale anche il sottoscritto proviene, possa giustificarla in nome della libera scelta del culto, specialmente quando si è tanto strenuamente opposta a confessioni assai più progressiste come quella cattolica, influenzata dal potere (anche culturale) che ha rappresentato e dalle nefandezze che si è portata dietro, dimenticando in quel caso la libera scelta, ridotta a creduloneria (in parte anche vera, ma che vale anche per l'altra parte), e a una servitù morale ritenuta ormai inaccettabile.
Ebbene, senza indugio e a maggior ragione avrebbero dovuto condannare, senza se e senza ma l'Islam e, senza nessun arretramento di fronte alla situazione delle donne, che libere di scelgliere non sono per niente, in una società che ti inculca valori inaccettabili fin dall'infanzia senza lasciare alcuna alternativa, specialmente dopo il prevalere della visione più radicale.
Dunque si può tollerare la religione musulmana, se si sta al grosso del Corano, che è un testo bellissimo, ma non si può sopportare in alcun modo il ruolo riservato alla donna già determinato nella sura della vacca. Su questo non vedo alcuna possibilità di confusione perché, semplicemente, basta distinguere le questioni per tornare ad avere idee chiare.
Concludo questo testo interminabile tornando a Silvia Romano. Personalmente ho gioito del salvataggio e mi hanno schifato, per non dire di peggio, i commenti che ne sono derivati. Del resto non mi importa un fico secco. Ciò non toglie che non concordo per niente con la sua scelta confessionale, che si orienta alla sottomissione di cui ho detto.
Resta il suo vissuto, che conosco solo in parte e per nulla relativamente al suo periodo di prigionia, e che dunque non mi permetto di giudicare. Se fossi stato del suo quartiere la avrei festeggiata anche io senza pensarci tanto e senza condividere la sua scelta, che nello specifico non avrebbe comunque spostato per niente la mia felicità.
E non avrei dimenticato per niente l'Islam più moderato, che pure esiste, schiacciato tra le due parti, e neppure i molti amici di quella confessione e la loro libertà di culto, pur non credendo in dio, né nella superiorità e purezza della loro religione, che alcuni vorrebbero imporre a tutti come intransigente regola di vita, e non dimenticando neppure la sura della vacca, alla quale mi opporrò sempre con decisione.